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Corpi macchina rugged e tropicalizzati, pronti a sfidare qualsiasi intemperie!

Il fotoamatore imbocca la strada della professionalità quando smette di pensare alla fotografia solo come ad uno svago ed inizia a fare i conti sull’essenza stessa della creazione di immagini. Se nel corso di questi articoli ci siamo imposti il dovere di seminare nel lettore un’inarrestabile curiosità nei confronti della riproduzione della realtà attraverso l’occhio fotografico, non l’abbiamo ancora messo al corrente dei tre grandi imprevedibili nemici dell’attrezzatura digitale con i quali ci scontriamo ogni giorno: l’acqua, la polvere e il caldo.

A differenza delle macchine analogiche, quando con un cacciavite ed una pinzetta si poteva riportare in vita una Fotocamera, nelle digitali quando un pezzo si rompe si è costretti a sostituirlo con uno di ricambio, pena il mancato funzionamento del dispositivo. Per questo motivo molto importante oggi, più che nel passato, la cura da dedicare alla fotocamera.

Acqua

Mai come nella fotografia è vero il detto latino experientia docet, ma di sicuro è meglio non trovarsi impreparati in alcune spiacevoli circostanze, come ad esempio davanti agli effetti negativi dell’acqua. Se l’incontro diretto con questo elemento naturale per noi umani/fotografi è fonte di vita, per il sistema elettronico della nostra fotocamera è una velenosa fonte di guai. Non fa testo la pioggia leggera, facilmente asciugabile con un panno leggero per lenti, ma l’immersione completa in acqua è causa di danni notevoli al corpo macchina. Se ciò dovesse accadere, facendo ora gli eventuali scongiuri, per prima cosa rimuoviamo l’obiettivo e apriamo tutto ciò che può Essere aperto, asciugando rapidamente con un fon tutti i componenti interni. E se cade in acqua salata? Beh… senza mezzi termini, è ora di farsi una nuova fotocamera!

Polvere

Come mine vaganti pronte a colpire le parti mobili del dispositivo sono poi le particelle della polvere e della sabbia, attratte elettricamente, come mosche al miele, dalla carica generata del sensore. Evitiamo di cambiare l’obiettivo in condizioni polverose, infatti anche la minima esposizione del corpo interno della macchina può essere dannoso. Un consiglio? Mai smontare l’ottica al mare, la sabbia della spiaggia è ancora più insidiosa perché il sale rende appiccicosi i granelli.

Calore

Ultimo del fatidico terzetto, ma non ultimo nella scala della pericolosità, è il calore che può danneggiare i circuiti elettronici in situazioni estreme. Quando si scatta a temperature superiori i 40° il dispositivo non deve mai essere eccessivamente affaticato, obbligatoriamente, dopo la seduta di scatti, deve essere sempre riposto in una sacca all’ombra. Viceversa i climi freddi danno meno problemi, ma riducono di gran lunga la durata della batteria: infatti sotto i -20° l’elettrolita si congela ed impedisce l’alimentazione della fotocamera. Attenzione poi alla condensa: come per gli occhiali, quando si passa da un locale freddo ad uno caldo, si formano degli strati di vapore che possono danneggiare i componenti interni e le lenti.

Il professionista che si trova a lavorare in condizioni estreme, lo ammettiamo senza ombra di dubbio, si trova a dover far fronte come meglio può a questi deficit utilizzando custodie impenetrabili, pompette e panni per pulire il corpo macchina e l’obiettivo, ma con risultati quasi sempre scarsi.

Indagando le leggi del mercato, ad ogni domanda corrisponde un’offerta consecutiva, ecco che le grandi case produttrici hanno progettato delle fotocamere robuste e resistenti alle situazioni climatiche più difficili.

I modelli rugged, o tropicalizzati, adottano degli accorgimenti volti a scattare in qualsiasi condizione ambientale, quali appunto quelli che potrebbero incontrarsi nei paesi tropicali: alto tasso d’umidità, improvvise variazioni di temperatura, piogge torrenziali, … La sostanziale differenza con i modelli del passato consiste essenzialmente nell’inserire all’interno del corpo macchina, nei punti più esposti, delle guarnizioni speciali in neoprene, ovvero una gomma sintetica resistente all’azione dell’acqua salata, dell’aria e dei raggi solari. Tali guarnizioni rivestono, ad esempio, tutte le fessure di accoppiamento tra l’obiettivo e l’attacco della fotocamera, senza dimenticare i sottili vuoti intorno a pulsanti e ghiere. Ma queste guarnizioni da sole resisterebbero poco alla deflagrante dilatazione termica dei paesi tropicali, ecco allora apparire dei corpi macchina costruiti in speciali leghe di magnesio ed alluminio, ovvero i materiali più stabili e meno soggetti alle deformazioni del variare della temperatura.

Le reflex rugged sono quindi resistenti alle intemperie, ma ricordiamoci che per garantire una reale protezione anche l’obiettivo montato deve essere tropicalizzato, altrimenti non aspettiamoci grandi risultati di pulizia. A questo proposito verifichiamo se la nostra macchina ha l’o-ring sulla baionetta di innesto dell’ottica, cioè una rinforzante guarnizione che consente una protezione nel punto più delicato: quello di accoppiamento tra la fotocamera e l’obiettivo.

Per chi ama fotografare sott’acqua o è solito fare sport estremi in cui rischi e cadute sconsigliano l’utilizzo di fotocamere tradizionali, sono presenti le rugged waterproof, a prova di acqua. Complice l’avvicinarsi della primavera e l’approssimarsi dei primi bagni al mare, questi modelli compatti vivono improvvisi exploit di vendite, per poi contrarre il loro giro d’affari nel periodo invernale.

Sono da consigliare agli sportivi o a chi è particolarmente disattento, possono infatti cadere da oltre 5 metri senza subire danni e resistono a pesi di oltre 100kg (!), ma di certo non offrono grandi prestazioni qualitative ed immagini eccellentemente nitide. In compenso i top di gamma hanno il flash incorporato, l’altimetro, il GPS, il barometro e la bussola integrati, offrendo servizi esclusivi alle più fotografiche reflex.

Ad oggi un problema ancora irrisolto è infatti come mantenere pulito il sensore di una DSLR. A differenza delle rugged compatte, che essendo ad obiettivo fisso non devono essere aperte, il sensore delle reflex tropicalizzate si espone alle intemperie in due occasioni: quando cambiamo un obiettivo, e quindi l’area dello specchio a 45° è esposto alle particelle; e quando azioniamo l’otturatore e facciamo quindi sollevare lo specchio con tutte le particelle che, attratte elettricamente, finiscono per domiciliarsi sul sensore.

Per verificare la quantità di polvere presente sul sensore è ottima pratica quella di inquadrare una superficie bianca o il cielo: le particelle saranno più visibili se l’apertura del diaframma è ampia e il soggetto è fuori fuoco. Dopo aver scattato possiamo controllare direttamente sul display l’eventuale sporcizia ingrandendo ogni singola parte del fotogramma. Anche se le tracce delle piccole particelle possono non essere facilmente percepibili nei dettagli anche ad apertura massima, in ogni caso risulteranno sicuramente presenti in stampa. In ogni caso problemi di questo tipo, quando non eccessivamente pesanti, possiamo correggerli in fase di editing con photoshop attraverso l’ausilio dello strumento timbro colore.

Quando però il sensore risulta eccessivamente sporco il consiglio migliore è quello di portarlo da dei tecnici specializzati e farlo ripulire: non improvvisiamoci con pompette ad aria o pennelli!



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