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Enrico Berlingur – Lettere agli eretici – Pierfranco Ghisleni

Tags: piatildesup

Caro Angelo, ( Angelo Pezzana, libraio, radicale, membro fondatore del FUORI, è specialista in autocoscienza, presa di coscienza e trapasso dall’individuale al collettivo. ) il contenuto ed il tono della mia lettera sicuramente ti stupiranno; abituato come sei ad avere del mio partito e di me stesso un immagine austera, un pò codina e non sempre sensibile per i problemi che oggi va di moda incasellare entro il concetto di «personale», resterai forse sbigottito dalle mie affermazioni che a prima vista ti potranno parere estranee alla mentalità del partito e stridenti rispetto alle problematiche che siamo soliti affrontare. Ma se mi risolvo a scriverti ciò che segue è perché tu possa apprezzare il nostro lavorio intellettuale nell’affrontare, in modo pacato e senza inutili schiamazzi, gli stessi temi che voi invece avete sollevato in modo provocatorio e un pò confuso. Voglio riferirmi alla cosiddetta liberazione sessuale di cui tanto si blatera sulla stampa di ogni bandiera, senza mai tenere conto che essa progredisce non già in ragione dello schiamazzo e della problematizzazione che se ne fa al riguardo, ma come effetto inevitabile dello sviluppo del capitale. Voi – radicali, omosessuali, femministe, sociologi dei comportamenti devianti – avete creato sull’argomento un intero ramo di saggistica, avete analizzato i comportamenti più particolari, avete tolto il velo ad attitudini un tempo clandestine, in nome della sensibilizzazione delle masse senza accorgervi che, così operando, eludevate il cuore del problema e vi allontanavate dalla sua corretta soluzione politica. Ora, a me pare che la questione, sfrondata del troppo e del vano, si riduca al mesto ed accorato compianto che il povero Franco Antonicelli spesso mi manifestava negli ultimi anni della sua vita. Egli, grande estimatore di grazie femminili qual’era, si doleva che l’epoca avesse imbruttito senza scampo la corporeità degli uomini (ma era quella delle donne che in realtà gli premeva), irrigidendo la leggiadria delle movenze ed involgarendo la squisitezza delle maniere. Nessuno, specie fra quei giovani cui è stato fino all’ultimo vicino, gli pareva più degno di innamoramento, nessuno più capace di affascinare chicchessia. E tali riflessioni tanto più lo avvilivano in quanto non vedeva nessuna uscita a questo stato di cose. Le donne insomma gli parevano divenute irrimediabilmente brutte, insipide ed assolutamente prive di quella malia tentatrice che aveva contribuito a rendergli dolci gli anni giovanili. Antonicelli non sapeva spiegare questo imbruttimento generale, nè porvi rimedio. Ma la sua lagnanza ci permette tuttavia di formulare la questione nei suoi giusti termini, e precisamente: che ne è oggi dei corpi umani ovvero, detto altrimenti, dove sono finiti i cosiddetti «pezzi di figa»? La domanda ti parrà forse volgare ma la sua trivialità non può esimerci dal darle risposta. Gli è che la nostra epoca, nella quale si è copulato come mai prima era avvenuto nella storia umana, ha però procurato una distrazione dal sé che non ha precedenti, mettendo in opera la frode rea dell’imbruttimento generale. Quale questo inganno? La creazione di una molteplicità di interessi extraumani – non ultimo l’interesse per il corpo che voi designate con il sostantivato «il personale» – a mò di distrazione da quelle naturali attenzioni che ciascuno presterebbe a sé. Questi interessi esteriori all’essere umano vengono spacciati di norma come un arricchimento dello stesso, come sua ascesa verso un più alto grado di compiutezza. Essi vanno dall’impegno politico a quello culturale, dall’attività lavorativa alla tossicomania e via discorrendo: attitudini che possono essere bene espresse dalla parola «partecipazione», oggi tanto ripetuta. Partecipare ad altro significa sopprimere l’attenzione per sè, anche quando si partecipa ad un’attività politica imperniata sul «personale», come voi dite: donde l’inevitabile imbruttimento del corpo. Non so dire se ne consegua anche una vera e propria degenerazione cellulare ma certo è che, sperperando ognuno le proprie energie nella partecipazione, non gliene restano poi molte per il proprio sensuale abbellimento. E’ tutto ciò un bene per la società e gli individui? Una risposta valida in assoluto forse non esiste ma va notato che, essendosi tutti ormai livellati nella condizione di mediamente brutti, certi stridori che sarebbero potuti scaturire dagli eccessi di beltà o di bruttezza (i troppo belli e i troppo brutti su cui tornerò fra breve) ne