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Il canto del cigno. Breve cronaca di un artista dappoco

IL CANTO DEL CIGNO

Breve cronaca di un artista dappoco

Iannozzi Giuseppe

Le sue amanti erano state tutte delle poco di buono, un po’ come Margherita Gautier.
L’oncologo si era espresso in maniera netta e chiara: “Non si guarisce dal tumore, si può solo tentare di portarlo in un fase remissiva. Nel suo caso, purtroppo, non possiamo fare niente. Inutile che la illuda. Lei ha un tumore al quarto stadio, non è operabile, e nemmeno la chemioterapia servirebbe da palliativo. Ci sono metastasi al fegato, all’intestino, ai polmoni e alle ossa. E’ un mezzo miracolo che si regga ancora in piedi. Quantificare il tempo che le resta non è possibile, forse un paio di settimane, forse tre. L’unico consiglio che mi sento in dovere di darle è uno: metta a posto le cose che può ancora mettere a posto.”
Andrea rimase muto.
La sentenza di morte se l’aspettava, non si era fatto illusioni. Lo sapeva che non gli restava molto. La Nera Signora gli era sulle spalle e non c’era momento che non lo tormentasse con i suoi baci a fior di pelle.
“Mi spiace”, aggiunse il dottore.
Andrea ruppe il silenzio: “Sapevo di dover morire da ben prima di venire qui.” E guardando il dottore dritto negli occhi, esplose la domanda che gli premeva in petto: “Lei non crede in Dio, glielo leggo in faccia. Noi tutti siamo poi solo degli animali che hanno l’arroganza di credersi amorevoli e intelligenti più di qualsiasi altra forma vivente.”
L’oncologo regalò ad Andrea un sorriso scimmiesco a conferma del fatto che le cose stavano proprio così.

Fuori dall’ospedale splendeva un sole paglierino, che in ogni caso lo disturbava. La fotofobia gli dava forse più fastidio della debolezza e dei tanti dolori che gli correvano lungo tutto il corpo. La morte gli ricordava che stava per spegnersi, per sempre. E per fargli dispetto, lei lo baciava sugli occhi oltre che sulle labbra e un po’ dappertutto.

Nella sua bottega riposavano centinaia di quadri.
Aveva passato anni e anni a dipingere, senza mai riuscire a combinare granché. I suoi dipinti erano delle croste, riusciva ad ammetterlo soltanto ora. Aveva buttato la sua vita dipingendo. Si era illuso di poter essere un novello Caravaggio. Con ostinazione bambinesca ci aveva creduto per troppo tempo, e alla fine il tempo gli aveva presentato il conto, al massimo ancora due settimane di vita, forse tre. Non era mai stato un artista; di pittori capaci di buttare un po’ di colore sulla tela il mondo ne era pieno e non sapeva davvero che farsene. Il talento, quello vero gli era sempre mancato, ma Andrea si era sempre rifiutato di ammettere la crudele verità, e aveva continuato a imbrattare tele su tele. I suoi quadri erano penosi e basta, anche se agli amici piacevano. Gli piacevano perché il loro occhio non era quello di un vero critico che di arte ne capisce, anche se non saprebbe disegnare manco una croce su un misero foglio di carta. A ogni modo, nemmeno gli amici, che nel corso degli anni avevano lodato i suoi miseri lavori, avevano mai messo mano al portafogli, però sarebbero stati ben felici se lui glieli avesse regalati, e in qualche caso, a titolo d’amicizia, aveva dato via delle tele senza pretendere nulla in cambio; e solo ne aveva ottenuto che a chi aveva regalato i suoi lavori era scomparso dalla sua vita, temendo che, un giorno o l’altro, Andrea gli avrebbe chiesto qualcosa.
Le donne non erano state generose né amorevoli con lui. Erano apparse nella sua vita e subito erano scomparse, ma non prima di avergli scavato ben bene dentro al portafogli. Troppo tardi Andrea si era reso conto che sempre aveva avuto a che fare con delle moderne cortigiane.
Gettò uno sguardo alle tante tele ammucchiate nell’atelier e pensò che non sarebbe stata una cattiva idea distruggere tutto. Non gli sarebbe costato sforzo alcuno appiccare il fuoco a tutto quel ciarpame. Non vedeva davvero nessun valido motivo per cui dovesse lasciare la sua arte da quattro soldi a famigliari e amici, che, poco ma sicuro, dopo la sua dipartita si sarebbero prodigati a dileggiarlo e basta. Fra sé e sé pensò che da anni le persone che gli erano rimaste vicine erano davvero poche. In ogni caso era meglio non correre rischi. La soluzione migliore era una e una sola, e Andrea lo sapeva bene.

