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Il dialogo con i Morti, iniziato e mai terminato

Il dialogo con i Morti, iniziato e mai terminato

ANTOLOGIA VOL. 124

Iannozzi Giuseppe

PECCATORI IO E TE
(seconda versione)

Senza falso pudore ti confesserò
che mi fai andar fuor di testa
quando t’inginocchi e prendi a pregare
per l’anima mia perché Dio la salvi
senza pensarci su

Mani giunte sul piccolo seno
La tua voce meno d’un pigolio
che però riecheggia forte
fra l’abside e la volta del Cielo
E’ così eccitante, così tanto gratificante
che con un sol colpo di spada
potrei spiccar il capo dal corpo
a tutti gl’infedeli

Quando il tuo amore diventa duro
non ho dubbio alcuno ch’è sincero
Quando il mio cuore non prova pietà
e il nemico lo fionda dritto al Creatore
senza pensarci su un momento,
ignorando il pianto e le lacrime,
poi solo penso a tornar da te
fra le tue braccia come Innocente

Ti confesserò che hai questo potere
Tu comandi e io obbedisco
Quando mi sbatto giù all’Inferno,
quando poi torno su da te non sconfitto
e dell’altrui sangue da capo a piedi imbrattato
Quando la ricompensa è il tuo bacio
dimentico d’esser stato giudice e Nerone

Ti confesserò senza timore
che mi strappi l’anima dal petto
quando mi preghi di perdonare
Ma Dio non è tenero e generoso come te,
da me pretende che in questa valle di lacrime
sol valga una e una sola legge:
occhio per occhio, dente per dente

Ti confesserò che mi piace
quando a mani giunte soffri per me,
e poi uguale a nuda colomba nel letto
smaniosa m’attendi

MADEMOISELLE

Mademoiselle, un momento,
uno soltanto, non vi farò perder tempo;
son qui a Paris città dell’amor cortese,
ma però da quando son sceso giù
agli Champs-Elysées
sul mio cammino soltanto dame
fredde e rigide come le chiese;
è mai possibile che non una bella
abbia raccolto il dono mio di rose?

Indarno ho pregato sotto la Torre Eiffel,
né è valso spingersi sino all’Arc de Triomphe,
per me è stato un altro freddo tonfo;
non un raggio di sole ha avuto coraggio
d’aprirsi varco tra la cortina di nuvole,
la pioggia tutta me la son presa addosso,
reggendo fra i palmi sanguinanti
le amate mie rose piangenti

Mademoiselle, non volete ascoltare!
Il piedino in originale stivaletto calzato
già affrettate; con la virginale manina
il bruno poliziotto salutate là davanti pronto
– si vede bene! – a mettermi contro
tutta la bruta sua forza; saranno ancora
calci in culo e faccia pesta affogata
nei venti del Nord, ormai ben lo so

Mademoiselle, vi prego, ignorate lo strazio
che al gentil vostro occhio or si svela;
raccolti calci pugni e cazzotti a iosa,
delle mie belle e tante rose rosse
nulla è restato; ma pel disgraziato
che sono, impetro il vostro perdono!

PIANGESTI ANCHE AL MIO FUNERALE!

Alla pioggia le tue lacrime mischiavi
In silenzio mi feci intruso al tuo fianco
Non dicesti nulla, eccetto il tuo nome

Ricordo bene i tuoi occhi e l’aria d’attorno
Eri giusto una bambina spaventata
con in braccio una foto ingiallita
e impiccato al collo un Gesù d’oro
Mi chiedevo cosa ci facessi da sola
nel tristo paesaggio del cimitero

Pregavi, una cosa che non ho mai saputo fare
Dal volto bagnato provai ad allontanarti i capelli,
e si stampò rosso sulla mia faccia uno schiaffo
Pregavi per Janis, Jimi e Jim persi chissà dove

