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Dune – Parte Due recensione film di Denis Villeneuve con Timothée Chalamet e Zendaya [Anteprima]

Dune – Parte Due recensione film di Denis Villeneuve con Timothée Chalamet, Zendaya, Rebecca Ferguson, Josh Brolin, Austin Butler, Florence Pugh, Javier Bardem, Léa Seydoux, Austin Butler [Anteprima]

Dune – Parte Due di Denis Villeneuve (Credits: Warner Bros. Entertainment Inc)

Per evitare che nel deserto di Arrakis si finisca preda dei vermi delle sabbie, il popolo Fremen ha adeguato la propria andatura con un ritmo irregolare e non lineare per rendere neutre le tracce sulla sabbia.

Non è un segreto, Paul Atreides (Timothée Chalamet) lo ha appreso dai compendi d’addestramento visuali nella sua formazione. Eppure quando Chani (Zendaya) lo vede muoversi nella notte del deserto in una sequenza di Dune – Parte Due ha davanti un ubriaco intento a replicare un teorema piuttosto che ad applicarlo.

In mezzo alla magnificenza e alla complessità di Dune, già evocata nel primo capitolo, è questo l’ago nel pagliaio che sblocca il passaggio dal reboot di un cult degli anni Ottanta a caposaldo della fantascienza del nuovo millennio. Siamo davanti a un fenomeno che può raggiungere la portata culturale e iconica di Star Wars quarant’anni dopo la versione realizzata da David Lynch senza pagare dazio per l’enorme tempo trascorso.

Il world building realizzato da Denise Villeneuve e dall’intero cast tecnico esplode in una narrazione che diventa epico-contemporanea, con un nichilismo di fondo che soffia come il Simun su un mondo infestato dal potere distruttivo dell’uomo e delle sue macchinazioni.

Timothée Chalamet e Josh Brolin in Dune – Parte Due di Denis Villeneuve (Credits: Warner Bros. Entertainment Inc)

Il sopravvissuto della casata Atreides assurge a Muad’dib, il Messia invocato dai Fremen o, secondo la sorellanza delle Bene Gesserit, a Kwisatz Haderach, in una ragnatela di cospirazioni, fanatismo e preveggenza che dialoga alla perfezione con logiche e situazioni della realtà. Paul si è fatto uomo per comprenderne l’essenza e piegarla al proprio volere, accentrando un potere prima distribuito con criteri speculativi.

Due passi in diagonale, una mezzaluna intorno al piede d’appoggio e un salto senza spinta prima di tornare a terra. Un movimento brusco, uno elusivo e un affronto per affrontare le dune: i tre atti aristotelici si trasformano in sequenza cinematografica di livello superiore.

Zendaya in Dune – Parte Due di Denis Villeneuve (Credits: Warner Bros. Entertainment Inc)

Obbedendo a questo ritmo sincopato Dune – Parte Due prepara il salto verso il cielo con un culmine privo di entusiasmo e pregno di rassegnazione per non poter evitare di raggiungere il centro del sole. Non c’è una battaglia finale, c’è il casus belli della jihad per la sovversione dell’ordine vigente, ma con un futuro in scala di grigi.

Siamo nel secondo atto, siamo di nuovo alla mercé dei risultati di un botteghino decisivo per il futuro, ma la progressione non è ancora interamente compiuta perché i piani migliori hanno dei tempi di incubazioni costosi e lunghi, a volte anche generazioni. Meglio attendere con gli occhi pieni di polvere un nuovo sorso potenzialmente fatale di acqua della vita.

Zendaya e Rebecca Ferguson in Dune – Parte Due di Denis Villeneuve (Credits: Warner Bros. Entertainment Inc)
Dune – Parte Due di Denis Villeneuve (Credits: Warner Bros. Entertainment Inc)

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