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Senza un sole al tramonto a scoprirmi cadavere

Senza un sole al tramonto a scoprirmi cadavere

ANTOLOGIA VOL. 14

Iannozzi Giuseppe

Non posso amarti

Non ti amo,
non so cosa sia la poesia,
non so cosa sia questa mania
di baciarsi davanti alle vetrine
Non ti amo,
non so cosa sia il vizio
di prendersi per mano
per farsi notare un po’ in giro

Non ti amo,
non posso amarti
soltanto perché sei donna
e citi due poeti famosi un po’

Non ti amo,
non importa se con gli occhi
punti il cielo
e immagini di volarci dentro
insieme all’immagine
che di me ti sei fatta
Porta male la fantasia,
parla male la poesia

Non ti amo oggi,
non ti amerò domani
Non ti dirò mai frasi un po’ belle,
né ti indicherò quella luce
che in cielo rilasciano le stelle
quando la notte diventa proprio la notte
Ma ti farò capire che siamo qui,
qui come due perfetti estranei

Humphrey Bogart

Non ti regalerò più niente
D’ora in poi voglio sentire la tua voce
che diventa di singhiozzi e lacrime
Non ti regalerò mai più una briciola
del pane che m’avanza nella màdia
Perché sono una scimmia cattiva
Perché sono un altro Humphrey Bogart
venuto tutto sbagliato
Quindi lasciami in pace e datti pace
Il nostro tempo è finito
sull’orizzonte delle mie labbra

Non ti regalerò mai più un sentimento
né un pentimento
perché tu possa farne il tuo pendente
da abbandonare in mezzo ai seni

Non ti darò più le mie labbra
Non prenderò più le tue tra le mie

Però sarai ancora in mezzo alle mie gambe,
come un apocalittico appunto,
giusto un segno rosso a matita sul calendario
Sarai ancora in mezzo ai miei giorni,
a quelli di lutto e a quelli che mi scappa un rutto

Di brutto te lo dico,
non ti regalerò più un Gesù,
solo la scimmia che ghigna
Perché sono un altro Humphrey Bogart
venuto su tutto sbagliato,
un altro Humphrey Bogart
venuto su tutto sbagliato

Poeti

Non c’è tempo senza
memoria del tempo,
né vita senza
racconto di vita.
Quante cose strane,
paesaggi e orizzonti,
tramonti lune e stelle,
pioggia e sole,
mare e cielo,
fiori e foglie,
e profumi e colori
dietro l’irregolare
filo d’un verso.
Quante luci
tra le pagine d’un cuore poetico
e d’un grande libro aperto.

Camminò sulle acque

E camminò sulle acque
gittando sguardo fisso
all’imago riflessa;
passo dopo passo
s’immaginava divino
più forte del vino
che nello stomaco
gli fermentava

Camminò a lungo
senza mai incontrare
anima viva,
non un pesce,
un tritone o una sirena;
solo in lontananza
assordante il fischio
d’un’ambulanza
coi suoi uomini pronti
a raccogliere
del disgraziato
fuor di testa le spoglie

Che hai da temere?

Non sono poeta
Brevemente
te lo posso dimostrare;
le scarpe non mi so
allacciare; non so suonare
né mettere una rima
a posto con le stringhe,
e nemmeno vado d’accordo
con l’abbecedario e Omero
Sono quel che sono,
una storia venuta male,
un trucco e una maledizione,
uno senza né arte né morale,
una zucca vuota
che va per frizzi e lazzi,
or menando l’orco
or dicendo d’aver palle d’orso

E allora, che hai da temere?

A ogni nuovo sole, da solo,
bello bello, un altro niente sforno
a sol favore di questo vasto Creato

E allora, che hai da temere?

Non la mia cecità, non la mia cecità

Gli ubriachi

Sotto
la sferza
dell’autunno
ho atteso
che tornassi
affacciata
alle finestre
che t’han vista
bambina

Cadute son
le foglie,
e bianchi
non son più
i gigli, ma ancora
non si stempera
lungo le valli
l’eco antica
di chi è stato
e più non sarà;
nelle osterie
vanno
come sempre
gli ubriachi;
e sul triste muretto
di questa città
di straniere solitudini
invitti resistono
due cuori fatali,
e una freccia abortita

E una freccia tradita

Qui dove
ora io sto,
barcollante un po’,
in compagnia
d’una bottiglia di rosso,
l’ubriaca certezza è
che uguale sei
a come per anni
ho amato disegnarti
per poi in sogno spogliarti

La più temuta delle malattie

Sulle nuvole i sogni abbandoniamo
come lasciassimo una barca
all’impeto dell’Acheronte affidata
I sogni che oggi vediamo
domani non è detto siano uguali
Eppure a ogni dì del cielo i segni
tentiamo di divinare, per quei mali
che assediano l’alma e più nell’intimo
la carne – che se non domani
quello appresso prenderà su di sé vermi
e forma della più temuta delle malattie,
l’Eternità

Eri la preferita

Eri la preferita
Sei presto sparita
Troppo bella
perché restassi
a me accanto
Eri l’harem
la gioia e il dolore
la purezza del diamante
e la sua fragile durezza

Vivevo
per mirar la vita
con gli occhi tuoi
Tutto il resto
non esisteva

E ora che sei
dove neanche dio
osa un fiato,
in un posto
a tutti sconosciuto
muoio io
come vecchio delfino
su la spiaggia arenato

senza una bava di rabbia
o un sole al tramonto
a scoprirmi cadavere


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