La seconda volta fu al mio funerale
In nero sei sempre stata molto chic
Una donna oramai – l’invidia del Paradiso
Due minuti soltanto e ti portasti via lontano
Era alto e bello il sole, non era proprio il caso
di piangere

FIUME DI POESIE

Al piacere della poesia
soggiacere
senza mai la realtà
ferire o sfiorare
Ma se v’è poeta
che un grano di senno
l’ha in risparmio
fuori si dirà
dalla sua condizione
il fuoco dentro al petto
soffocando
perché alfine sia
del fiume la corrente
domani a tradurlo
là dove albe e tramonti
non sposano inflazioni

DIALOGO COI MORTI

In tanti hanno cantato
di cuori infranti
con facce da clown
per andare avanti con lo show

Dimmi ora
come prosegue
il Dialogo coi Morti
iniziato e mai terminato

Quando ci siamo conosciuti
avevo meno di te;
mi ritrovi oggi uguale
con meno ancora
e un teschio in mano,
come Amleto;
sai tu forse dirmi
come è potuto accadere?

Ho un’idea bizzarra
che mi stampa un sorriso
da orecchio a orecchio,
ma non riesco ancora a capire

Le rose nel roseto sacro,
che innaffiai con tanta cura
donando loro il letame migliore,
son venute su gravide di spine;
e a ogni nuova stagione
ne partoriscono in quantità maggiore

Ho dimenticato di pregare,
e non sono stato il solo
Ho interrogato troppo a lungo
il volto ossuto che domani
di certo anch’io avrò,
e non sono stato perdonato

Sai tu forse dirmi
quando terminerà
il Dialogo coi Morti?

DESIDERIO

Ambrate perle di brina
ai primi raggi di sole
su trame di tele di ragno
brillano e tremano,
e un sommesso
alito di vento
dai tristi pensieri
mi distoglie.

Desiderio m’è
di cercar rifugio
fra le pagine
dei miei diari
di sogni e fantasie
straripanti.
Quanti gli scritti
d’innamorarmi
e d’amor morire,
non so dire.

QUALCUNO DA AMARE

Qualcuno da salvare,
da proteggere
da quel mondo
di sogni uguali all’uguale,
di mai silenti incubi
che nell’alma mia ristanno,
che di sé ignari mai se vanno

Dalle insidie della notte
qualcuno da salvare
Poi, a giorno, il riposo

BIANCO CANDORE

Nell’aria non volteggiare
come l’ultimo fiocco di neve,
che sulla terra si posa
il primo sole attendendo
sol perché sia presto
il tempo del disgelo,
di gigli che più non sposano
del verno il soffice nitore

Sorridi invece,
come sai sorridere sorridi,
con quel bianco candore
che calore apporta al cuore
di chi lungo la strada t’incontra,
sperando di star con te
per una vita intera,
per un momento appena

FIUME DI POESIE

Al piacere della poesia
soggiacere
senza mai la realtà
ferire o sfiorare
Ma se v’è poeta
che un grano di senno
l’ha in risparmio
fuori si dirà
dalla sua condizione
il fuoco dentro al petto
soffocando
perché alfine sia
del fiume la corrente
domani a tradurlo
là dove albe e tramonti
non sposano inflazioni

LA LUNA DEL PAZZO

si spezza la Luna
specchiandosi
nel profondo del pozzo,
chiedendo al pazzo
– che ad alta voce
la chiama e la chiama –
quale il suo nome

PREGHIERA DI VENDETTA

Occhio per occhio, dente per dente
Moltiplicò Cristo pani e pesci
per i morti di fame, così si dice
Il Deuteronomio è chiaro
e Hammurabi non meno,
chi giura il contrario un falso
Come Re dei Giudei crocifisso,
il Padre non mosse un dito,
si limitò a oscurare il cielo
e a ventilare una promessa

Se oggi mi tagli un braccio,
domani ti faccio fuori tutt’e due le gambe
Se oggi ti fai mio nemico,
non sperare in me o in Dio,
semplicemente
non sperare in una stampella di pietà

