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Roba bella da leggere, ascoltare e guardare (#6)

Lista settimanale di roba bella che ho letto, Podcast e video interessanti.

(Questa volta è venuta fuori una lista molto “politica”)

Cambia Gioco

A me Luca Sofri piace e sta simpatico. Mi piaceva quando faceva Condor in radio e quando era solo uno dei più popolari blogger italiani. Sofri di solito scrive sempre cose ragionevoli e condivisibili. Questo pezzo mi è sembrato particolarmente ben riuscito.

Ripensare, è una cosa che non sta facendo nessuno. È umanamente comprensibile, è una specie di rimozione: dovunque ti giri vedi sconfitte e tendenze demotivanti, e cercare soluzioni ha come più probabile e immediata conseguenza trovare fallimenti. Non venirne a capo. Non sapere da dove cominciare. Lottare ogni giorno con accuse e insulti di ogni genere. Ma se la reazione è pensare che le cose a un certo punto vadano a posto da sole, non ci vedo messi benissimo.
A un certo punto, in certe partite di calcio, si vede che su un fascia non si riesce a portare avanti la palla: girano i passaggi, ma si resta sempre lì, poi uno scatta, si prova un lancio, ma viene intercettato, o quello finisce in fuorigioco. Il pubblico fischia. Non c’è verso.
Allora uno si allarga sulla fascia opposta e qualcuno dagli spalti urla a quello con la palla: “cambia gioco!”.

Il mercato dei podcast

Su Link è uscito questo pezzo che cerca di raccontare cosa stia succedendo Nel Mondo Dei podcast. Io sono un gran fan dei podcast, ma non sono del tutto sicuro che questo pezzo sia perfettamente centrato. Comunque vale la pena leggerlo.

Eppure i podcast non sono mai stati così new come oggi. Tutti parlano di Serial, di Invisibilia, di The Moth, come dell’ultima novità nel mondo dei media digitali, come del “Netflix dell’audio”. I podcast sono diventati la nuova frontiera dell’hipster a caccia di un nuovo bene di consumo che gli permetta di distinguersi dalla marmaglia del consumo generalista. Una volta che le serie tv di Hbo e Netflix sono state sdoganate dalla cultura mainstream, podcast come Serial, The Heart, 99% Invisible o WTF sono i nomi da tirar fuori per distanziare i propri consumi culturali da quelli del resto della truppa.

Il taglio del bosco

La storia di un uomo e di suo padre, del bosco del padre che doveva essere tagliato e della battaglia di questi due uomini contro la mostruosa macchina digitale della burocrazia italiana.

Dopo qualche giorno il geometra Boschi ha risposto che andava abbastanza bene, ma che la provincia era sbagliata e che alla Regione non gli davano risposte perché non sapevano bene di chi fosse la competenza, visto che la riforma Delrio sull’abolizione delle provincie era stata abolita dalla vittoria del No al referendum costituzionale del 4 dicembre, e di provare a correggere online il documento, che se no bisognava compilare tutto da capo. Così sono riandato sul sito, questa volta da solo, solo che il documento non si poteva più correggere e comunque dopo un solo accesso, sul sito compariva una scritta che diceva: «Per improrogabili interventi di manutenzione l’accesso è interrotto fino a data da destinarsi».

La società post fattuale e noi

Christian Rocca scrive un pezzo breve, ma preciso e puntuale per commentare cosa sia oggi la “società post fattuale”. Un editoriale di accusa verso un certo tipo di giornalismo e un modo tutto italico di affrontare i problemi.

Il problema invece è la post truth, la società post fattuale. Spesso viene confusa con le fake news, ma anche se il più delle volte viaggiano insieme, le fake news sono semplicemente notizie false, che ci sono sempre state. Mentre la post verità è la crescente inclinazione verso uno stile paranoico del dibattito pubblico per cui i fatti e la realtà non contano più, la società è più vulnerabile alle manipolazioni e le democrazie sono sotto scacco del pensiero-unico-della-pancia-del-paese. Trump e Grillo sono il sintomo di questa patologia, non la causa, tantomeno la cura. La causa siamo noi.

I due corpi del popolo

Parlando di Trump e Grillo, un bel pezzo di Roberto Esposito sull’uso spesso scorretto del termine “populismo”.

Ci sono parole maledette — nel senso di “dette male” — che, in certe stagioni, calamitano l’attenzione e anche il risentimento generale. È il caso, oggi, del lemma “populismo”. Intendiamoci: il populismo contemporaneo, con tutte le sue distinzioni interne, contiene effettivamente i rischi che si paventano. Ma, se resta confinata alla parola, senza andare alla sua radice, la discussione rischia di rimanere superficiale e di precludersi la strada per fronteggiarlo adeguatamente. Inoltre, nel momento in cui si individua in ogni populismo il nemico da combattere, si rivolge contro di esso lo stesso schema binario che il populismo usa nei confronti dei propri avversari: noi contro loro. E su questo terreno esso è più forte, come appare in tutti gli scontri in atto di questo tipo.

Il gioco si fa serio

Link pubblica online un’intervista già uscita nel 2012 sulla versione cartacea della rivista. Si tratta di un dialogo con il professore Peppino Ortoleva, autore di un libro sul rapporto tra il gioco e la cultura del XXI Secolo. (Il gioco è un tema che questa settimana torna spesso). L’intervista è lunga e complicata, ma è davvero stimolante, cercate di arrivare alla fine.

Le relazioni sociali sul web, per poter funzionare, hanno in generale bisogno di una componente ludica. Anche lì si va da un estremo all’altro. Da un lato c’è un aspetto affaristico e professionale, esemplificato da LinkedIn, un social network che funziona ma non è un gioco. Allarghi la tua rete di conoscenze, scambi biglietti da visita. È una rete inerte, troppo pesantemente strumentale. Non è relazionale, è cumulativa. All’estremo opposto si trova Second Life, che ti dice “travestiti, andiamo a fare baldoria insieme”, ma non attira quasi nessuno. Un po’ perché l’ambiente è lugubre, ma soprattutto perché è un sistema di relazioni totalmente fine a se stesso, tanto ludico nei comportamenti quanto privo di gioco nelle relazioni. Sarò brutale: ti devi mettere in maschera per andare a una festa di carnevale di cui non ti frega nulla. Una cosa che tutti abbiamo vissuto, da bambini, e non ne abbiamo un buon ricordo. In mezzo sta Facebook. E al centro di Facebook c’è il cazzeggio: non ci sono altri termini. È un cerchio magico larghissimo: va dall’estremo di comunicarsi informazioni utili all’estremo che è lo scambiarsi battute. È un fenomeno adattivo anche questo, con una sua storia, una sua temporalità, delle sottoaree.




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