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Le donne migliori stanno con gli uomini peggiori

Le donne migliori stanno con gli uomini peggiori

ANTOLOGIA VOL. 35

Iannozzi Giuseppe

La seta della notte

Quel giorno pensavo che,
che non l’avrei più rivista,
e che ogni montagna sarebbe franata
e che ogni mare si sarebbe ritirato.
Quel giorno pensavo che,
che non ci sarebbe più stata
la luce del giorno né la seta della notte.
E invece lei è ancora, è la sua carezza
a sfidare il mondo; è la sua dolcezza
a dar un senso alle lacrime e al sole.

Questo è un giorno felice che,
che si spande in ogni contrada e strada:
lei canta e balla, e il vino scorre a fiumi,
ma nessuno si ubriaca più del giusto
e lei sorride un arcobaleno di teneri colori,
mentre due zingari si stringono stretti stretti
– un po’ piangendo, un po’ ridendo –
aspettando l’abbraccio del crepuscolo.

Domani sarò morto

Domani, Domani sarò morto,
così penso che è proprio il caso
che abbia indietro un sogno o un incubo:
le scarpe e il rossetto rosso per lucidarle,
il cappello e il saggio su Erasmo da Rotterdam,
e se hai cuore, un po’ di quella tua zuppa di piselli
Ma sarei più felice se volessi darmi indietro
la mafia di Frank Sinatra e il diavolo dei Rolling Stones

Domani, domani sarò uguale a tanti altri,
così penso che è proprio il caso
di darci un taglio, adesso:
la molotov inesplosa è accanto alla culla del bambino,
il mazzo di rose che ti ho regalato ce l’ha tua madre,
i profilattici, quelli, li ha presi tuo padre per sbaglio
E’ tutto a posto, come sempre
Solo non so dove Sinatra e gli Stones

Tutto qui, domani sarò morto
Era giusto che lo sapessi dalla mia bocca,
perché fuori c’è Morte e io ne sono parte:
si salveranno solo i più sfortunati

E il jingle è uno strillone e giornali invenduti
che ripetono “Dove Sinatra e gli Stones?”

E il jingle è uno strillone e giornali invenduti
che ripetono “Dove Sinatra e gli Stones?”

Hans Schnier 

Ecco, questa volta, è finita
Ho dato di matto
– animale in caccia di preda -,
ho dato fuoco al lifting e alla bambola
tenendomi strette le “Opinioni di un Clown”,
rimettendo al mittente il tumore e il suo amore

Ecco, questa volta, è l’Inizio
per cominciare, un’altra volta,
a dire “Che schifo!”

Uomini e donne

Una volta mi dicesti che
le donne migliori stanno
con gli uomini peggiori

Non capii al volo
che non avevi più nulla da perdere

E così m’accogliesti in te, subito,
nell’agonizzante tuo volo

Caro Guido Gozzano

Caro Guido, sì, il mondo
gemebondo affonda:
mille le tombe militari
e di più quelle civili

Il conquistatore è fatto eroe,
martire anche:
e alle vedove, ai vecchi, ai bambini
rimane un padre di famiglia sepolto,
e un volto oscuro
che alle spalle l’ha preso

Sì, mille medaglie all’eroismo,
alla santità
Ma non c’è, in queste stelle di latta,
fortuna o verità

Non c’è fortuna o verità, mai

Nel freddo sole

Aveva occhi grandi, smaniosi un po’,
e non guardava in faccia nessuno:
solo allungava la mano,
e da solo s’accompagnava
infilando una strada e un’altra, ripetendo
“Si continua a sparare sulla Croce Rossa”

Nel freddo sole cadde,
come il mattino in inverno,
cercando un rifugio che fosse vicino,
ma invano:
prima gli arrivò il passo suo rotto
a tagliargli la strada… soffocandogli il petto

