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Un giorno una lacrima la piangerai

Un giorno una lacrima la piangerai

ANTOLOGIA VOL. 67

Iannozzi Giuseppe

VORREI

Vorrei poter non esser banale
Lo vorrei sì, per non farti del male
Da lontano t’ammiro, con paura quasi
che possa tu scivolarmi via
come sabbia fra le mani aperte

Vorrei poterti amare, in fondo
fra cielo e mare, oltre il tramonto
e l’alba, oltre il sole la luna
e l’alta e la bassa marea
Vorrei cantarti una canzone nuova
che sia di fiamme e d’aurore boreali

Vorrei non farti alcun male

E vorrei non doverti dire
che le mie labbra son semplici,
quelle d’un uomo che t’ama

IL TUO SCHIAVO È QUI

Il tuo schiavo è qui
Gli hanno comandato di obbedire,
di non mettere in disordine l’Egitto
Il tuo schiavo è qui,
ha solo riparato alla meno peggio
la sua vita,
perdendosi nei secoli

Quando cala la sera
accende milioni di candele
per disperdere l’oscurità,
per scorgere l’ombra della verità,
per non correre il rischio
che i secoli lo scalzino troppo

Il tuo schiavo ha visto,
ha visto tirar su piramidi di dolore,
ha visto cadere la gloria delle nazioni
A occhio nudo ha visto
amore e odio stringersi di nascosto la mano,
e ti può dire che in giro per il mondo
non molto è cambiato:
nei campi di concentramento
uomini donne bambini muoiono
scavandosi il viso nel filo spinato

Il tuo schiavo è sempre qui
Di tanto in tanto scrive le sue memorie
nascondendole come meglio può
dalla malvagità degli occhi delle spie
perché non ha tempo da perdere,
perché ha ancora tanto da fare
nel tentativo di salvare una vita
che salvi il mondo intero

STUPITA TENEREZZA

Un Giorno ti ricorderai
Sì, un giorno vedrai il mio viso
fisso dentro al tuo sorriso
E ti ricorderai di me,
di com’ero stupito bambino ad amarti
senza nascondere lacrime e pudore

Un giorno ti ricorderai
di come feci esplodere la tua risata
per una farfalla catturata fra le dita
Un giorno, un giorno non lontano
troverai che sul vuoto tuo cuscino
riposa silente il sogno mio
E allora sì, una lacrima la piangerai

Un giorno,
un giorno non lontano
quando tutto sarà passato
e testa o croce
non avran più significato,
quel giorno capirai tutto quello,
tutto quello che la timidezza
non m’ha lasciato dire

Un giorno,
un giorno piangerai
Come una bambina viziata,
come una donna
che ha imparato la tenerezza,
tu piangerai

Un giorno,
un giorno non lontano,
a dispetto del tempo
avrai il petto pieno fiero di te
Un giorno,
un giorno mi cercherai
senza più vergogna
né desiderio di vendetta
Un giorno,
un giorno mi vorrai
accanto al tuo cuscino
a sussurrarti all’orecchio
storie di farfalle
che volano lontano lontano
per tornare sui fiori a primavera,
a primavera

Quel giorno capirai tutto,
tutto quello che la timidezza
non m’ha lasciato dire
Quel giorno troverai
la tua vera tenerezza,
in bilico sul confine degli occhi

IL MARE DI CYBILLA

Il più bello dei mari, il più tenebroso
e pur sempre il più bello non ha incontrato
ancora il tramonto dei miei occhi
Il più bello no, non l’ho ancora navigato

Carco di anni, la pelle di tumori di soli
di albe di sale, oramai vecchio
veglio quella sì tanto sottile linea
là dove il sole colora ora di rosso
ora di nera tempesta il nuovo dì
e quello che invece va a riposare

Le mani che raccolsero abbondanza di pesci,
queste mani marinaie che portarono carezze
sulla liscia pelle di tante amanti
oggi sono così stanche, così tanto
che non è possibile farvi capire, mia Signora,
se non col sibilo profondo che dalla gola
si diparte in un prolungato sospiro

Così bella la vita, gli anni passati
a navigare, a pescare dal mare i frutti
ma solo i più gentili e adulti;
e quelli troppo giovani di nuovo in acqua

Il più bello dei mari, mia Signora,
non l’ho ancora pescato dentro agli occhi
Pria d’intraprendere però l’ultimo viaggio
quanto vorrei per una volta soltanto
perdermi nel pacifico azzurro dell’alma
che gelosamente custodite in petto
E che solo di rado mostrate in un sorriso
con gli occhi ridenti e sì tanto sfuggenti

DALLA TOMBA A TE

Amor mio, Amor Bello, m’hai lasciato
tutto solo a respirar la terra
Le unghie rotte contro le assi della tomba;
di venirne fuori tutto d’un pezzo niente,
neanche pregando per un miracolo
E io che pensavo d’aver in mano quattro assi
e uno per ogni evenienza nel cavo
della manica là dove s’insinua l’ombra
e un solitario gemello d’oro

Amor mio, Amor che ho nelle budella,
ancor accuso nella carne il freddo tocco
uguale a lama di coltello bene a fondo

Amor mio, Amor bello, l’uomo tuo riposa
ma senza quiete: negli occhi chiusi ancora
gli scintilla lo sguardo tuo affilato
tremendo di passione, verde e innaturale

Amor, Amor, Amor, gratto le assi
a occhi chiusi, a occhi chiusi
Non m’arrendo, non m’arrendo mai
Cerco l’aria, la cerco per tornare
a darti l’asso che ti spetta

Cerco l’aria, più della pace la cerco
La cerco per affrontare ancora una volta
il tuo sguardo verde e bello, troppo
per esser d’umana fanciulla!

