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Coronavirus, la linea del contagio (2): il Frecciarossa deragliato a Lodi

Se foste rimasti sbigottiti dal possibile “detonatore” del contagio della partita di calcio Atalanta-Valencia meglio non parlare del deragliamento del Frecciarossa a Ospedaletto Lodigiano. Siamo al 6 Febbraio 2020, un giovedì qualsiasi. Ripeto anche questa volta che ovviamente tutto quello che segue sono fatti sì ma sono anche suggestioni, quindi nessuna certezza scientifica, che difficilmente si potrà ora ricostruire esattamente.

6 febbraio 2020, un Frecciarossa deraglia vicino Lodi

Il pezzo di Andrea Galli del Corriere della Sera ricostruisce tutto molto bene. Un incidente che nonostante il contenimento delle morti (due vittime, i macchinisti, nessun ferito grave fra i pochi passeggeri), non evita, come da prassi in caso di disastro, l’arrivo dei reparti di pronto intervento di carabinieri, finanzieri e poliziotti (solitamente, su una scala da zero a cento, sono ripartiti in 40-20-40 unità).

Sulla scena dell’incidente, oltre a loro, arrivano i giornalisti che si occuperanno dell’inchiesta sull’incidente, i curiosi dai paesi vicini, i rappresentanti istituzionali. Il virus, in quella che, a brevissima distanza di chilometri, diventerà la prima «zona rossa», è già in circolo. E tra gli otto e i dodici giorni successivi, le forze dell’Ordine accusano i primi malati. L’inizio di una lunga scia che ci porta fino a oggi e fino a Milano, Bergamo e Brescia.

Sul posto del deragliamento intervengono molte persone

I sintomi sono identici: dolori muscolari, febbre anche sopra i 39 che abbatte i corpi, gola secca e fatica a deglutire, tosse. Pur se con una portata superiore alla norma, gli indebolimenti vengono catalogati come influenza di stagione. Non è ancora la fase dei tamponi e così quei carabinieri, finanzieri e poliziotti dormono in caserma insieme agli altri, mangiano in caserma, e appena si riprendono tornano sui mezzi e in azione. Fino a quando — e arriviamo al 23 febbraio, domenica — bisogna iniziare a garantire la sorveglianza ai confini di quella «zona rossa» nel Lodigiano. E il personale torna a stretto contatto con il virus.

In questo periodo, febbraio, manca la consapevolezza della gravità della situazione, e permangono indecisioni nelle scelte governative e di conseguenze su quanto sia importante garantire la sicurezza personale. Uno dei testimoni ha raccontato al Corriere: «Ci sono stati anche contatti ravvicinati con i residenti. Parecchie volte. Non so quanto sia filtrato alla stampa, ma in certe situazioni è capitato di spingere via, anche fisicamente, chi a tutti i costi voleva “evadere”. Dopodiché, dobbiamo essere onesti: le mascherine erano poche. Pochissime. E sicuramente con leggerezza noi per primi, ce le scambiavamo: chi smontava dal turno le consegnava al collega che attaccava dopo di lui…».

Un posto di blocco fuori da Codogno, “zona rossa”

Nel flusso dell’organico inviato ai lembi della «zona rossa», nell’ambito del turnover, ci sono anche uomini che in precedenza, il 19 febbraio, sono impiegati nell’ordine pubblico della partita di Champions League tra Atalanta e Valencia.

La linea del contagio quindi ha avuto un’ulteriore estensione nella Bergamasca e nel Bresciano, viaggiando con le forze dell’ordine. Ma non finisce qui.

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