Il Capodanno è sempre stato per me, sin dall’infanzia, un momento strano, che non ho ancora capito come vivere realmente. Da quando sono bambino sento di avere un profondo senso del tempo, ma non del nostro tempo, non di Questo XXI secolo ormai quasi ventennale.
Il senso del passare del tempo si è sempre associato in me al senso della storia. La storia come un corpo vivo, un corpo che è anche il mio, abitato quotidianamente da immagini, eventi, modalità d’essere precise. Non conosco l’origine di questa mia percezione. So solo che a partire dagli 8 anni circa (seppure a vari gradi di profondità), l’arco storico che va più o meno dal XVII al XX secolo è arrivato gradualmente nella mia vita come una rivelazione, una inspiegabile comprensione delle cose, che mi ha ogni volta donato esperienze reali, visioni precise della mia esistenza e del mondo che mi circonda.
Tutt’oggi questo fuoco di conoscenza storica ha un ruolo fondamentale in tutto quello che sono e che faccio nella vita. Il percepire le cose nel loro spessore storico è per me spontaneo come camminare o bere un bicchiere d’acqua. Non solo mi viene facile, ma è anche un bisogno necessario, come fosse un’aspirazione inerente alla mia stessa maturazione personale.
Per questo già in età infantile il solo vedere il calendario muoversi al di là del 2000 mi sembrava qualcosa di strano, di anomalo, come se si trattasse di anni troppo avanzati, al di là dei limiti cui mi era consentito vivere. Ho passato infatti fasi intere della mia giovinezza soltanto a comporre genealogie, a studiare un’infinità di date e di eventi per me più reali, più comprensibili di quelli odierni. Oggi posso dire fuor di metafora che la storia d’Europa è, almeno in parte, anche la mia storia personale.
Contemporaneamente a questo però mi sono chiesto per tutta la vita: perché mi è dato di abitare proprio nel XXI secolo? Un tempo che non ho ancora compreso, che non mi sono mai sentito capace di vivere, che anzi ho sempre sentito appartenere al mio ignoto futuro più che al mio presente.
Probabilmente è questo il sentimento che ha accompagnato la gran parte dei Capodanni della mia vita: un sentimento di ignoto, di fuoriuscita dai confini del conosciuto. Ancora più a fondo, un senso di eccesso, forse di tracotanza, di disorientamento. La mia vecchia domanda è: come faccio a vivere il 2000 se non ho ancora vissuto fino in fondo il 1800 e 1900?
Crescendo e raggiungendo una ulteriore maturità di pensiero, ho capito che anche quando non lo sapevo ho costantemente vissuto il mio tempo in modo messianico. Ciò significa che inconsciamente ho sempre percepito che negli anni intorno alla mia nascita (1996) accade storicamente una sorta di Fine del tempo, una vera e propria fine della storia.
Ognuno degli anni che seguono il 2000 li potrei dunque descrivere come un continuo replicarsi della fine. Ecco la prima percezione del Capodanno: la fine di una fine, la fine che continua a finire.
Ma in che senso la fine? E dove va a finire questa fine? Che cosa veramente finisce? E come faccio a sopravvivere in un tempo che scorre dopo la fine del tempo, del mio tempo?
Dal momento in cui ho iniziato a prendere coscienza di questi interrogativi, non ho fatto altro che cercare risposte. Questo impulso mi ha spinto a studiare in modo ancora più accanito la storia, esattamente come fosse (e in effetti lo è) un urgente problema personale. Dai 16 anni in poi la scoperta della filosofia ha segnato una svolta in tutta la mia ricerca di vita.
Questa ricerca mi ha condotto a Darsi Pace. Oggi posso dire, con grande senso di gratitudine, che il pensiero di Marco Guzzi sia stato finora l’unico, ma veramente l’unico a offrirmi una spiegazione seria del perché la mia vita si stia svolgendo proprio in questo secolo e non in un altro.
Sto infatti lentamente capendo che il nostro essere chiamati a vivere una fine apparentemente in-finita può essere l’inizio di una missione inedita, di una possibilità di crescita e di nascita mai vista prima in tutta la storia del pianeta.
