Dopo il bellissimo evento a Napoli di sabato scorso, ora … tutti a Firenze!!
Oggi, pubblichiamo la testimonianza di Sabrina, praticante della seconda annualità, che ha partecipato ad uno degli eventi di presentazione della “Carta”.
In questo scritto vuole donarci le sue riflessioni.
Grazie a Sabrina e buona lettura a tutti!!!
È stato il linguaggio il primo aspetto che mi ha colpito di Marco Guzzi e del movimento Darsi Pace. Ho notato la grande cura nell’uso delle parole e il rigore della ricerca lessicale, ho apprezzato anche la distanza da aspirazioni semplicemente estetiche e l’urgenza di riferire contenuti precisi eppure complessi. Ho visto una rara onestà linguistica in tutte le voci interne al movimento, voci che tuttavia restano riconoscibili, non amalgamate in un unico mono-tono, poiché ciascuna, mi sembra, mantiene sempre il proprio specifico colore espressivo.
Di Darsi Pace ho apprezzato molto anche il modo in cui conduce la comunicazione sui social, che rimane immune dalla tendenza a semplificare, etichettare, schiacciare la realtà in una casella o nell’altra, ma soprattutto rimane immune dal linguaggio pubblicitario. Questo tipo di linguaggio purtroppo io lo vedo in tanti ambiti: a prescindere dai contenuti, quando si arriva sui social sembra che non si sappia parlare altrimenti.
Per linguaggio pubblicitario intendo quello che ti aggancia con una domanda ovvia, per darti ad intendere che c’è qualcuno che conosce i tuoi bisogni e che è lì pronto a soddisfarli. Penso a domande del tipo: “Ti senti anche tu smarrito e confuso?” “Ti senti anche tu stanco e depresso?” “Fai fatica anche tu ad arrivare a fine mese? E subito arriva la soluzione: “Allora cosa aspetti!?” “Compra questo, iscriviti qui, vota così”.
Più o meno è questa la dinamica che vedo in azione in molti ambiti. Una domanda ti aggancia e la soluzione che ti viene proposta è fantastica e per di più è facile: imparerai a perdonare te stesso in tre giorni, oppure a vivere felice, a comunicare con efficacia, a respirare correttamente, in una settimana, in un mese al massimo, ma allo stesso modo, con la stessa dinamica comunicativa potrai sturare il lavandino della cucina comprando il miracoloso prodotto del momento.
Ecco, io quando vedo l’utilizzo di questo linguaggio perdo fiducia. Non riesco a riconoscere un percorso di trasformazione come tale se questo non è capace anche di comunicare in un modo nuovo, che cioè non mi guardi, non mi riduca anch’esso alla solita dimensione di “consumatore” del suo “prodotto” – che sia un libro, un seminario o un sedicente progetto politico -. Se mi proponi un percorso di crescita personale in cui proprio la “libertà dagli schemi” è al centro, perché mi tratti come un consumatore? Perché provi ad agganciarmi usando questi automatismi?
In Darsi Pace questo tipo di linguaggio per fortuna non lo ho mai incontrato, anzi: si propone come un percorso lungo, impegnativo, che non ti promette nulla di facile o di riducibile ad un risultato fisso e definitivo. Nulla di comodo, nulla di consolatorio, nulla di retorico.
Quando ho letto la Carta della Nuova Umanità, però, è successa una cosa strana.
Certo, in un primo momento ho apprezzato soprattutto l’assenza di queste locuzioni che ormai mi fanno scappare a gambe levate, come l’assenza di altre “astuzie” linguistiche. Ma ormai non me le aspettavo più, sapendo che queste astuzie in Darsi Pace non ci sono.
Mi sono rallegrata anche della lucidità con la quale la Carta dice del mondo «al collasso» in cui viviamo, senza tuttavia richiamare alcuna forma di risentimento.
L’aspirazione poi è quella verso un mondo «meno ingiusto e meno violento» da consegnare ai nostri figli: non la fine di tutti i mali, non una qualche dimensione perfetta, dunque, ma qualcosa di molto più prezioso, proprio nella sua apparente moderazione. Nel linguaggio pubblicitario sarebbe stato: “mai più soprusi e violenze!” e forse avrebbe “agganciato” di più.
La cosa strana, dicevo, è che nonostante abbia apprezzato tutti questi aspetti, in un primo momento ho sentito anche una forte resistenza. Ho trovato la mancanza di astuzia linguistica come una forma di ingenuità, di sprovvedutezza. Come se il movimento Darsi Pace, uscendo dal suo perimetro d’azione, non si fosse dotato di alcuna forma di strategia comunicativa, per quanto alternativa alla solita, più sofisticata magari.
Inauguriamo un nuovo ciclo della storia. Voi? In che senso? Ma che pretesa! Ma chi siete?
Il sistema della guerra è agli sgoccioli. E chi ve lo ha detto? Migliaia di anni di guerre e adesso voi dite che è agli sgoccioli? Su quali basi fate questa affermazioni?
Siamo gli eredi legittimi di tutte le tradizioni culturali e politiche?! Cosa significa? Che siete gli “eletti”?!
Poi La Nuova Umanità! I Nascenti?!!! Cos’è un romanzo fantasy? Lì ci sono queste popolazioni, i Nascosti, gli Estranei, i Nephilim, ma qui no! Nel mondo reale no!
Insomma questo linguaggio un po’ profetico, ma anche molto meticcio, perché creativo e lucido, visionario e realistico, esortativo e riflessivo, colto e innocente, questo linguaggio singolare, che spariglia tutti i codici, in questa forma, fuori dai suoi confini, in un primo momento mi ha spiazzata.
Poi piano piano ho cominciato ad entrarci dentro, prima di tutto leggendola ad alta voce la Carta, e leggendola in questo modo ho colto subito la differenza. Ho capito che non si tratta qui di comunicazione, ma che queste parole sono azioni. Questo dire è fare.
Perché se lo dico che il sistema della guerra è agli sgoccioli Vuol Dire Che è quello che ho deciso oggi, vuol dire che comincio a fare spazio a questa possibilità, e quindi contesto la presunta ineluttabilità della guerra stessa.
Se dichiaro che sono l’erede legittima di tutto ciò che è stato vuol dire che quelle strade le ho fatte anch’io, le ho già fatte, che quei percorsi sono stati già compiuti, ed è per questo, proprio per questo che posso essere nuova.
E se dichiaro che sono un mistero, se dichiaro che non sono come questa pubblicità vorrebbe che fossi, cioè impaurita e alla ricerca di facili soluzioni, se lo dichiaro, tutto questo diventa vero.
Rileggendo la Carta, quindi, non come testo, ma come preciso susseguirsi di gesti, come una formula magica quasi, un abracadabra che mi sposta su una dimensione precisa, che è quella che desidero, quella che ho scelto, ho capito di aver fra le mani uno strumento di lavoro davvero prezioso, prezioso e potente.