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ASSOMIGLIA ALLA TENEREZZA

ASSOMIGLIA ALLA TENEREZZA

Iannozzi Giuseppe

Lo giuro
(inedita)

Non si può scrivere,
non si può
come condannati
legati alla catena

A chi dire, a chi
dire una banalità,
un “ti voglio bene”?

Non conduce la poesia
sulle sponde della gioia;
e manchi tu, manca
il tuo sguardo d’amore
e di accusa

Ho smesso il vizio,
ho smesso il vizio
d’illudere me, lo giuro;
ma a tarda sera
il muto abbraccio malato
di mille spire di fumo

Assomiglia alla tenerezza
(inedita)

Vedete, la cosa è semplice
Ci crediate o no, è qui:
impegno il tempo
facendo torto alla stanchezza,
spogliando rose e colombe
della loro bellezza,
con una crudeltà
che assomiglia alla tenerezza

Vedete, la cosa è semplice
Ci crediate o no, è qui,
è sempre stata qui
sotto i miei occhi vigili
che interrogano la notte
Ma mai,
mai che riesca a capire
sino in fondo la confusione
che regna nella semplicità
di questa cosa

La tua essenza

Dove sei scomparsa
nessuno lo sa

Se tu sia ancor qua
o passata nell’Aldilà
a rovinar di Cherubini
e Portaborse l’esistenza,
noi che umani siamo,
e che moriamo
per una scimmia sulle spalle
o una peritonite di troppo,
noi non lo sappiamo
Eppur t’abbiamo vista
questa sera
come tante altre prima;
sembravi felice
nel tuo vestito da sposa,
e sulle labbra
nero il rossetto a lutto
Ha tremato poi la terra
In un momento quel che c’era
più non c’era; spuntavano però
braccia e gambe dalle macerie
in mezzo a cocci e fiori spezzati

Alla tua salute ora bevo
Tutti simpatici gli amici tuoi,
s’ubriacano che è una bellezza
Bestemmiano anche,
si grattano le ascelle,
e nei bagni cercano un’avventura
che gli faccia dimenticare
d’esser stati partoriti
per presto finire in una tomba,
anonima e lontana,
vuota d’epitaffio
e d’una foto di circostanza

L’ultima tua in Bella calligrafia
la tengo nascosta sotto il cuscino

Bizzarro

Così raffinata.
L’avresti detto mai
che a Broadway
non un posto per noi?
Eppur brilliamo
di luce, pallida
sul far del tramonto
ma non stanca
di spander sorrisi.

Bizzarro. Sul piatto
gira e rigira il disco
la voce di Sinatra;
fra i solchi si spunta
come un matto
che di prigione
fuggire vuole lontano.
Non trovi che
non ci sia perché
che valga la pena
d’interrogare?

Bizzarro, così bizzarro
essere fuori dal coro.
I sorrisi sì tanto belli
non torneranno
negli anni a far più lieti
gli anni del domai.

Finita la vita

Dov’eri finita!
Fra le fitte dita
di giorni-serpenti
come quaresime lunghi,
innocenti non tanto;
ma tanto
chi vuoi che bada
al particolare
se falce di Luna
la luce a orto
l’ha tagliata!

Dalla Russia
il freddo si spande,
su rami e genti cade
spezzando schiene
producendo guai,
rigurgiti e pruriti.

Se ne ristà però il poeta
a un tavolino
con quella sua aria
un po’ così e così,
solo e contento
fischiettando di Puccini un’aria,
assente
davanti al cameriere stanco
sul posto gelato;
la mancia attende
sul palmo del bianco guanto
sopportando il fumo
che in spire di futuro
sovra il vento si alza.

Cenere alla cenere;
per un attimo si spacca,
in due, inquieto il cielo.
Così poco è bastato.
Sparito.
Non fa eco il passo.
Come fantasma,
quanto lontano
s’è portato niuno mai,
mai per certo lo saprà.

Immagino tanto

Immagino
che il tempo sia passato:
una carezza sul viso
e una smorfia sul sorriso

Immagino
che sei stata bella:
fiore da cogliere

Immagino
e immagino tanto…
quanto ti fa paura
la candela spenta
sul nudo freddo altare

Anche questa sera
ti raccoglierò
fra le mie braccia
per lasciarti cadere
sul letto
nuda e febbricitante,
e bella, bella più di ieri
E morirò di desiderio io

Di sesso la poesia

Se oggi
non ti dicessi bella,
desiderabile
spada di luce
confitta
dentro al ghiaccio
del mio cuore,
domani sicuro è
che mi rimprovereresti
di non averti amata

Se oggi
non ti confessassi
che della donna
il sesso è poesia
delicata e setosa,
domani sicuro è
che morirei
solo abbandonato,
seppellito prima però
dalle tue occhiate
di femmina ferita

Nudo e indifeso

Se potessi vedermi ora
nudo e indifeso come sono,
nell’alma gelato, senza amore,
col fiato corto e l’ora mia
pronta a dare al piombo
l’ultimo rintocco, i tuoi occhi
si farebbero di cieca rabbia
simili a quelli di certe vestali
dal fuoco sacro dominate

Sempre ho ceduto il passo
e se ho peccato il sesso,
la poesia che esso è,
m’ha riscattato, non del tutto
ma abbastanza perché
se non oggi domani si dica
di me innocente e leggenda

Carco d’un crimine non mio,
attraverso il penetrale del Fato
il desio mio lacera vene e polsi;
col ginocchio franto al suolo,
la bocca massacrata, piagato,
a te che di me amasti la favella
vorrei oggi presentare il dono,
la vita mia seppur a brandelli
perché sia il piedino tuo gentile
a darmi la fine, e non il piè vile
d’un centurione qualunque

Buio amare

Di questo cieco gioco
– al buio
in mezzo
a serpenti scorpioni lucertole –
sol ci rimane
un brucior di stomaco

Come cannibali

Come cannibali
ci lecchiamo le dita
di sangue e miele

Fede

Ho difeso
senza mai
un’avemaria
in tasca
per pugnale

Quel fiore

Quel fiore dalla terra venuto su
a forza di disperate lacrime,
dal grembo mi vien strappato
e non era ancora al massimo
suo splendore né prossimo
a sfiorire; tutto oggi mi levano
credendo di far il mio bene,
ma è la vita mia che portano via


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