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Al Teatro Filarmonico, apertura scoppiettante con La vedova allegra

Al Teatro Filarmonico, apertura scoppiettante con La vedova allegra
Fermata Spettacolo

Ad uno sbigottito Don Pasquale la giovane moglie Norina dice: “Vò a teatro a divertirmi!“; ed ha ragione, eccome! A volte, anzi spesso, si giunge a teatro con tutte le intenzioni tranne quella di divertirsi: ed è qui che si sbaglia, cercando intellettualismi ove non ne servono, analisi e anamnesi ove non richieste. Quindi domenica per la prima de La vedova allegra, sono andato a teatro ‘per divertirmi!’.

L’entrata di Hanna Galawari

Fondazione Arena, dopo due mesi di silenzio e problematiche pesanti forse in via di soluzione, decide che è ora di divertirsi e lo fa togliendo dal cilindro uno spettacolo già collaudato, un cast stellare, allestendo ciò che dalla sua nascita ha rappresentato un divertimento elegante, lieve e garbato: l’Operetta per antonomasia “Die lustige Witwe” di Franz Lehar.  Poi siccome siamo a Verona e non a Vienna, il tutto viene rappresentato in lingua italiana con addirittura interventi “partenopei” perdendo, e tradendo forse, quel senso di garbata ironia che questo capolavoro contiene. L’obiettivo però è chiaro: divertiamoci e guardiamo avanti fiduciosi di una nuova rinascita.

Divertire sì, quindi: ma bisogna saperlo fare, e sempre con un gusto sorvegliato.

Lo spettacolo di Gino Landi (che qui firma regia e coreografia ripreso per l’occasione da Federico Bertolani) non soffre molto della polvere accumulata negli anni restando fresco e convincente. Tutto è ottimamente giostrato, scacciando la noia da ogni angolo. Landi con la sa lunghissima esperienza su ciò che funzioni in scena e su cosa diverta il pubblico, quindi fa centro giocando uno spettacolo elegante con qualche irresistibile incursione comica.

Ciò non sarebbe stato possibile però se al suo fianco non avesse avuto un’artista del calibro di Marisa Laurito ed una compagnia di canto così ben assortita. Citata per ultima in locandina, Marisa Laurito ne è salita subito in cima ed è stata la protagonista indiscussa della matinée. Proprio col suo ruolo di Njegus, allargato nei dialoghi e camuffato da “segretaria d’ambasciata”, la signora Laurito ha retto sulle spalle le fila dell’intero spettacolo. La verve scenica ed tempi comici erano al punto perfetti da far sorridere anche la non facile fila della critica. Le battute sempre sorvegliate nel gusto e recitate spesso in accento partenopeo, non scadevano però mai nella caricatura ma trovavano il loro essere nell’essenza di una napoletanità che solo chi vi nasce porta con sé ovunque. Vedendola recitare, sentendone la carica teatrale penso che sarebbe ottima in una parte drammatica.

Marisa Laurito, simpatica mattatrice della prima

Accanto ad un’attrice di così smaccata vis comica e forza scenica tutti gli altri interpreti risultavano più sagomati e meno vivi. Ma si tratta per lo più di giovani che sapranno far tesoro di questa convivenza scenica vulcanica e che comunque hanno saputo rispondere al meglio alle richieste di Landi dando nel complesso un’ottima prova.

Mihaela Marcu

Passando alla compagnia di canto difficile pretendere di meglio sulla carta, ma andiamo con ordine.

Nel ruolo di Hanna Glawari, Mihaela Marcu ne ha incarnato l’eleganza, il fascino e la sensualità come nessuna. Bellissima donna, quando è in scena si percepisce l’effluvio delle botteghe dei mastri profumai di Parigi riempire la sala in una nuvola di cipria sottile. La voce molto estesa anche all’acuto ha la morbidezza del miele e la freschezza dello champagne. Il canto è perfetto: la linea è sempre sostenuta dal fiato e il legato le permette un fraseggio da vera fuoriclasse. La scena di Vilja non potrebbe avere interprete migliore, risolta in mezzetinte sfumate e rarefatte.