Lo ricordo che m’incontrava
per un alito di parole e qualche spiccio;
lo ricordo che mi raccontava
di quand’era un ragazzino col suo aquilone;
lo ricordo che piangeva,
con occhi consumati, di lei ch’era andata via;
lo ricordo che gli faceva, più di me, compagnia
il rosso del vino e la sua anestesia

Aveva occhi grandi
e un cuore più grande ancora,
ma malato di troppe solitudini e umiliazioni
ricevute

Raccoglieva solo pochi spicci,
senza mai chiedere di più

Alle indecenti convenienze proposte,
sempre, per sempre rispose
con un secco “No” ubriaco di dignità

Cadde, come il mattino in inverno,
nel freddo sole
Ma l’eco del suo dolore al vento
non la lasciò in eredità
Non la lasciò in eredità

Pensieri e azioni

Stella cattiva,
in dono ti porto
una rosa captiva,
il mio boot e i lacci rossi,
il Diario dei Pensieri.

Ma non quello delle Azioni
che m’hai rimproverato:
la mia cache!

Il canto della differenza

Iersera ho lasciato
che una poesia, una,
morisse
perché il vento via
lontano dal mio cuore
la portasse.

Forse non avevo da dire,
o chissà quale altro sconcerto
m’ha preso l’alma al pensiero
che avrei regalato un’altra,
un’altra foglia alla voglia
del vento in posa di tormento.

Avrei potuto raccontare
dei capelli grigi,
o d’un amore
che m’è tornato in mente;
è stato un attimo
comprendere
che avrei solo alimentato
il concerto
che da sempre ripete
“è nato prima l’uovo
o la gallina?”
Così ho deposto
nel calamaio la penna:
rifugiato in sogni inespressi,
questi ho continuato a navigare
come se da sempre lo sapessi
che non vale interrogare
le già tanto spremute meningi di Dio,
la loro silente preghiera
per una solitaria morte.

Non pensavo
veramente
fosse vero:
la solitudine umana
spinge a riesumare
il pensiero lontano
che ha pensato
una vita migliore.
Non credevo
veramente
fosse possibile:
un momento
di vuoto
può dar corso
a una malattia più forte
dell’Amore.

Gliel’ho detto,
con insistenza,
al gioco del riflesso
che ogni superficie specchia
solo il suo desiderio
e in esso si sposa,
senza mai andare
fino in fondo
veramente.

Gliel’ho detto
alla sigaretta spenta
che non l’avrei più riaccesa
per soffocarla nell’eccitazione
di credermi ancora innamorato
del fumo
e dei suoi ghirigori segnati
nell’aere ma futili,
stupidi come il battere
di carezze
la schiena d’un morto.

Gliel’ho detto
alla penna
che non serve
farsi candela
e fiamma al vento,
perché già tante
son quelle spente
e un’altra
non avrebbe fatto la differenza
né per l’Amore
né per il coito interrotto
nel desiderio d’essere al di sopra
delle passioni umane.

Tutto questo
ho spiegato
a quegli oggetti,
che circondavano
il mio corpo
nel sudore della notte
quasi prossima all’Aurora.
E ho detto
alla gamba di legno
di riposare nel suo angolo:
non sarei sceso,
un minuto o due,
a prendere le sigarette
o a commettere
un omicidio.
Illudermi
che nessuno,
– ma proprio nessuno -,
ne potesse mai venire
a conoscenza
solo perché io favorito
dalla profondità
delle tenebre,
sarebbe stata follia.

Nonostante
mi fossi raccomandato
all’occhio di vetro
di non cercare i volti
degli amici andati
nel respiro soffocato
di Dio, quello smaniava
perché il passato
s’insediasse nel presente.
Ed è stato così
che mi son visto costretto
ad accecarlo per sempre,
per sempre scagliandolo
fra i mendichi ciechi
della biblioteca
caduta accidentalmente
in rogo,
forse per colpa
d’una cicca mal spenta
che un’amante
dell’ultima ora
aveva dimenticato
di spegnermi sul petto.