risultano attenuati ed il conflitto degli individui su questo piano, la loro invidia, la loro emulazione, si stemperano in una generale mediocrità carnale. E poi resta ancora da chiedersi: a che prò abbellire se stessi? La risposta non può che essere scoraggiante poichè, ove l’incontro d’amore sia, come oggi è, un avvenimento equiparabile ad ogni altra quotidiana incombenza, ne deriva che il corpo non può che attenderlo nella sua normale ottusità dei sensi. Amare è diventato oggi una funzione, non dissimile da ogni altro atto che permette di portare a termine una giornata qualsiasi. Quante volte mi è toccato vedere giovani di ambo i sessi recarsi ad un incontro amoroso con la stessa allure nel corpo e nell’emozione con cui si sarebbero recati dal giornalaio o, diciamo, ad una riunione politica con l’unica differenza di un bidet in più o, a seconda dei gusti, in meno! Perché abbellirsi quindi se la funzione sessuale trova modo di espletarsi anche in una coltivata mediocrità ? Perché, giusto appunto, si tratta di una funzione e viene vissuta come tale. Esseri dalla carnalità sbiadita si incontrano, si accoppiano, non chiedono nulla al partuer se non un pò di igiene, di proprietà nel vestire, di tecnica erotica, di comunanza di idee e, quel che più conta, non chiedono nulla a sè stessi, si tollerano in quanto sensualmente mediocri. L’analisi apparentemente termina, ma purtroppo c’è di peggio. Ho in mente la terribile tribolazione sociale che tocca a due categorie apparentemente antitetiche ma molto vicine nella iattura: i troppo brutti e i troppo belli. Che ne è di costoro? I primi devono sottoporsi in solitudine, pena l’esclusione dalla copulazione generale, ad un procedimento di valorizzazione di sé che ha dell’innaturale; brutti come sono devono dotarsi di qualche pregio succedaneo, valorizzarsi insomma; se taciturni dovranno sforzarsi di diventare garruli, se ombrosi brillanti, se ignoranti istruiti, se spiantati facoltosi, se grossolani raffinati, e via dicendo. La condanna sociale che la natura ha loro inflitto è a ben vedere la molla che li costringe a cercare un tramite sociale diverso dal corpo, obbligandoli a costruire in sé qualche valore di scambio. La sventura dei troppo belli invece sta nel fatto che la natura, bizzarra com’è, li ha talora favoriti di altre propensioni ed attitudini, di cui la beltà non facilita certo lo sviluppo. Abbacinati come sono dalle basse profferte che ricevono in continuazione, vezzeggiati senza tregua in ragione della loro appetibilità, a costoro nessuno chiede altro se non iniezioni di carne umana. Questi disgraziati devono faticosamente lottare se vogliono crearsi una credibilità in settori diversi dal giaciglio. Devono in primo luogo imbruttirsi quel tanto che basta; la beltà di regola si accompagna alla vacuità intellettuale o almeno è questo un diffuso pregiudizio. E il nostro bello per intellettualizzarsi dovrà quindi imbruttirsi. Un eccesso di doti desta sospetto nella nostra società e l’una deve escludere le altre o, quanto meno, tutte possono essere simultaneamente presenti nello stesso individuo, ma in piccole dosi, nella mediocrità dell’uomo comune. La morale della favola, caro amico, sta in questo: che nessuno possa vivere in pace, che ogni cosa vada invece faticosamente guadagnata, anche il proprio essere! Che un individuo sia come è va vietato (ecco per inciso un lavoro per i nostri futuri legislatori penali: esprimere in norma giuridica il «divieto di essere»), pena l’esclusione dai benefici della società. Ed ecco che il bello dovrà rendersi sciatto, il brutto darsi una beltà intellettuale e la palude dei mediocri dovrà stare ben attenta a non uscire dalla invidiabile situazione in cui vive. Forse uomini di altre epoche non si sono curati di questo ordine di problemi; ereditavano dal passato un dato soma e non avevano necessità di costruirlo ex novo, di attribuirgli valore; le vesti, anch’esse ricevute dalla tradizione, esprimevano l’armonia dell’uomo con l’universo naturale. In altre civiltà, o quanto meno in certi ceti, si cercò invece di accentuare all’eccesso lo stridore fra la presenza – per qualche verso oscena – dell’uomo e il regno delle cose ricorrendo ad estrosi abbigliamenti; era un simbolo, spesso inconsapevole, della padronanza dell’uomo sul mondo. Oggi invece assistiamo per la prima volta allo spettacolo di un’umanità che nasce e vive corpore vacans e che deve quindi faticosamente guadagnarselo. Quante volte ho distolto lo sguardo dal triste spettacolo che offrivano di sé giovani operai vestiti da disc-jockey, signore benestanti cammuffate da prostitute, hippies e femministe travestiti