ANTOLOGIA VOL. 4
Iannozzi Giuseppe
NON NE SONO STATO CAPACE
Terrò vivo il silenzio
Ogni tenerezza ha visto il centro
dell’Occhio del Grande Cinico,
e le suole bucate non aiutano in questo
I tesori raccolti ieri
giacciono adesso in fondo al mare
coi fantasmi che m’hanno conosciuto
Troppo per stupirmi ancora,
per cercare un altro porto
e un’altra donna da amare,
per un’ora almeno
A menadito conoscono i morti il futuro,
a chiare lettere è vergato nel Libro del Giudizio
E lungo le strade non uno che parli chiaro,
e tutti lo sanno di non avere scampo,
tutti lo sanno e tacciono
Sarei dovuto andarci cauto
E non ne sono stato capace
Alle Idi di Marzo ogni cosa avrà compimento
Se qualcuno può trarsi fuori da questo impiccio
lo faccia ora e non si guardi alle spalle
In fondo, in fondo lo sapevamo dall’inizio
che Dio avrebbe baciato l’anello di Lucifero
Aveva visto giusto il vecchio Charlie
anche se aveva un bordello in testa
e nemmeno una nota di coraggio
per gli Scarafaggi
Ma ancora canta il Fantasma dell’Opera
Non è cambiata la sua voce
nel corso dei secoli, noi però
non siamo più qui
Sarei dovuto andarci cauto
coi movimenti di Marte
Sarei dovuto andarci cauto
E non ne sono stato capace,
non ne sono stato capace
NO CRISTI ZEN
Non seguendo le mode
con il sacco in spalla
in giro per il mondo,
lontano da croci e cristi,
prodigo di sorrisi
per un frivolo piacere
che tu, chino
sul tramonto dell’Occidente,
non puoi concepire,
solletico la panza in divenire
1. “Hai baciato molti morti?”
Risposi: “Molti. Uguale è il ventre
che ci dà alla luce e alle tenebre.”
2. Lei era bella, la più bella
che i miei occhi abbiano mai cercato:
per questo grave motivo, Dio!,
ho smesso di chiedere e credere.
3. Quando domandai loro perché fossero venuti da me, prontamente stesero le mani mostrando i palmi nudi. Offrii loro baccelli e frustate in abbondanza. Fu un giorno felice come pochi.
4. Mi disse solamente che avrebbe avuto piacere di. Ma la mia bocca tacque un sì.
5. Per un breve periodo non scrissi una sola poesia. A quel tempo ero un angelo, senza peccato né pensiero, scagliato per puro sbaglio sulla Terra.
6. Sull’azzurro del lago il cigno, bianco, sotto lo sguardo della pallida Luna. Tutta eleganza.
7. Ascoltando le tue storie non ho potuto far a meno d’invidiare il lato in luce della Luna.
8. Come tutte le donne (amate), in me hai scorto la possibilità d’un poeta: per questo ho pianto oramai cieco della serenità.
9. Fanny mia dolce, se sol tu potessi scassinare il turpe meccanismo della malattia che a ogni ora m’inghiotte nelle brume di Londra… sarei scandalo sulle tue labbra incontaminate.
FRA LE TUE GAMBE POETA
In un giorno di freddo qualunque,
in mezzo alla nebbia della mezza,
sognante e piangente,
mi chiedesti d’esser il tuo poeta
Ti dissi che di spine si nutre la bellezza
e che mai han saputo le mie mani
raccogliere delle rose la delicatezza
senza violarle
Per questo, per Tutto Questo hai benedetto l’uomo
e mandato al diavolo la scimmia della mia cultura
Non sei cambiata da allora,
sogni ancora a occhi aperti
come un’ape d’oro in cerca
della primavera,
del fiore più tenero
In un giorno qualunque
vuoto di luce, vuoto di buio,
rimproverasti alla mia anima
di non conoscere le conseguenze
della profondità delle verità taciute
Per questo, per tutto questo ho amato
la saggezza esposta nella scollatura del tuo petto
continuando ad adorare maniaco l’ingenuità
sulle tue labbra verginali e carnali
Per tutto questo, per tutto questo
mai ho avuto il coraggio di confessarti
che il sole mai di me si sarebbe preso gioco
Per questo, per tutto questo hai benedetto l’uomo
e mandato al diavolo la scimmia della mia cultura
In un giorno qualunque, né caldo né freddo,
all’ombra della chiesa dei sacri tuoi avi,
rossa di rabbia, sicura di te come una dea,
sulla mia fronte della volgarità scorgesti il segno
Da quel momento non ci fu più spazio
fra le tue gambe per la tristezza d’un poeta
Per questo, per tutto questo ancor vago
di landa in landa in cerca d’uno spiraglio di luce
in tutta fretta fuggito da una porta aperta
DIALOGO COI MORTI
In tanti hanno cantato
di cuori infranti
con facce da clown
per andare avanti con lo show
Dimmi ora
come prosegue
il Dialogo coi Morti
iniziato e mai terminato
Quando ci siamo conosciuti
avevo meno di te;
mi ritrovi oggi uguale
con meno ancora
e un teschio in mano,
come Amleto;
sai tu forse dirmi
come è potuto accadere?