Libero

Domani sarà un altro giorno,
domani sarò un altro uomo,
non migliore, non peggiore
Domani sarà il Sole o la Luna,
che nessun mortale potrà giudicare

Domani avrò un mazzo di rose,
domani sarò un lama di coltello,
o di luce, sarò forse vivo o morto
Non fa differenza,
perché tu mi dirai che,
che hai pianto per me,
che hai riso di me,
così tutto tornerà a posto

Non guardarti intorno,
non è difficile:
qui si battono i cucchiai,
si disegnano svastiche
E qualcuno ci rimette la pelle
E qualcuno smette d’usar le palle
Non guardarti intorno
solo per pensarmi in prigione,
perché domani sarà un altro giorno
E qui, qui è sempre uguale:
la giustizia mascherata
nei volti degli infiltrati
Il sole non attraversa mai
le sbarre della cella
E la luna non accarezza mai
le lenzuola che dormo

Ho una Vecchia Bibbia
che mi tiene compagnia:
me la racconta
un vecchio matusalemme
destinato al braccio della morte,
ma non ci credo
che morirà veramente
C’è il Pazzo Nazista
che blatera arianesimo,
ma è qui e serve pure lui
a ricordarmi
che fuori non è meglio
di questo mio stare dentro
Però domani sarà un altro giorno
E busserò alla tua porta
rompendo il tuo pianto
E prima incontrerai le rose in dono,
poi la mia faccia
Non guardarti intorno
solo per pensarmi in prigione
Non guardarti intorno
solo per pensarti sola e abbandonata

Ti dico che,
che domani sarà il nostro giorno
Non hai bisogno di aspettarmi
Evaderò in qualche modo,
in orizzontale o sulle mie gambe,
ma non avrai un uomo piegato
al tuo fianco,
nel tuo letto a farti l’amore
E tu mi dirai che,
che hai pianto per me,
che hai riso di me,
così tutto tornerà a posto

Domani sarà un altro giorno,
domani sarò un altro uomo,
non migliore, non peggiore
Domani sarà il Sole o la Luna,
che nessun mortale potrà giudicare
Sarò forse vivo o morto,
non fa differenza
se mi porterai un po’ di Sole o di Luna
per evadere da questa prigione
Se mi porterai un po’ di Sole o di Luna
con una lettera o un pensiero o un sorriso,
non dimenticherò mai
e poi mai la vita, la bellezza, la libertà,
il sapore della tua bocca,
la luce dei tuoi occhi nei miei

Domani sarà un altro giorno,
domani sarò un altro uomo,
non migliore, non peggiore

Scimmia

Ho visto tanto, tanta gente e chi lo sa!
Quel che ho visto però non mi va giù
Ancora sognatore, questo ben lo so
E poco o niente in tasca quel che ho
Ma se una mano chiederai te la darò
Ingenuo, in fondo, ancora sarò…

…per un po’ di libertà, per una vita
che non sia ombra di me a metà

M’han detto di pretendere il meglio,
ho preteso da me stesso e non da Dio

Non ho seguito la rima per la rima,
sarà perché tirando lungo, via via
mi son rifatto la faccia tale e quale
a quella d’una scimmia

Dalla finestra

Ma ogni dì
dalla finestra
su cemento e asfalto affacciata
un morto lungo disteso;
più di rado uno spostato,
bocca affannata-affamata
che al sole mostra le corna

Biglietti da visita

Biglietti da visita,
stampo biglietti e necrologi
aspettando di Bruto
la visita

E rose rosse in omaggio
alle donne che d’amor
son morte senza mai
amar veramente uno
o nessuno

Come scimmie calve
alle spalle dei morti
con forza ci aggrappiamo
perché sia la Fine
in sospetto di difetto

Alla fine della favola

Alla fine della favola,
dopo mille e più tirate,
di Biancaneve il nasino
– ch’era ‘na virgola francese –
uguale a quello della Strega
si fece!