dell’immagine di sé: tutti alla ricerca di un’identità qualsiasi, di una confezione entro cui vedere parvo pretio la propria carne cruda, mercanzia deperibile più di ogni altra! Distolti, come sono, da sé stessi in nome dell’idea forza della partecipazione non importa a cosa, si confezionano un’immagine accettabile (intendi sufficientemente creditizia) per la società in cui vivono ed adeguata ai ruoli che volta a volta si trovano ad interpretare. Non amando più sé medesimi diventando pessimi amanti in assoluto e l’assenza di lubricità e di lussuria si ripercuote fin nell’incarnato. La lubricità e la lussuria sono passioni troppo forti per il nostro tempo. Meglio impedirne il sorgere oppure lasciare che si dispieghino soltanto attraverso la mediazione politica: il risultato è identico. Il fatto è, mio ottimo amico, che oggi certi desideri sono assolutamente inconfessabili senza una debita mediazione. Nessuno – dico a puro titolo di esempio – osa ammettere di essere un porco, ovvero, se lo confessa, lo fa per celare qualche vizietto ben più turpe. E non è questo il caso degli oltranzisti avvocati del basso ventre, fra i quali prosperi? Voi infatti avete reso pubbliche certe pratiche quali la sodomia e il lesbismo, un tempo considerate riservate o addirittura da relegare nel postribolo: avete per così dire rivelato la vostra indole, il vostro vizietto poc’anzi segreto. Ma non avete per caso inteso nobilitare qualche lieve sconcezza al solo scopo di celarne una più grave, stante nella creazione di cànoni di sregolatezza nel cui ambito ogni deviante possa operare in santa pace ed in accordo con la società? Se così è non posso che ammirarvi. In tal caso il vostro operato sarebbe conforme alle parole di Sade che ti riporto per memoria: «Il n’est, en un mot, aucune sorte de danger dans toutes ces manies: se portassent-elles méme plus loin, allassent-elles jusqu’à caresser des monstres et des animaux, ainsi que nous l’apprend l’exemple de plusieurs peuples, il n’y aurait pas dans toutes ces fadaises le plus petit inconvénie nt, parce que la corruption des moeurs, souvent très utile dans un gouvernement, ne saurait y nuire sous aucun rapport, et nous devons attendre de nos législateurs assez de sagesse, assez de prudence pour ètre bien surs qu’aucune loi n’émanera d’eux pour la répression de ces misères qui, tenant absolument à l’organisation, ne sauraient jamais rendre plus coupable celui qui y est enclin que ne l’est l’individu que la nature créa contrefait». Se il vostro scopo è quello di rinvigorire i governi non posso che complimentarmi con voi, ma ditelo alfine, affinché ci si possa intendere! Io credo ed auspico infatti che l’accordo fra le grandi masse popolari e le minoranze dei devianti sia oggi possibile. Sta a voi percorrere ancora un passo; la devianza non contrasta il modello di sviluppo che noi comunisti perseguiamo, anzi gli è assolutamente necessaria. Ma tocca a voi capire che la difesa del «sessualmente diverso» per garantirgli l’esercizio sereno della sua devianza non è, a ben vedere, lo scopo ultimo; quel che più conta è la costituzione di minuscoli centri sociali (altra parola non saprei trovare visto che il termine anglosassone racket mi è molesto) nel cui ambito l’aspirante deviante attui il suo tirocinio e si guadagni il diritto di prendere i suoi sfoghi alla luce del sole, col placet della società. Guai se la diversità sessuale fosse un dato di partenza! Essa deve essere invece uno stato di imperfezione che accede alla sua compiutezza solo se l’individuo sa guadagnarsela, solo qualora venga conseguita dopo una dura lotta. Un amico giornalista mi ha riferito un vostro slogan scherzoso e provocatorio che così suona: «Lotta dura, contro natura». Ebbene, dovete prenderlo sul serio, dovete lottare e specialmente fare lottare per costruire una vostra dignitosa diversità nella società; i vostri circoli, le vostre pubblicazioni, i vostri gruppi siano i luoghi in cui la devianza viene guadagnata! Tu, caro amico, sei troppo abituato a riflettere perché debba ricordarti che il capitale non è un’entità statica, bensì un processo di valorizzazione. E che un uomo eterosessuale diventi sodomita è del pari un processo. Ma è anche un processo di valorizzazione? Posso a cuor leggero rispondere affermativamente a condizione beninteso che la devianza sessuale venga in qualche modo politicamente nobilitata. Un pederasta che accede al suo status pubblico mercé la politica vale qualcosa, può avere un suo credito; un uomo che, fra le altre cose, è anche un pederasta, non val nulla e deve averlo presente in ogni momento. Continui pure a frequentare vespasiani!

