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La fotografia delle origini tra tecnologia e ricerca estetica: tracce e spunti…

Scrivere un articolo sulle origini della Fotografia non è una cosa semplice: non solo ci sarebbe abbastanza materiale da riempire un’enciclopedia, è anche necessama impone dei continui passaggi di focus tra sviluppo tecnologico ed esigenze estetiche: ricerche che ancora oggi evolvono verso il meglio la fotografia. Infatti, se il solo scopo della fotografia fosse stato quello di rappresentare il mondo con la massima accuratezza possibile, la nostra storia si sarebbe fermata molto prima forse proprio negli anni ’60 del XIX secolo.

Gli albori della fotografia

In ogni caso, tenendo conto Delle premesse iniziali, un articolo sulla fotografia delle origini non può che iniziare trattando dei dispositivi prefotografici. La camera o(b)scura portatile, in una forma nota a qualsiasi fotografo contemporaneo, era disponibile già alla fine del Settecento in numerose versioni che permettevano ad artisti e turisti alle prese con il grand tour di ricalcare scene ed oggetti su carta traslucida. Wedgwood, Niépce e Talbot, i tre maggiori pionieri della fotografia utilizzarono la camera oscura come punto di partenza per i loro esperimenti chimici di cattura del reale, arrivando al lodevole risultato di produrre delle immagini

Niépce progettò e costruì macchine fotografiche costituite da due semplici scatole di legno: la più piccola, mobile, scorreva all’interno della più grande in modo da far entrare giusto quel poco di luce per dare avvio alla magia fotografica. Talbot ridusse presto le dimensioni delle sue fotocamere dopo aver valutato che un’immagine di modeste dimensione, ottenuta con un obiettivo di grande apertura e scarsa lunghezza focale, richiede un tempo di esposizione minore. Nel 1839 aveva già fatto realizzare fotocamere con un telaio portacarte rimovibile.

Con la democratizzazione della dagherrotipia in Francia e del procedimento di Talbot in Inghilterra, la fotografia si trasforma da esperienza estetico scientifica di una ristretta élite ad un bene di consumo per le masse, facendosi quindi carico di tutte le conseguenti leggi del mercato. Dal 1840 molte aziende, intuendo la nascente fame di immagini, intrapresero la produzione di fotocamere, offrendo al pubblico dei dispositivi altamente tecnologici ed in grado di raggiungere i valori estetici sorti intorno all’interpretazione figurativa: apparecchi e materiali erano quindi concepiti proprio per esaltare la veridicità delle immagini. La sorprendente rassomiglianza delle fotografie alla realtà visibile, come nei dagherrotipi, era fonte di meraviglia e piacere, come vedremo tra poco.

A livello elementare una fotocamera deve rispondere ai compiti di supportare un obiettivo e di contenere il materiale fotosensibile, lo schema di base prevedeva delle cassette fisse o scorrevoli con supporti per l’obiettivo e le lastre. Schema che variava poi in dettagli a seconda della ditta: ad esempio Chevalier introdusse la cassetta singola dotata di cerniere, in modo che, una volta rimossi il pannello con l’obiettivo e il vetro smerigliato, questa potessi ridursi fino ad un terzo delle sue dimensioni garantendo all’autore la massima portabilità.

Anche la progettazione delle ottiche fu influenzata da considerazione di carattere estetico. Era solito ritenere che per una trascrizione accurata del mondo visibile fosse essenziale imporre la massima risoluzione e nitidezza possibile. Esperimenti sulla percezione, svolti sia da psicologi che da fisiologi, interpretarono la visione umana come condizionata dalla distanza, dal campo visivo, dall’atmosfera e dalla luminanza. Limitazioni naturali che fecero intendere ai fotografi la nitidezza non più come la qualità più appropriata e fedele dal punto di vista artistico. Dalla fine degli anni ’50 fino agli anni ’90 del XIX secolo i dibattiti fotografici in tema di ottica inglobarono anche le tematiche inerenti all’arte, ad esempio sulla maggiore validità di rappresentazione se più oggettiva o espressiva, oppure sull’impiego di effetti mirati a sacrificare i dettagli in favore dell’armonia tonale e compositiva.