Reliquia

D’una gamba
non resta che un moncone
coi legamenti esposti;
dell’altra soltanto
il calcagno di carne nudo
quasi uguale a reliquia
utile a spaccar teste
alle feste comandate

Angeli bambini

Ti voglio quando la sera bussa alla mia porta
Ti voglio quando fa freddo e non ho una sciarpa
o una mano amica da agguantare per sentire la vita
Ti voglio quando le spalle si fanno troppo stanche
e nessuno risponde al telefono, al mio triste ciao

Ho visto una madre stringere al petto la figlia
Era così piccina che non mi sembrava possibile
Ho visto l’amore del mondo; poi il disastro nucleare
Fu così tanto violento che non mi sembrò credibile
Eppure ho visto la vita e la morte nello stesso giorno

Sono venuti di notte armati di minacce e barzellette
Hanno preso tutto e tutto hanno distrutto
Sono venuti nel momento peggiore, non avevo niente
Hanno spezzato le gambe al piano, alla Musica del Pianto
Si sono dovuti accontentare di vedere la mia franca stanchezza,
se sarei riuscito ancora a sopportare l’assenza d’una carezza

La terra è deserta e un raggio di luce attraversa la camera vuota
Mi sfiora gli occhi ciechi e m’invita ad amare la Ruota della Vita
Ma io ho visto l’amore del mondo e il disastro nucleare
E mi manca troppo il lieto cinguettare degli angeli bambini
E’ per questo che ti voglio quando la sera bussa alla mia porta
E’ per questo che ti voglio quando fa freddo e non ho una sciarpa

Con le armi in mano sono venuti e hanno accecato il Sole
Poi sono venuti di notte e hanno accecato il pallore della Luna
Sono venuti per distruggere il piano, per non farmi più suonare
E mi manca troppo il lieto cinguettare degli angeli bambini
E mi manca troppo la delicatezza della loro carezza sul mio volto

Come, come potrò sopportare tutto questo? se tu non stringerai
la mia mano disarmata e non mi darai il sogno d’un angelo?
Come, come potrò sopportare tutto questo? se tu non stringerai
la mia mano disarmata e non mi darai il sonno d’un bambino?

Si sono dovuti accontentare di vedere la mia franca stanchezza,
se sarei riuscito ancora a sopportare l’assenza d’una carezza
E’ per questo che voglio la tua mano nella mia, la Speranza
E’ per questo, la Speranza e il Domani, la tua mano nella mia
Io solo voglio la tua mano nella mia, la Speranza e il Domani

Alla sera

Si spegne la lampadina
nel costo economico
d’una vita costretta
dentro a un miraggio
spiato
incastrato nella cornice
d’una finestra.

Si fanno le luci
della sera:
dabbasso trema
un vespertino solitario
raggio – ultimo sole!
Poi si accendono
tutti i lampioni
e un’altra vita
che io dormirò.

Secolo

Finirà
anche questo Secolo:
faremo una gran festa
di peti petardi specchi,
e sogneremo Dioniso
– la sua faccia di tolla –
e la sua folle scatola
dell’Ingegno.

Finirà
anche questo panico.
Ma non noi.

Stelle alpine

Nell’ignoranza
la saggezza dei monti,
di chi li abita ancora,
la memoria dei partigiani
e di mille stelle alpine.

La Nebbia
si scioglierà
con la nostra voce
e non nella sua eco.

La tua lingua

Affascina la lingua che è tua,
il sapore che regali al giorno,
alla notte. Affascina lo spirito tuo
che si fa corpo di emozioni,
gravidanza di speranze, di incontri
che all’alba sono riflesso, gioia
da portare dentro al cuore
mentre trasciniamo i nostri passi
lungo le noiose solite strade.



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