SAGGEZZA E TACCO 12

Sei una ragazza casa e chiesa
Sei proprio una ammodo
E quando sarà giusto il tempo
andrai in paradiso con gli angeli
– e insieme a te di noia creperanno
Sappi però che le cattive ragazze,
quelle che oggi disprezzi,
vanno dappertutto già adesso
senza dover mai chiedere
il permesso

Sei proprio carina, curve su curve
Fai tenerezza,
per questo ti lascio una carezza
e non oso qualcosa di più
Ma sappi che quelle che se la tirano
vanno e vanno a mille all’ora,
e il mondo lo tengono stretto al petto
e fra le gambe,
per allattarlo meglio
Per spremerlo al meglio
delle loro possibilità

Ma tu sei una tipa corretta,
saggezza e tacco 12
Sei uno schianto,
uno schiaffo in faccia a Dio
E un giorno non lontano
incontrerai la felicità,
il perfetto bacio,
quello d’un tiranno tutto per te

QUANTE PAROLE, QUANTE SPRECATE

Quante ne ho dette di parole
Quante ne ho fatte con le parole
Quanti incastri, quanti impegni
Quante menzogne, quanta vita…
quanta andata sprecata
per giudea colpa
– delle parole che in bocca
masticavo per farne speranza

E ora che più non ne ho
non so se il caso è d’un fiore
o piuttosto d’accostarmi a te
con il gioco d’un mimo
che vive del trucco delle mani,
di quelle ombre che a sera
l’accompagnano su muri
di nostalgie uguali alle parole
che non sa

LADY INVERNO

Come sempre m’avevi promesso
che m’avresti consolato
con un po’ di magro sesso
perché l’amore proprio no,
non potevi darmelo così presto
E mi dannavo io per la rosa
rossa fra le tue gambe nascosta,
inaccessibile più delle chiese
quando sull’altare cade il Figlio,
il prediletto e da Dio ucciso

M’hai lasciato nel momento estremo:
si canta la frustrazione, la rivoluzione
Ma niente va avanti, solo gli affanni
di quegli uomini un po’ brilli e stanchi
che più non sanno da che parte stare,
se l’ira del Palazzo d’Inverno continuare
a sfidare

Son tutti vuoti i treni alla stazione
Agli arrivi in tanti, in tanti aspettano
sgranando gli occhi per una visione
che li porti in salvo (per una visione)
Alla stazione tanti coi cappotti tirati alti:
gridano parole di dimenticati santoni,
sgranano un’avemaria e chiudono gli occhi
al fumo che li acceca (che li acceca)
e gli fa veder tutto rosso (per maledizione)

M’hai lasciato e m’avevi promesso
che mai più sarebbe successo
Mi tocca così adesso di trascinarmi
in mezzo alla folla al fumo alle parole
in cerca di te, in cerca d’una come te
coi capelli rossi fra l’inferno e il paradiso
pria che sia il crollo del Palazzo d’Inverno

NON VOGLIO DIRTI AMORE

Non ho voglia di dirti t’amo
E’ un’altra domenica
E non ho voglia di dirti amore
Voglio guardarti negli occhi,
scoprire che ci sei nera,
nera più della mia malinconia
Non ce la faccio a non guardarti
Il tuo sguardo m’accarezza il volto
di barba dura d’una settimana
e oggi è domenica e le chiese,
le chiese ripetono più e più volte
la tristezza del bronzo
e resistono in viola

Non ho voglia di morire ancora
Non oggi che c’è tutto questo sole
che travolge rose e avelli
Non ho voglia di dirti parole

E’ un’altra domenica
Ho solo i tuoi neri occhi
a tenermi compagnia
e ho così paura di perderli
Così non mi dire che devi andare
a salutare gli amici che riposano
accanto a me

E’ solo domenica, un giorno
di echi popolari, di gitane spagnole,
di chiese che piangono e pregano
E’ solo che non ce la faccio più
a stare qui dove solitudine è, Gesù

SALOMÈ

Era logico che portassi via l’amore,
che mi lasciassi il freddo del marmo
delle tue cosce lisce, dei tuoi seni duri
Non è stato facile, accettare
che saresti stata presto d’un altro
D’altro canto non hai mai avuto problemi
ad allacciare nuove relazioni pericolose

Hai ancora quel ritratto
che ti vede coi capelli al vento
e la guerra alle spalle?
Hai ancora quel disco graffiato
che mettevamo su per fare all’amore?

Tutto s’è perso così facilmente
Sembra impossibile ma devo accettare
che sei d’un altro di me più perverso

Tutto s’è spento per colpa della bellezza,
della consapevolezza che gli amanti
non ti sarebbero mancati con scorte di ori
E avevo io da offrirti solo la mia testa:
e il cuore, poco in verità, Salomè

ERANO CICATRICI

Lasciasti andar via
l’anima
perché conio da poco

Rifiutasti le mie parole
taciute
perché simili a quelle
che mai osai dir poesie

Era che le cicatrici
ti facevano impressione:
non reggevi la dolcezza



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