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Dylan della pianura (padana e non solo...)

(di GIUSEPPE MARESCA) - La Morte, la Morte, la Morte che arriva, La Morte schifosa, la Morte lasciva./La Morte che vola, la Morte normale, che cela pietosa del mondo ogni male./La Morte che vive, la Vita che muore, la Morte, la Morte, la Morte e l’Amore;/che aspettano insieme il Grande Giudizio e non hanno mai fine, non hanno mai inizio.

Dellamorte Dellamore, romanzo di Tiziano Sclavi pubblicato nel 1991 dalla compianta Camunia, non è solo il romanzo che ha ispirato il personaggio di Dylan Dog (che anzi, a parte una certa visione disincantata del mondo non ha nulla a che fare con l'inquilino di Craven road), ma è un romanzo di riflessione psicanalitica che parte da un ritratto impietoso (e veritiero) della provincia italiana per poi, come un'epidemia zombie, spostarsi al resto del mondo, che è in fin dei conti tanto piccolo da sembrare una provincia. E' la lotta di un cinico sognatore contro la stupidità dilagante, contro il conformismo, contro le miserie umane, contro "i morti viventi e i vivi morenti", nella quale il protagonista (troppo crudele per essere buono ma troppo romantico per essere cattivo) è assistito da un amico suo omonimo che sente solo per telefono (e che forse neanche conosce poi così bene) e da un "diverso" Gnaghi (nome onomatopeico che, oltre a rappresentare l'unica sillaba che riesce a emettere un lapidario "Gna", ricorda la lallazione dei bambini e dei diversamente abili, cioè dei puri) che proprio nella sua diversità risulta più sano del resto del mondo.
L'ambientazione è plumbea, piovosa, tanto che sembra di vivere in un continuo inverno o autunno della pianura padana, e quando il sole spunta (rare volte) è come se volesse "guastare il maltempo". Per chi ha vissuto come me a Pavia o nell'hinterland tra Milano e Alessandria non sarà difficile immaginare gli scenari e le nebbie che circondano Buffalora e il suo cimitero che danno una connotazione onirica allo svolgersi dei fatti, come la rocca di Montalino che come da buona tradizione del Romanzo gotico domina coi suoi segreti (ma il vero orrore è solo la decadenza della nostra civiltà che non ha più posto per manieri infestati da fantasmi e affini) il paese in cui vive Francesco Dellamorte Dellamore. E' un romanzo "crepuscolare", fatto di vecchie "cose buone di pessimo gusto", come una Bianchina, un vecchio telefono (io e il mio amico Tanino impazzivamo da ragazzini a citare la prima sequenza dialogica del romanzo ogni volta che ci telefonavamo, imitando a turno Francesco Dellamorte che chiamava un amico dal suo vecchio telefono anni '50), una vecchia pistola a tamburo, la vecchia grappa fatta in casa e vari suppellettili della vita contadina delle città di provincia.
Sclavi mette al servizio del lettore tutta la sua abilità letteraria e fumettistica, dividendo i capitoli come una sceneggiatura, e come tale scrivendoli e facendoli iniziare con un bel disegno di Angelo Stano che anticipano ciò che succederà nel capitolo e contribuiscono a creare un'atmosfera livida all'interno della storia; ma soprattutto c'è il genio poetico di Sclavi all'inizio di ogni capitolo, dove una ballata (o se vi fa più piacere, pasolinianamente parlando, una filastrocca popolareggiante) che tra il serio e il faceto filosofeggia sulla vita, sulla morte, sull'esistenza e il suo male di vivere, o più poeticamente su "la grazia il tedio o morte del vivere in provincia", come avrebbe detto Guccini. Difficile e irripetibile scrivere un romanzo così, disperatamente romantico, giullarescamente ironico, scientificamente profetico, paurosamente inquietante. Alzi la mano chi non si è identificato una volta col custode del cimitero di Buffalora nella ricerca di un "amore impossibile", di tante donne che somigliano a "Lei", così diverse tra loro ma così uguali nell'essere tutte umane. Romantica, pragmatica, puttana, materna, conturbante, fascinosa, Lei si muove in questo arabesco autunnale portando non la Morte, ma la Vita nella sonnacchiosa e grigia vita del protagonista (e non solo), come fantasmatica, carnale ed eterea protagonista di un affresco tra antico e moderno. Prosa asciutta, cinematografica, metalinguistica, poetica. La Morte e l'Amore fanno così paura a tutti noi, ma fanno anche parte di noi stessi, dei nostri gesti, dei nostri pensieri, di ogni nostra singola azione conscia e inconscia, proprio perché "non hanno mai fine, non hanno mai inizio". Forse, come suggeriva una vecchia canzone di Branduardi (probabilmente ripresa da un'anonima ballata medievale), basta far diventare la Morte ospite d'onore del ballo della vita, invitarla a danzare come fa il protagonista del romanzo, offrirle una grappa a Buffalora (ok, il paese esiste realmente nella provincia di Pavia, patria natia di Sclavi, ma se lo si anagramma diventa "l'ora buffa", nome adatto al tono spesso ironico e demitizzante del romanzo) e le si può pure togliere la falce di mano. Inutile ricamarci sopra: geniale.


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