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Burnout

“Il segreto è mantenere l’entusiasmo e riuscire a trasmetterlo”.

Stanotte, l’insonnia e il “malu chiffari” (ossia la condizione di assoluta assenza di occupazioni a cui rivolgere la propria attenzione) mi ha portato a fare un’auto-diagnosi. Ovviamente, come tutte le auto-diagnosi sarà sbagliata tanto quanto cercare su Google i sintomi di un raffreddore.

Partiamo dalla considerazione che essere entusiasti e appagati del proprio lavoro, senza atteggiamenti da fenomeni, sia il segreto per lavorare bene e costruire qualcosa di vincente. Per anni, credo di avere lavorato con Entusiasmo e di essermi divertito a fare ciò che facevo.

Oggi la domanda è diventata: sono sempre stato entusiasta del mio lavoro? Lo sono adesso? E’ stato entusiasmo ben indirizzato oppure ho dedicato risorse a qualcosa che non ha contribuito a creare un vero team?
Sono domande che, a un certo punto della carriera professionale, vanno fatte.

Oggi Che Sto lasciando Londra per tornare a casa, oggi che le persone a cui lo dico mi guardano come se fossi un marziano, devo chiedermi se ciò che ho costruito negli ultimi anni è andato nella giusta direzione. E allora, questi anni sono stati di entusiasmo o mi sono impegnato in un’unica missione: sfinirmi? Anche perchè oggi di entusiasmo ne ho poco. Insomma dove “schifiu” è finito il mio entusiasmo?

Ho letto un interessante post di Monica Torriani sul “burnout”, ossia a quella forma di esaurimento fisico ed emotivo che si manifesta in professionisti sottoposti a stress elevato. Il post parla del burnout dei medici, ma (leggendo come si manifesta) può essere adattato ad ogni professione che implica un serio senso di responsabilità verso il prossimo.

La definizione di burnout è “sindrome complessa, a componente prevalentemente psichica, che si instaura come risposta a una condizione di stress lavorativo prolungato” (Tomei, Tomao, Sancini, 2003). Lo stress viene definito come “reazione interna a stimoli interni ed esterni che producono un’attivazione fisiologica e uno sforzo emotivo, che mettono in moto risposte cognitive o comportamentali” (Westen, 2002).

La cosa divertente è che il burnout è stato studiato e descritto come una malattia specifica dei professionisti impegnati nell’aiuto del prossimo e alla fine gli effetti sono: insoddisfazione, nervosismo, senso di svuotamento, perdita di entusiasmo e di impegno personale, sensazione di fallimento e disamoramento verso il proprio lavoro. La mia reazione è stata: “m…ia, io sono!“.

Siamo seri, io non credo che ho fatto l’imprenditore con l’intenzione specifica di aiutare il prossimo (non sono certo paragonabile a un medico o un infermiere), ma certamente, per educazione e formazione, se ho messo su un’azienda ed ho assunto dei lavoratori, mi sento anche responsabile del loro benessere. Non li aiuto nel senso stretto della parola, ma mi impegno per loro, per tutelare il loro lavoro. Capisco che il ragionamento che sto seguendo è da ricovero, però è così.

Ho trovato uno studio che ha sottolineato che il Burnout non è un fenomeno circoscritto solo alle professioni di aiuto, ma può verificarsi in qualsiasi organizzazione (Lloyd e all, 2002). Questo studio ha rafforzato la mia auto-diagnosi e questo, forse, spiega molte delle cose che mi stanno accadendo ultimamente. 

Il problema è che è fondamentale sentirsi soddisfatti e gratificati dal proprio mestiere per poter raggiungere risultati importanti e avere la giusta motivazione. Quando questo viene meno non si riesce nemmeno a dare il giusto esempio agli altri, si mette sotto pressione l’organizzazione e i risultati non sono entusiasmanti.

Bene, ora che mi sono auto-diagnosticato il burnout, che fare?
In siciliano si dice che “non si può mungiri a petra pi nesciri sugu“, ossia non si può mungere la pietra ed aspettare che esca il succo, quindi urge ritrovare entusiasmo, ovunque si sia nascosto.

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