Il compito consiste essenzialmente in questo: trasformare la fine in un nuovo grande fine. Un fine per il quale sia degno lottare, vivere, e quindi nascere e rinascere al di là di noi stessi.
Questo tempo è così grande proprio perché ci spinge a cercare un senso per il quale valga la pena di iniziare a vivere, quantomeno a vivere più di prima.
Ovviamente tutto ciò non ci viene in automatico, è piuttosto dovuto ad una continua scelta di fede in un preciso orizzonte e sguardo fondamentale sul mondo.
Se c’è dunque un primo augurio che sento veramente impellente per il nuovo anno è che tutti noi possiamo realmente iniziare ad accorgerci quanto il nostro tempo si muova dentro una fine, e quanto avanzata sia ormai questa fine. Sentire questo infatti potrebbe darci una motivazione in più per cercare un inizio. Altrimenti quali alternative abbiamo?
Io francamente non no ne ho mai viste altre, né riesco a concepirle. Al di fuori di questa prospettiva il nostro tempo è per me semplicemente insopportabile, qualcosa che non dovrebbe esistere affatto.
Non è un caso che la cultura popolare degli ultimi decenni (in particolare americana) ci mostri un immaginario essenzialmente apocalittico. Il problema è che questa Apocalisse planetaria viene ancora concepita in maniera preminentemente catastrofica.
Ecco perché un mio grande augurio per il nuovo anno è che la si smetta di credere che il nostro sia un tempo storico come gli altri. Ogni cosa smentisce questo stupido pregiudizio, indotto in realtà dal sistema narcotizzante in cui siamo immersi. Il sistema di mondo in cui viviamo rischia di uccidere il senso storico dell’uomo, e quindi di far collassare l’Occidente sin nelle sue stesse fondamenta. Come umanità oggi non ce lo possiamo permettere.
Il nostro è in verità un tempo di profezie e di grandi rivolgimenti cosmici. Il moltiplicarsi delle rivoluzioni lungo tutta l’età moderna non è stato affatto casuale. Le rivoluzioni sono stati i primi segnali a indicarci una soglia di irreversibilità entro cui stiamo penetrando tutti, anno dopo anno.
Il tempo si sta realmente stringendo, mentre la velocità di ogni cambiamento si sta moltiplicando (come lascia intendere anche la teoria della relatività di Einstein).
Da pochi decenni soltanto sappiamo che l’universo si sta espandendo a velocità accelerata, e che i maggiori centri gravitazionali dell’universo sono buchi neri, ossia entità che di per se stesse trascendono tutte le leggi fella fisica finora conosciuta. Nel 1994 il telescopio Hubble è riuscito a scattare una fotografia dell’intero universo osservabile (dal diametro di circa 13,7 miliardi di anni luce), ossia di tutto l’universo per come si è sviluppato spaziotemporalmente a partire dal Big Bang.
Mi verrebbe da dire: ecco perché è finita la storia! È finita una certa storia: lo spazio-tempo ha toccato un limite. Capiamo adesso perché ci troviamo ad un punto di non ritorno, oltre il quale nulla sarà mai più come prima?
La mia speranza più grande per il 2019 è perciò rivolta ad ognuno di noi come alla parte indivisibile di un unico grande corpo: il corpo della storia, della coscienza e del cosmo, sempre più indistinguibili tra loro. La sfida è grande, così come il salto nel vuoto che ci sta di fronte.
La potenza creatrice dell’uomo ha moltissimo da imparare da questo passaggio. La cultura e la sapienza della nuova umanità consisteranno essenzialmente, in virtù di questo, nel saper trarre dal vuoto un nuovo mondo di volta in volta più grande e più vasto del precedente.
Allora la speranza è questa: che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto della nostra giornata, possa diventare in tal senso un Capo d’anno, ossia l’inizio, la frontiera, l’avamposto di un nuovo modo di abitare lo spazio e il tempo che umanamente ci è da