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La verità tra caos e stabilità

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Caro lettore,

Il fatto che la verità, lo stato ideale di ogni cosa a cui l’agire di un uomo dovrebbe tendere, in fiducia di averla individuata correttamente, è oggettiva, lo prova la sua discendenza dalla logica umana che dovrebbe essere basata sulla realtà anch’essa oggettiva del mondo. Ovviamente questo è possibile tramite la conoscenza della propria natura in sé e in rapporto con quella delle cose e tramite la trasmissione delle proprie percezioni – non senza compromessi, per forza di cose – con le regole ragionate di un linguaggio che ci accomuni a dei nostri simili. Tuttavia, esistono molte posizioni che affermano che in realtà la verità non sia oggettiva, ma mutevole, completamente soggettiva (pensieri sofisti) o inesistente/inafferrabile (pensieri scettici); tutte posizioni sbagliate, ma fondate su una cosa che dobbiamo ammettere e che ci costringe ad analizzare molto bene la natura stessa della verità per capire come dimostrarlo: essa è assoluta, ma possiede anche del relativismo dentro di sé.

Ogni persona ragionevole concorderà che, per quanto sia bene andare cercando qualcosa di assolutamente buono, un principio o valore secondo cui agire per il maggior numero possibile di casi, una cosa giusta non è detto che sia sempre giusta. Le cose assolutamente giuste sono piuttosto poche, e sono quelle più importanti e legate più intimamente alla realtà stessa nel suo insieme. Ma questo non vuol dire che la verità non sia oggettiva: lo è in quanto è strutturata secondo un criterio oggettivo, la logica. Però può essere interessante capire come si possa interpretare la composizione della verità stessa per comprendere cosa ci sia di propriamente assoluto e cosa di relativo in essa.

Ciò che rende la verità vista dalla prospettiva di un uomo in parte relativa è proprio la presenza del fattore umano, di sé stesso. Qualunque essere del creato agisce mosso da altro o dai propri istinti, ma comunque sempre dalla volontà della natura stessa: se la perfezione di una cosa è realizzarsi come tale, tutto ciò che è naturale è perfetto da solo. L’uomo non differisce da questo, ma la sua peculiarità di eccellere e di dover eccellere nell’uso della ragione lo investono di qualcosa che lo distingue dal resto della natura (attenzione: non qualitativamente), ovvero il libero arbitrio; l’uomo può tendere a un tipo di perfezione diverso da quello del resto della natura, perché, sebbene questo non sia del tutto estraneo ad altri esseri viventi che posseggono ragione, può godere del libero arbitrio. La perfezione delle cose umane è più difficile da raggiungere, ma è superiore: consiste nel muoversi all’interno delle condizioni date dalla natura (senza trasgredirle, come al giorno d’oggi spesso si fa) piuttosto che seguire istruzioni precise. Tuttavia, questo implica che l’uomo possa anche sbagliare nel comprendere e applicare la verità, quindi, nella sua posizione privilegiata, egli è l’elemento di potenziale imperfezione della natura.

Questo si traduce nel fatto che la verità secondo l’uomo è, appunto, in parte relativa e in parte assoluta. Nello specifico, alla parte assoluta basata sulla realtà delle cose, sulla loro natura e su quella dell’essere umano stesso, si affianca una parte relativa integralmente umana, bipartita: l’assolutismo ontologico coesiste con il relativismo delle cose morali e il relativismo di ciò che dà gioia.

La morale, che è un po’ l’etica dei singoli casi, è piena di relativismi: una cosa immorale, se si rivela necessaria, in un determinato caso dev’essere accettabile, come una cosa normalmente passabile può diventare illecita in certe condizioni. Oppure, allo stesso modo, entro certi limiti dei comportamenti ritenuti stupidi/immorali per determinate culture possono diventare giustificabili per altre, e cose diverse possono essere non incoerentemente accettate da popoli diversi.

Allo stesso modo, è relativo ciò che dà gioia a una persona, ciò che piace. Infatti, dividendo la felicità in serenità e gioia, e siano la prima il soddisfacimento dei bisogni primari dell’uomo (che sono comuni a tutti) e la prospettiva di garantirseli stabilmente e la seconda il risultato di ogni attività che dà piacere, appare chiaro che la prima imponga linee guida assolutamente giuste, mentre la seconda possa essere acquisita in modi diversi. In parole povere, ogni uomo può avere piacere da diverse attività e preferirne alcune piuttosto che altre, e ciò non è contraddittorio di per sé, ma dipende dai gusti personali di un individuo, a sua volta influenzati dal suo vissuto, dalle sue inclinazioni naturali e dai suoi talenti.

Ma sia la morale che lo studio della gioia non sono relative integralmente: alle radici sono basate su parte della realtà oggettiva e quindi della verità assoluta. Queste parti dipendono entrambe dalla natura umana, ovvero da ciò che nell’uomo c’è di oggettivo e assoluto, nella sua struttura che lo lega qualitativamente al resto del creato: rispettivamente, nello specifico, ci si riferisce a ciò che nell’uomo c’è che determina quello che risulta sommariamente accettabile e a ciò che sta alla base della gioia (ovvero dà piacere, in fondo, tutto ciò che direttamente o indirettamente fa sentire l’uomo forte e sicuro, per approfondire vedi l’articolo apposito “L’equilibrio è la chiave della felicità”). Ecco ora dimostrato che la verità non è assoluta e immutabile, inamovibile, ma non è neanche tutta relativa: è un giusto mezzo tra le due cose, in barba alle accuse di dogmatismo e di sofismo; non per questo, però, la sua oggettività rischia di venir meno, perché è basata sui solidi fondamenti del nostro mondo.

Ciao, Ema




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