Si reciti dunque
un’ultima preghiera

per chi sta sulle nostre orme
con passo scalzo o calzato;
si è figli dello stesso Padre
che il sole fa sorgere
sopra buoni e malvagi,
che fa piovere
sopra i giusti e gli ingiusti

Si reciti
un’ultima preghiera:
qualcuno,
poco ma sicuro,
per nostra mano
domani morirà

CAPRICCIO ITALIANO

Per uno schizzetto sul giornale parrocchiale
Per un capriccio tutto italiano d’amar le gonne
sono adesso alla sbarra in attesa del verdetto…
dei chiacchierati chierichetti, ma non di dio

BISOGNA SAPERSI ADDIO

Bisogna sapersi Addio
per frantumarsi negli sguardi petrosi
che si son visti,
inseguendo orizzonti sbrecciati
di dolori sofferenze gioie.

Bisognerebbe credere in Dio
e cadere in vertigine
che sia rinascita e morte,
carezzando la propria Anima
e crederla sasso e peccato.

Che avesse, dir non so:
così sbagliato mai era stato,
abbagliato nell’intrico d’un profondo sonno
a naufragar in turbato mare di confusioni,
di abbagliamenti,
di già viste intime solitudini.

Dir non so che demone l’avesse
in libero possesso!
L’ultima volta
si asciugava sudata lacrima
simile ad addormentata pallottola,
ma io credevo nutrisse innocuo fastidio
nella tempia conficcato.
E bestemmiava in latino,
scolando via sangue e vino.
Tremante tentava poesia.
Ti guardava ubriaco di Majakovskij,
poi, pazzo, gridava: “E’ rosso!”
Ti guardava ubriaco di Pavese,
poi, sereno, cantava:
“Perdono tutti e tutti chiedono di perdere.
Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.”

Non rivolse sguardo più a nessuno.
La sua storia tutta qui,
nella nudità d’una lapide
che deserta io vedo.
Rossa.

SCENDE LA NOTTE

Silenziosa,
alle nostre spalle,
scende la Luna
Ma le stelle
in cielo alte
brillano,
brillano e brillano
ubriache più di noi:
non sanno
– Dio mio! -,
non immaginano
quanti qui siamo
sofferenti,
senza speranza,
vittime
del nostro Desio,
forse del Destino
– groppo in gola
che a stento osiamo
di chiamare per nome

Eppure, all’alba
gli occhi sveglieremo
ancora una volta,
presi d’assalto dall’insistenza
dei guaiti dei bastardi
dabbasso,
e di tutti quegli altri
che dalla vita hanno avuto
ancor meno del meno…
non una bottiglia di sbornia,
non un po’ di sale sull’Eterna Ferita
a ricordargli d’esser vivi
e dolenti col Sole e con la Luna

Scende la notte
e la città si accende:
vicoli, lampioni, portoni,
gravidi d’una grama esistenza
che solo immaginiamo
in sogno e nemmeno;
domani poi
si tornerà a faticare

IMMAGINE CREPUSCOLARE
(Le voleur des songes)

E Gennaio mi rimane:
neve freddo,
una manciata d’incontri
rovinati nella speranza.

Si discute – caro Amore –
del mondo,
di quanto sia tondo,
mai perfetto
se non nella gravità,
che spreme nostra natura
per un domani che sarà
in forse e chissà.

Vita è una sola,
e ognuno la gestisce
al meglio al peggio
delle espressioni
prigioni
del troppo detto,
nel mai fatto.

Sì, – caro Amore –
si muore così,
sperando
in amore,
solito nulla abusato
nella placidità delle ombre,
sole sembianze
a noi conosciute.

In un crepuscolo
che mangia
il tentato volo dell’anima,
noi si immagina
come morire,
perché sia un ridere
senza far male
all’ombra frale
che nascosta resta
nell’invito d’un definirci.



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