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Megalopolis recensione film di Francis Ford Coppola con Adam Driver [Cannes 77]

Megalopolis recensione film di Francis Ford Coppola con Adam Driver, Giancarlo Esposito, Nathalie Emmanuel, Aubrey Plaza, Shia LaBeouf, Jon Voight, Jason Schwartzman, Talia Shire e Dustin Hoffman

Megalopolis: un tragico fallimento ben motivato

Megalopolis è un film davvero fallimentare, ma lo è per le motivazioni giuste. Non si può che ammirare un’artista come Coppola che, per inseguire il suo sogno, alla sua età, investe una quantità straordinaria di tempo, soldi ed energie per poter portare al cinema una visione che lo insegue e perseguita sin dai tempi di Apocalypse Now, che ha scritto e riscritto per decenni, che voleva fare a modo suo.

È ben noto come sia riuscito a produrre questo film: vendendo buona parte del suo impero vitivinicolo per mettere insieme i 120 e passa milioni di dollari necessari per realizzare la sua utopia cinematografica senza restrizioni, con totale libertà espressiva e creativa. La storia del cinema insegna che un’estrema libertà creativa può rivelarsi la più insidiosa delle condizioni e Megalopolis conferma questo assunto. Certo il sistema degli studios è restrittivo, censorio e asfissiante, ma vedendo l’ultima prova di Coppola non si può che pensare che il leggendario regista avrebbe giovato di un qualche tipo di paletto, di limite, di costrizione.

Adam Driver e Nathalie Emmanuel (Credits: American Zoetrope/Eagle Pictures)

La visione romanadi Coppola è tutto stucco e niente arrosto

Nelle intenzioni del suo regista Megalopolis è il racconto di cosa sia diventata la sua America, trasfigurata in una metropoli futuristica con forti influenze estetiche dall’impero romano, a partire dal nome: New Roma. Siamo palesemente a New York, fotografata con luci e cromature tali da sembrare la pubblicità di un profumo maschile più che un film di Coppola. La fotografia, le scenografie, i costumi: tutto sembra gravemente sotto-prodotto, come se i professionisti che hanno lavorato sul set avessero un budget risicatissimo a disposizione. Manca la visione, non c’è la costruzione di un mondo credibile, organico, diverso dal nostro ma che sembra esistere in qualche luogo. Non ci sentiamo mai a New Roma, quanto piuttosto in una brutta versione di Gotham City in cui sono stati stuccati qua e là riferimenti alla Roma imperiale.

A dare il colpo di grazia visivo al film sono i pessimi, pessimi effetti visivi. Negli scorsi mesi era trapelata la notizia che l’intera sezione degli artisti di VFX era stata licenziata e poi rimpiazzata. Purtroppo si vede: l’effettistica di molti passaggi sembra un abbozzo, una versione provvisoria destinata a essere migliorata e rifinita. Non è stato così e l’impressione generale è assistere a un film che spesso sembra finto e la cui produzione non è quasi mai all’altezza della storia.

Storia che anche a livello di scrittura ha le sue gravi lacune. Megalopolis racconta la lotta tra due visioni della realtà, della vita umana e della società. Da una parte c’è l’architetto di Adam Driver, un geniale vincitore del premio Nobel che vuole costruire la metropoli del futuro con il suo materiale megalon, tendendo a una visione nobile ma prestando poca attenzione al presente e a chi in città già ci vive. Dall’altra c’è il sindaco della città interpretato da Giancarlo Esposito, che ha una visione pragmatica e utilitarista, fortemente radicata nel presente e perciò vede tutto il piano del rivale come fumo negli occhi. A complicare la situazione c’è il fatto che sua figlia s’innamorerà, ricambiata, del suo rivale.

Aubrey Plaza (Credits: American Zoetrope/Eagle Pictures)
Adam Driver (Credits: American Zoetrope/Eagle Pictures)

Coppola rivela le sue contraddizioni dartista, ma nessuna soluzione al grande problema americano

Tutt’intorno ci sono odiosi personaggi femminili sospesi tra fantasie erotiche e ruoli ancillari, baccani in discoteca, arene con popstar che strombazzano la loro illibatezza, banchieri che si fanno sedurre da giornaliste arriviste, un cugino dell’architetto protagonista consumato dall’invidia per colui che sembra la versione di successo di se stesso. Alcuni hanno scomodato un paragone con il Babylon di Damien Chazelle. Non regge, perché pur con tutti i suoi difetti quel film faceva un discorso chiarissimo e costruiva un impero decadente coerente.

La visione di Coppola straborda da tutte le parti, è un ammasso di spunti e idee (alcuni geniali, molti al limite del ridicolo) che fanno sembrare Megalopolis il lunghissimo monologo di un vecchio che esordisce con un “o tempora, o mores!” per poi proporci la sua grande visione di come dovrebbe essere il mondo. Governato dall’amore (banale, scontato, ma ci può stare) è il suo assunto, seguito da una serie di spunti e idee che sembrano i deliri di un uomo inebriato dall’eccessiva sicurezza in sé. L’aspetto sconfortante è che accetteremmo volentieri anche qualcosa di visionario e folle, ma quello che Coppola dice è, tutto sommato, assai banale. Ci indica vizi e decadenza statunitensi che il cinema, anche il suo cinema, ci mostra da decenni.

La maschera di Shia LaBeouf (Credits: American Zoetrope/Eagle Pictures)

La soluzione la porta ovviamente il personaggio alter ego del regista, quello di Adam Driver, irresistibile per donne, amici, parenti, nemici. In un lungo monologo sulla libertà e la democrazia proiettato sulla fiaccola della Statua della Libertà Coppola ci rivela finalmente il suo ideale, ma non sembra nemmeno cogliere l’ironia di un uomo che va a predicare l’uguaglianza e i diritti agli ultimi che stanno per perdere la loro casa per colpa sua, mentre lui vive nel super attico all’ultimo piano del Chrysler Building.

Megalopolis è interessante giusto per come rende evidente la vitalità e la smania di fermare il tempo di un personaggio alter ego di un’artista che sa già di aver scritto la storia, di essere entrato nell’utopia cinematografica, ma che proprio non riesce ad arrendersi alla sua mortalità. È quasi commovente come metta a nudo i suoi desideri, le sue manie, anche un po’ la sua ingenuità. Forse per questa sua natura nevrotica, folle, controversa, è un film da cui a uscirne bene (davvero bene) è solo Shia LeBeouf. Mentre gli altri colleghi come Adam Driver e Aubrey Plaza annaspano o esagerano, lui affronta scene assurde ed eccessive come un attore shakespeariano, con grande naturalezza, muovendosi nel suo elemento.

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