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ANTOLOGIA VOL. 2

ANTOLOGIA VOL. 2

Iannozzi Giuseppe

Verrà primavera

Verrà primavera
Avrà il tuo nome
Verrà con gli occhi
bagnati di lacrime
Verrà in silenzio
quasi, e al tuo seno
piano si stringerà
Verrà in preghiera
perché sepoltura
sia data a quei corpi
rimasti sotto la neve
nascosti e martoriati
E avrà il tuo nome
di umana pietà
fra stelle alpine
e fior di pervinca

Sotto un cielo blu
non più livido
né reclamante vita,
con la pestata
sciolta oramai
anche lassù in alto,
dalle tue mani
un fiore cadrà
piano
per ogni morto
al sole svelato

Primavera verrà
fra le montagne
imbevute di sangue
e di giovane libertà

Piangesti anche al mio funerale!

Alla pioggia le tue lacrime mischiavi
In silenzio mi feci intruso al tuo fianco
Non dicesti nulla, eccetto il tuo nome

Ricordo bene i tuoi occhi e la nebbia
Eri giusto una bambina spaventata
con in braccio una foto ingiallita
e impiccato al collo un Gesù d’oro
Mi chiedevo cosa ci facessi da sola
nel tristo paesaggio del cimitero

Pregavi, una cosa che non ho mai saputo fare
Dal volto bagnato provai ad allontanarti i capelli,
e si stampò rosso sulla mia faccia uno schiaffo
Pregavi per Janis, Jimi e Jim persi chissà dove

La seconda volta fu al mio funerale
In nero sei sempre stata molto chic
Una donna oramai – l’invidia del Paradiso
Due minuti soltanto e ti portasti via lontano
Era alto e bello il sole, non era proprio il caso
di piangere

Re mi sentivo con te
Più non desideri me
Con te stavo sì bene,
Re mi sentivo
d’un piccolo mondo,
d’una rosa exuperiana

Dovevo immaginare
che sarebbe presto
finito l’olio e il sogno,
dovevo immaginare
prima di cadere
nella poesia del deserto

Hai ragione tu, donna mia
Con le pezze al sedere
e i tanti pesanti pensieri
che m’imbottiscono la testa
sol poteva esser questa fine,
dirmi oggi e domani guasto

Con la tua foto in fronte
vagabondo senza meta,
e un Dio scalzo prego
perché mai dimentichi io
il sorriso tuo
Non mi resta che questo

Non mi resta che questo

Preghiera

Sia Dio
al di là
della morale bestiale
– se grande è
come dicono –
a punire
quanti oggi
con passo altero
e menzognero
ruggiscono
pestando
il cadavere
pria che sia fantasma
senza più
l’ombra d’un respiro

Sia Dio,
nomato
Alto e Onnipotente,
a stringere
le dita
attorno al collo
di malandrini,
ladri, puttane
e assassini
Sia impietoso,
uguale
a quei suoi figli
che nell’Inferno
di sua ambizione
ha lui sprofondato
Siano
sulle sue spalle
la Colpa e la Croce,
e pure su Chi, in nome
d’una martoriata divinità,
nei secoli dei secoli
di sangue mai sazio,
impietoso gioco
ha rimesso a Caino

Eppure:
quale indegna fiera
presto freno
non porrebbe
alla lingua
che della giara
sol più saggia
il sangue nero
e rappreso?
Un animale soltanto
Uno soltanto

Così bassi siamo
Così bassi

Nei turbini di cenere
che novembre monta,
fratelli, preghiamo
per una veloce fine

Col teschio in mano

Perché caduto
dalle grazie
di quel Dio
da tutti o quasi
in varie fogge
osannato,
adesso qui
assiso
non ricevo
che l’attenzione
di stranieri,
di morti
senza arte
né parte
Col teschio
in mano
ripeto il motto
che fu
di Shakespeare,
moro cattolico
quanto me perverso,
e geniale, certo che sì

Perché caduto,
muovo guerra
non al Cielo,
ma a coloro
che han fatto
del mio nome
Spavento
– chiodi su mani
e piedi
ai condannati
smaniosi solo
d’una più cruciale
verità al di là
del Bene del Male

Quel molestatore 

Stalin è morto
Lo dice anche l’Unità
E’ morto troppo tardi però

Stalin finì pazzo
con la testa nel pozzo,
cercando
il riflesso della Luna
e la rotondità dell’ultimo rublo
in circolazione

