Difficile non partecipare a una Performance di Dynamis. Gli attori di questo piccolo e coraggioso collettivo ti prendono, ti trascinano dentro al meccanismo teatrale, lo sperimentano e lo esplorano con te. “Dynamis è ampia e permeabile”: in questi tempi di piccoli recinti, di muri invalicabili questa dichiarazione di intenti è già rivoluzionaria.

Ho partecipato (difficile non farlo) a Dynamica, tre giorni, che sono diventati cinque, di performance che Dynamis ha organizzato al Teatro Vascello di Roma e nelle vie del quartiere di Monteverde. Quattro lavori (Y, ID, M2 e 2115) molto diversi tra loro, ma accomunati dallo stesso impegno, ammirevole e tenace, a coinvolgere lo spettatore in un lavoro collettivo, spesso giocoso, a volte faticoso, di analisi delle relazioni umane e della realtà sociale.

Dal campo esagonale della partita di calcio a tre squadre che ha dato il la alla manifestazione (Y), al metro quadro abitato da sette persone sul palco del Vascello (M2), fino alla piccola stanza bianca abitata da due sole persone (ID) e  infine al foyer del teatro per la performance finale (2115): Dynamis sceglie e organizza gli spazi scenici come laboratori sociali, luoghi di incontro e confronto tra identità diverse, occasioni di ricerca collettiva e collaborativa con il teatro e sul teatro.

In questi cinque giorni Dynamis mi ha portato su un barcone di migranti, mi ha fatto viaggiare nel futuro, mi ha riportato indietro nel tempo agli anni Sessanta, mi ha fatto conoscere qualcosa in più di me attraverso gli occhi di una giovane sconosciuta. Il teatro di Dynamis è intimo e allo stesso tempo pubblico, è teatro che ti trasforma mettendoti in gioco, in relazione con te stesso e con gli altri. Sono ammirato dai giovani di Dynamis e mi dà sollievo pensare che quel 2115 in cui hanno spedito le testimonianze di un mondo tanto doloroso come quello di oggi sarà costruito anche grazie alla loro arte e alla loro energia.