Ho un’idea bizzarra
che mi stampa un sorriso
da orecchio a orecchio,
ma non riesco ancora a capire
Le rose nel roseto sacro,
che innaffiai con tanta cura
donando loro il letame migliore,
son venute su gravide di spine;
e a ogni nuova stagione
ne partoriscono in quantità maggiore
Ho dimenticato di pregare,
e non sono stato il solo
Ho interrogato troppo a lungo
il volto ossuto che domani
di certo anch’io avrò,
e non sono stato perdonato
Sai tu forse dirmi
quando terminerà
il Dialogo coi Morti?
NON AVREMMO DOVUTO
Con l’antico vestito nero
venne in un giorno di sole
che non sembrava possibile
Con freddezza
raccolse la mano infantile
Dietro di sé
lasciò vaghe tracce di sgomento,
fece poi in fretta la nebbia
a piombare su tutto l’intorno
Il palloncino giallo, gonfio di elio,
impiccato ai cavi elettrici
ancora oscura il disco del sole,
quasi a ricordarci
che c’è stata innocenza
e tanta incoscienza
Mai avremmo dovuto lasciarla andare
Mai avremmo dovuto lasciarla sola
INCUBO DI CARNEVALE
Voglio il Cattivo Nome
Una maschera veneziana
di quelle in voga nei tempi antichi
Sono ancora qui che aspetto
il mio momento eterno
Vestivi un vestito
che commuoveva
lo sguardo sugli epitaffi
Io invece vestivo un incubo
– un sogno
che non ho saputo confessare
ANGELI DI COMPASSIONE
Mai hai compreso
degli angeli la compassione,
mai hai compreso
che ha un suo senso la Notte
soltanto quando
nell’orgia di me e di te
affonda
Del Libro Sacro scontenta,
hai dimenticato
che a capo chino,
sotto il pallore della Luna,
si semina l’argento
sfidando
del vuoto eterno
la malizia
Pensi solo a te,
al gesso scolpito male
sul modello delle tue ossa,
e trovi che è abbastanza,
fin troppo da sopportare:
non sei ancora capace
di restaurare dalle macerie
lo splendore dell’amore,
perde così valore
ogni antico valore
e niente è mai qualcosa,
niente è mai una costola di Dio
UNA FAVOLA DA BAMBINI
Addossato a una pila di libri traballanti,
leggeva un nano una favola da bambini,
leggeva senza pace e con sguardo fisso;
lo si sarebbe detto partorito dalle pagine
d’una storia di coltelli, buio e sabbia
D’un tratto però rumore sordo lo rapì,
così che il capo chino fu costretto a tirar su
subito raccogliendo in core gran spavento,
incontrando proiettata l’ombra sua gigante
addosso a persone e cose d’attorno
DOMANDA
Se d’attorno lo sguardo getto
su i tanti a urlare a squarciagola
presto si formula una domanda:
“E’ questo che cercavamo?”
In risposta babelico frastuono
forse e più di me ignorante
PENSIERO ED EMICRANIA
Non un’ora o due,
per giorni e giorni
le dura l’emicrania
Dura è, non si lascia
mover ad alcuna pietà,
insistente trapana
una tempia poi l’altra,
incurante
il nefasto suo lavoro
porta avanti;
e la vittima di turno,
per quanto di forte tempra,
s’abbandona
reggendosi la fronte,
malamente imitando
quel Pensatore famoso
nel marmo scolpito
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