Dopo la prima metà dell’Ottocento il design delle fotocamere in Europa e negli Stati Uniti rimase immutato, mentre in Inghilterra, dopo un lento avvio, apparvero dispositivi di nuova concezione e ritenuti di qualità migliore. Questi erano costruiti in mogano lucidato con elementi in ottone verniciato, mentre il legno preferito sul continente era il noce e le rifiniture in metallo solo leggermente verniciate o lasciate al naturale. Possiamo quindi immaginare facilmente il peso…

L’invenzione della pellicola

Fino al 1880 si vide l’adozione delle lastre asciutte, poi sostituite dalle pellicole in rullo, graduale perfezionamento in direzione della nascente fotocamera a soffietto del tipo ideato da Kinner che condanna al declino le antenate a cassetto scorrevole o fisso. L’adozione della pellicola in rullo rese la fotografia più semplice ed economica incrementando enormemente il mercato amatoriale. Infatti mentre la struttura di base delle fotocamere professionali non subisce significative evoluzioni, i prodotti destinati ai dilettanti più o meno esperti si rivoluzionano completamente. L’enorme richiesta metteva le aziende produttrici nella condizione di sperimentare con fotocamere per lastre di vario formato o per applicazioni speciali quali la fotografia panoramica o stereoscopica, numerosi accessori come i dorsi per esposizioni multiple o per i formati carte de visite segnarono il successo di un’intera stagione. Un valido esempio è la camera a mano di Sanderson che, prodotta nel 1899, fu sinonimo di successo tra dilettanti e professionisti, rimanendo in vendita senza modifiche fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Kodak: la fotografia a portata di tutti

Ma la vera rivoluzione arriva nel 1888 dagli USA: la Kodak. Destinata a dilettanti interessati alla possibilità di scattare fotografie solo premendo un pulsante, la Kodak consente di evitare lungimiranti operazioni di sviluppo e stampa semplicemente offrendo questo servizio al foto amatore. Successo di mercato poi confermato dalla Kodak Brownie, messa in vendita nel 1900 al costo di 1 dollaro.

Le nuove fotocamere a mano rendono possibile una mobilità ed una flessibilità nella composizione sempre maggiore. Ed è proprio sfruttando questa idea che intorno alla metà degli anni ’90 del XIX secolo si discute sul contributo che la fotografia può offrire allo studio di strutture visuali innovative nell’arte: composizioni asimmetriche, compressioni spaziali, presentazioni di oggetti, … Semplicità destinata a portare i critici ad alimentare la percezione che l’arte fotografica non richieda particolari competenze o formazione, come se i sofisticati effetti pittorici che essa consentiva di catturare fossero solo dovuti ad una felice combinazione di fortuna e tempismo. Credenza ricorrente nel mondo della fotografia che porta i professionisti più arditi a scattare con modelli più antiquati proprio per sfatare questo mito.

La prima guerra mondiale frenò lo sviluppo delle fotocamere e la maggior parte dei produttori europei non introdusse nuovi progetti durante questo periodo in cui materiali e manodopera scarseggiavano. Tuttavia entrambe le parti coinvolte nel conflitto produssero alcuni modelli per applicazioni speciali, soprattutto per la fotografia aerea e a scopo di ricognizione.

La fotografia nel dopoguerra

La fine della guerra e la ripresa del commercio inaugurarono una nuova era nell’evoluzione delle fotocamere, che vide la Germania sottrarre ai suoi concorrenti il suo dominante nel mercato.

Se negli Usa le due ditte principali, Kodak e Ansco, continuavano ad acquisire aziende, in Germania nel 1926 nacque la concentrazione Zeiss Ikon, dalla fusione di quattro società indipendenti, producendo i migliori obiettivi dell’epoca. Un anno prima intanto era nata, sotto la supervisione di Ernst Leitz, la Leica: la compatta che avrebbe rivoluzionato il modo di fare fotografia. Non più macchine pesanti ed ingombranti, ma un modello agile, leggero, dalle elevate prestazioni grazie ad un formato da 35 mm luminoso e dalla grana fine. La fotocamera si miniaturizza e rimpicciolendosi il fotografo può portarla sempre con sé, divenendo un’estensione dell’occhio sempre e comunque presente. I reportage diventano più coinvolgenti, l’industria dell’informazione circola con maggiore facilità ed arrivano i primi totalitarismi a sconvolgere un mondo all’estenuante ricerca di un’immagine identitaria.

In questo senso la Leica chiude, a nostro giudizio, il periodo della fotografia delle origini, spingendola verso le autostrade del digitale e rendendola capace di percorre infiniti spazi e distanze.



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