Entrò nel primo minimarket che gli si parò davanti.
Erano passate due settimane buone e la sua vita era oramai ridotta al lumicino. Nonostante il tumore l’avesse oramai del tutto consumato, chissà perché riusciva a tenersi ancora in piedi. La luce dei tubi al neon gli feriva gli occhi, ma si impose di non darlo a vedere, perché non voleva che la gente si accorgesse che era sol più buono per la tomba.
Arrivato alla cassa, sorrise debolmente per non far capire che non stava affatto bene.
Nel carrello c’erano davvero poche cose.
“Buongiorno”, esplose la cassiera, con fin troppa allegria.
Andrea non disse niente, si limitò a posare sul nastro trasportatore gli articoli che intendeva acquistare.
La cassiera doveva avere la sua stessa età, non era né giovane né vecchia, e non era una bellezza. Probabilmente era single, con un divorzio alle spalle e con un paio di figli adolescenti da mantenere. Probabilmente cercava una nuova anima gemella, o un altro pollo da spellare ben bene.
“Alcool puro al 99 per cento!”, esclamò d’un tratto, come se la cosa la sorprendesse. “Non sono molti i clienti che lo acquistano, solo quelli che amano farsi il limoncello in casa”, aggiunse. Era chiaro che la tipa voleva attaccar bottone.
Andrea finse di non aver sentito.
“Lei è un tipo di poche parole”, disse ancora lei.
Andrea fece un cenno di assenso con il capo, raccolse in un sacchetto la merce, da una tasca dei pantaloni tirò fuori il portafogli e passò alla cassiera un biglietto da dieci euro. Finalmente la tipa batté lo scontrino.
“Buona giornata, signore!”, strepitò la donna costretta a stare in cassa, mentre Andrea con il sacchetto in mano già usciva dal minimarket.

Entrò nell’atelier con la bottiglia di alcool in mano.
Senza pensarci su, stappò la bottiglia e cominciò a innaffiare le tele. Per stare dietro al suo talento, che valeva zero, aveva rinunciato a tutto, alla possibilità di trovarsi una donna che lo amasse almeno un po’ e che gli desse un figlio, e non si era preso cura di sé stesso come invece avrebbe dovuto.
I quadri stavano davanti ai suoi occhi. Si accese una sigaretta e subito cominciò a tossire come un ossesso ma la consumò fino a metà, dopodiché la buttò sui quadri. Il fuoco divampò in un lampo.
Andrea pensò che, forse, si sarebbe dovuto lasciar divorare dalle fiamme insieme ai suoi quadri. E invece uscì dalla bottega. Nel giro di poco tempo, qualcuno si sarebbe accorto dell’incendio e avrebbe chiamato i pompieri.
Aveva sistemato i suoi affari in sospeso, questo aveva fatto.
Un sorriso sghembo gli fiorì sulle labbra, mentre cadeva in ginocchio senza più un solo filo di fiato nei polmoni. In un ultimo barlume di lucidità, Andrea realizzò che non era escluso che le fiamme avrebbero avuto ragione, in parte o del tutto, delle sue spoglie.

Giunti sul posto, i pompieri spensero senza troppe difficoltà il fuoco. Nell’incendio non una tela si era salvata.
Il corpo di Andrea era stato lambito solo per metà dalle fiamme.
“Non si è trattato di un incidente. Il fuoco è stato appiccato”, disse un pompiere.
“Poco ma sicuro”, confermò un suo collega.
“Il mondo è pieno di pazzi che giocano con il fuoco. E qualcuno ci rimette le penne”, sentenziò un altro pompiere.
Le fiamme avevano accarezzato Andrea fin sopra la vita, non di più. Sul suo volto si poteva notare l’accenno di un sorriso tanto doloroso quanto enigmatico.

Il giorno dopo, sulla pagina della cronaca nera de La Gazzetta si parlava di Andrea Spaziani che aveva dato fuoco alle sue tele. Un giornalista alle prime armi aveva gettato giù poche righe per un trafiletto che occupava un angolo davvero poco in vista del giornale: “Nella giornata di ieri, 24 novembre 2***, Andrea Spaziani, pittore dell’hinterland bolognese, ha dato fuoco al suo atelier. Le indagini condotte non lasciano spazio ad alcun dubbio, l’uomo intendeva ridurre in cenere le tele che aveva dipinto. Secondo alcune indiscrezioni, negli ultimi mesi l’uomo era apparso profondamente depresso. Il corpo esanime dell’artista è stato trovato non poco distante dalla sua bottega. Sarà l’autopsia disposta dal P.M. a determinare le effettive cause della morte dell’uomo.”



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