Perché mai dovremmo opporci alla devianza considerato che la capitalizzazione dei pianeta non è stata altro che una colossale devianza da modi di produzione e di vita talmente radicati da essere considerati «leggi di natura»? Ma c’è di meglio. Nella dura lotta verso la costruzione della diversità sessuale alfine consentita non è forse possibile celare la generale mediocrità carnale che caratterizza l’epoca sì da renderla accetta? Il deviante che insegue e conquista il suo vizietto particolare non si convince forse di essere pervenuto ad un grado passionale più alto rispetto alla norma, di godere di più rispetto all’uomo comune (se mi consenti l’espressione sguaiata) al punto di non avvedersi più dell’insipidità del suo germe passionale, in tutto e per tutto simile a quella dell’eterosessuale, a dispetto della bizzarria delle pratiche intime? Una devianza qualsivoglia, se faticosamente conquistata, sembra già molto, dà al perverso il gusto della diversità, lo fa sentire eroico, celandogli per converso la mediocrità corporea che si porta addosso. Per nostra buona sorte non si parla spesso di questo grigiore corporeo che dà la sua impronta all’epoca né nelle formazioni politiche, né nei cenacoli di amici. Si divaga invece, spesso e volentieri, sulle varie pratiche sessuali, sui vantaggi e gli svantaggi di ognuna, sui modi idonei a sperimentarle, sulla necessità di renderle accette alla società ed in questo calderone la fantasia e la logorrea di ognuno trova modo di sbizzarrirsi un poco. Tutto ciò premesso, non posso che valutare con favore la vostra lotta per la diversità sessuale, la quale asseconda l’ordinato movimento di antropomorfizzazione del capitale. Esso, come ben sai, ha avuto bisogno di mercanzie sempre diverse e sempre rinnovate. E la sua voracità continua, richiedendo ora una merce umana à la page, ciò che significa, nell’ambito che abbiamo indagato, l’immissione di nuovi modelli di mercanzia sessuale nel mercato dei comportamenti.

Sì alla valorizzazione della devianza, di ogni devianza.

Sì alla creazione indefessa di nuove devianze.

Continuate compagni, ma con rigore.




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