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Smart working: vantaggio o rischio?

La diffusione del lavoro “agile” apre il dibattito su diritti e tutele

Tra le tante Forme di progresso economico e finanziario che si susseguono nel tempo e che cambiano il panorama dell’industria e del mercato nazionale e internazionale, ESG89 Group ha da sempre dedicato grande attenzione all’avvento delle nuove forme lavorative e collaborative 4.0.

Presa consapevolezza della fine del concetto di Lavoro come è sempre stato inteso dal dopoguerra ad oggi, nuove forme e nuovi rapporti lavorativi prendono velocemente piede, per rispondere alle esigenze delle aziende, dei mercati e dei singoli individui. Ultima tra le formule lavorative approdata in parlamento è quella definita smart working, dove la parola “smart” acquista il significato, complesso e caratterizzante, di “agile”.

Lo smart working, infatti, raccoglie tutte quelle forme di lavoro che implicano un’uscita dal modello rigido delle otto ore lavorative da effettuarsi necessariamente in ufficio, a beneficio di rapporti di lavoro più elastici, finalizzati all’integrazione delle esigenze del lavoratore da una parte, e delle dinamiche aziendali dall’altra. Tutto questo viene reso possibile da regole aziendali più morbide e da sistemi di welfare d’impresa a sostegno del singolo lavoratore (permessi speciali o asili aziendali per citare due tra gli esempi più noti).

La prima impressione che si ha è quella di un’evoluzione virtuosa del rapporto lavorativo, in una società in cui la distinzione tra tempo libero e lavoro è sempre più labile e in cui tutti devono essere sempre reperibili e pronti all’azione. Ad uno sguardo più attento, tuttavia, la situazione appare immediatamente più complessa.
Sebbene la normativa approvata nel maggio 2017 sulla disciplina dello smart working abbia trovato il consenso tanto dei lavoratori quanto delle aziende, il rischio, come sottolinea Emanuele Dagnino, ricercatore di diritto del lavoro di Adapt, è quello di una sovrapposizione tra alcune forme di smart working e telelavoro, nonostante le due mansioni siano regolate da normative diverse. Di pari rilevanza, inoltre, è la questione della sicurezza sul lavoro e della copertura Inail: quest’ultima, infatti, svincolata dall’aspetto fisico del luogo di lavoro, trova l’unica via di fuga nella stipulazione di accordi bilaterali scritti tra dipendente e azienda. A tutto questo, inoltre, poco giova il confronto con le realtà normative degli altri paesi europei, poiché l’Italia è, al momento, l’unico paese ad aver regolarizzato lo smart working a livello giuridico.

Ultima, ma non meno importante, è la questione del diritto alla disconnessione, ovvero la pretesa legittima degli individui alla facoltà di essere irreperibili, a livello professionale, fuori dall’orario di lavoro. Se si mettono sullo stesso livello lo smart working e il diritto alla disconnessione, la complessità aumenta in maniera esponenziale, e la tutela, come spiega Guido Callegari, partner dello Studio legale De Berti Jacchia Franchini Forlani ed esperto di diritto del lavoro, diventa ancora più difficile.

A maggiore libertà e flessibilità corrispondono, ancora una volta, minor sicurezza e minori tutele. Il punto d’equilibrio è difficile da trovare, e continuano a formularsi nuovi interrogativi sulla validità, e sulla solidità, di queste nuove forme di lavoro.

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