Non risparmiò nessuno
Al muro gay e avversari,
contadini alla fame e liberi pensatori,
donnine allegre e fanciulle in fiore;
tutti fece fucilare
senza mai una eccezione

«Arrivavano,
cercavano dappertutto,
si portavano via anche
il cibo cotto nelle pentole»
Ma era un ometto basso,
non più alto d’un metro e sessantaquattro;
il braccio sinistro semiparalizzato
più corto del destro di buoni cinque centimetri,
e il piede sinistro uno zoccolo caprino
di dita fuse insieme

«Stalin morto… gloria eterna…
più di tutti ha fatto per la liberazione,
per il progresso dell’umanità»,
così racconta il giornale
Molestatore di bambine,
accompagnatore di minorenni,
violentatore maniaco sessuale…
Grand’uomo davvero
con quella faccia butterata
da eterno invalido incivile

E’ morto, è osannato
da una manica di brigatisti
che non hanno mai accusato
sulla loro propria pelle
il Terrore Rosso;
bellamente seppelliscono gli orrori
per riesumarne presto la putredine
e dal Patio poi straparlare
di Marx, di morti bianche
e d’una rivoluzione popolare

Con quale faccia, per Dio!

Si teme il nano

Si teme il nano
e non Dio o il Diavolo,
il nano
che ti prende per mano
con la scusa
della bassa sua altezza

La bambolina mia

La bambolina mia
vuol con me fuggire
in Giappone
perché sia l’amore
e solo l’amore
a dominare la passione,
la preghiera che in noi
si spande tra Cielo
e Terra

Il mio cuore vuol
diventar la geisha
che per sempre io amerò

Gabbiano

Non oso davvero
dire se un gabbiano
sia come un uomo
felice o meno,
se la pace la trova
fra le alte nuvole
o a pelo dell’acqua
in cerca di cibo,
d’un piccolo pesce
affogato al sole
Né oso dire
se tra sole e venti
le ali gli siano
solido appoggio;
eppur quando
un uccello così
profumato di salsedine
e non stanco
del lungo viaggio
si trova davanti
al mio sguardo,
in quel momento
capisco
che chiamato
al mondo
non posso rifiutare
di vivere
per quel che sono

Orientale

Il Piccolo Monaco ha sorriso
al fiume impetuoso
La Donna ha alzato
gli occhi a mandorla
da terra
e ha tenuto il silenzio

come le hanno insegnato
quand’era bambina al Tempio

Il Grande Vuoto

Dammi indietro il mio sitar,
i libri degli antichi saggi
e quel giorno di pioggia
che ti mancava una bugia
L’autunno ha preso casa qui
Quando sono venuto
te l’avevo detto che ero
di passaggio;
hai taciuto
invitandomi a radermi il capo
Ci siamo poi seduti
senza parlare:
fuori c’era aria di rivoluzione

Dammi indietro quel giorno,
il suono estatico del sitar
che insegnava all’anima
la ribellione e la comunione
Dammi indietro la saggezza
e tutto il Grande Vuoto dell’Universo
Quando sono venuto
non ho mentito,
ero una zucca vuota,
una fra le tante possibili
Ora ho bisogno di suonare
e riprendere la strada sotto il sole
Ho conosciuto tante malattie,
alcune mortali, e sono ancora qui
Ho visto piccoli uomini spaccare teste
e ho visto i loro stupidi becchini
Ho conosciuto un momento di pietà
per fermarmi a lungo in una distrazione
Ho visto monaci scivolare lungo il fiume
con la pancia gonfia d’acqua e il volto ammaccato
L’Universo ha impiegato proprio niente
per cadere nel suo Centro
Così ti chiedo di darmi indietro il sitar
Sono una zucca a metà e non vuota,
me l’hai insegnato tu immersi
nelle luci delle candele
Ma ora devo trovare il Suono Perfetto
che ci sollevi dalla Miseria
Fuori c’è più morte che rivoluzione,
non è tempo buono per la meditazione

I Beatles sono quasi tutti morti
I Rolling Stones sono neri dentro

O sì, sono così neri dentro
Tutti noi lo siamo
Dammi indietro il mio sitar,
le parole consumate degli antichi saggi
e quel giorno di pioggia
che ti mancava una bugia
per dirmi “ti amo”


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