Mihaela Marcu in “Vilja”

Molto bene anche il baritono Enrico Maria Marabelli nella parte del Conte Danilo. La voce scura e sicura ha una bella omogeneità sull’intera gamma ed è ottimamente proiettata con tecnica matura. Tuttavia il personaggio, non risulta risolto appieno, manca infatti il carisma e l’allure degno di un gagà di MAXIM’s.

Ottimo il Barone Zeta del fin troppo giovane Giovanni Romeo: spesso in scena sia con Hanna che con Njegus non risulta schiacciato dalla presenza scenica delle due, anzi riesce a coglierne gli stimoli creando un personaggio simpatico ed abbastanza completo.

Il tenore palermitano Giorgio Misseri ha costituito una piacevole sorpresa. Il bel timbro di una voce non grossa è messo al servizio di una tecnica sorvegliatissima quanto prudente, riuscendo a riempire la sala con acuti molto lucenti. Scenicamente qualcosa non funziona e l’interpretazione risulta meccanica e non si coglie lo spirito di autentico dandy della situazione. Ma sono sicuro che in ruoli di più larmoyant il giovane tenore possa raggiungere livelli interpretativi ragguardevoli.

Tra questi due, si infila maliziosamente il personaggio di Valencienne. Peccato che la prova di Desirée Rancatore non sia stata all’altezza del proprio nome e in parte ha deluso. La voce è sempre bellissima, sia chiaro, e lei resta la grande artista che è con tutti i suoi sovracuti magnifici: ma in questo ruolo non mi convince. Risolto a metà, il personaggio non respira e della sensualità repressa di cui è pervaso non resta che un banale luogo comune. La linea vocale inoltre è a volte compromessa e tecnicamente non approfondita per le difficoltà (nascoste) del ruolo: spesso il legato si interrompe e nella canzone del terzo atto  si sconfina nel parlato più volte. Diverte poco quindi il suo personaggio ed è vero un peccato visto il bel contesto.

Affiatata la coppia di parigini, ottimo sia scenicamente che vocalmente in Cascada il baritono Francesco Paolo Vultaggio, mentre vocalmente inesistente il RAOUL DE ST. BRIOCHE di Stefano Consolini che tuttavia ha recitato molto bene.

Ottime poi tutte le parti secondarie che vale la pena citare tutte: Bogdanowitsch era interpretato da Daniele Piscopo, Sylviane da Serena Muscariello, simpatico il Kromow di Andrea Cortese alla perenne ricerca della moglie Olga sostenuta da Lara Rotili, Pritchitsch di Nicola Ebau ed infine Praskowia di Francesca Paola Geretto.

Una menzione va fatta alla pirotecnica prova del corpo di ballo che è chiamato a sostenere nel terzo atto l’indiavolato Can-can preso in prestito da “Gaité parisienne” di Offembach che ha conquistato la sala del teatro.

Il balletto del terzo atto

Quanto alla direzione di Sergio Alapont, non possiamo dire né male, né benissimo; seppur energica, dinamica ed elegantemente virile non riesce a trarre dall’orchestra, che pur suona bene, l’aspetto sensuale della vicenda ed il trasporto lirico in più passaggi. La sezione degli archi risulta spesso affossata, il fraseggio non si illumina e si perde quell’incanto Liberty che si vorrebbe vivere in un capolavoro come questo. Si raggiungono comunque momenti molto belli, il già citato “Vilja” ad esempio, e complice ne è anche il coro ottimamente istruito da Vito Lombardi.

Il direttore, Sergio Alapont

Lo spettacolo si completa in modo eccellente grazie delle belle e funzionali scenografie Liberty di Ivan Stefanutti e dei magnifici costumi di William Orlandi.

Alla fine il pubblico divertito e festante accoglie i protagonisti con calorosi applausi per tutti. Così, se voleste andare a teatro, con l’idea di “divertirsi” avete tempo fino al 31 dicembre.

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