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The Green Border recensione film di Agnieszka Holland [Venezia 80]

The Green Border recensione film di Agnieszka Holland con Jalal Altawil, Maja Ostaszewska, Tomasz Włosok, Behi Djanati Atai e Mohamad Al Rashi

Con The Green Border Agnieszka Holland scuote l’Europa

“L’Europa deve svegliarsi”: lo dice forte e chiaro la regista polacca Agnieszka Holland durante la conferenza stampa di presentazione di Zielona Granica (The Green Border), il film che riporta prepotentemente la politica in un concorso veneziano fin qui apparso introspettivo e intimista. L’Europa di cui parla Holland è quella sognata dai migranti protagonisti del suo nuovo film, ma completamente assente dalla pellicola. La politica, i diritti umani, l’asilo politico rimangono parole e sogni che si infrangono di fronte a una realtà durissima, che il film investiga con un taglio narrativo ma con un rigore e un approccio che possono ricordare il documentario.

Mentre Matteo Garrone si concentra sulla rotta mediterranea, sul sogno e sull’epica per raccontare lo stesso argomento, Holland espone la drammatica realtà su uno dei confini orientali dell’Europa, tenendo i piedi ben piantati nella fangosa realtà delle periferie dell’Unione. The Green Border è infatti ambientato per lo più sul confine tra Bielorussia e Polonia. Non vediamo le difficoltà che i siriani e gli afghani hanno affrontato per raggiungere l’Europa, desiderosi di chiedere asilo politico o trovare rifugio presso parenti e amici già integratisi in Svezia o in altri paesi nordici. Seguiamo gruppi di migranti che pensano di affrontare l’ultimo miglio in relativa sicurezza. Alcuni di loro arrivano in aereo, invitati dalla Bielorussia, accolti con una rosa all’atterraggio dalle hostess. “Benvenuti in Bielorussia”, dicono loro.

The Green Border di Agnieszka Holland vince il Premio Speciale della Giuria a Venezia 80 (Credits: La Biennale di Venezia)

Non sanno ancora di essere diventati un’arma politica. All’aeroporto trovano un passaggio, pagato a caro prezzo, che li porta nei pressi del confine tra le due nazioni.
Una volta entrati in Polonia saranno in Europa, potranno chiedere asilo e circolare liberamente. Almeno in teoria. C’è solo da attraversare una “zona di sicurezza” (notate l’assonanza con la “zona d’interesse” raccontata da Jonathan Glazer nel suo film premiato a Cannes), una terra di nessuno delimitata da due linee di filo spinato: una da parte bielorussa, una da parte polacca. I migranti e gli spettatori non lo sanno, ma arrivare in Polonia non significa essere in salvo, anzi. Oltre il confine, la zona di sicurezza si estende per un’area abbastanza vasta, in cui le guardie di confine vanno a caccia di migranti.

Chi viene individuato, magari con la complicità di cittadini delatori, viene detenuto, ne vengono ignorati i diritti e le richieste e, nottetempo, ricondotto al confine. Il filo spinato viene aperto, i migranti ricacciati in Bielorussia e fine della storia, del sogno
europeo. Inizia l’incubo. Quando i Bielorussi ritrovano i migranti nel loro territorio, li picchiano, li derubano e poi li rispediscono a forza in Polonia alla prima occasione propizia, dopo averli detenuti in campi all’addiaccio, in condizioni terribili.

The Green Border di Agnieszka Holland vince il Premio Speciale della Giuria a Venezia 80 (Credits: La Biennale di Venezia)

I migranti di The Green Border sono crudeli palline di un flipper che nessuno vuole incassare. L’unica regola è non avere a che fare con cadaveri, perciò i migranti non vengono uccisi o, se ritrovati morti, vengono lanciati oltre il confine.
Holland racconta questa storia di terribili abusi e soprusi dividendola per capitoli e arricchendola dal punto di vista di vari personaggi. Si parte ovviamente dai migranti; un gruppo composito di persone che si uniscono strada facendo. Una famiglia di siriani in fuga con bambini al seguito e un anziano padre, una donna sola che è fuggita dall’Afghanistan e cerca asilo in Polonia, una giovane africana incinta.

Ci sono poi un gruppo di attivisti polacchi di una ONG che fornisce assistenza sanitaria, logistica e supporto legale ai migranti, ma non può aiutarli attivamente a superare il confine per evitare screzi con le autorità, che potrebbero minacciarne l’esistenza. Da questo gruppo, col tempo, si distaccano figure più radicali, che si muovono nell’illegalità pur di non lasciare morire migranti feriti, bloccati o perduti tra foreste gelide e paludi insidiose.
Infine, c’è la prospettiva di una giovane guardia di frontiera polacca, una casa da ristrutturare e un figlio in arrivo, divisa tra un’umanità che le viene chiesto di mettere a tacere e il desiderio di fare il proprio dovere, difendendo la nazione.

La regista Agnieszka Holland ritorna a Venezia (Credits: G. Zucchiatti – Foto ASAC/La Biennale di Venezia)
Maja Ostaszewska alla Mostra del Cinema di Venezia 2023 (Credits: G. Zucchiatti – Foto ASAC/La Biennale di Venezia)

Interamente girato in bianco e nero, The Green Border è un film gelido e lucido, che non fa concessioni alla speranza e nemmeno al possibilismo, nonostante gli sparuti momenti in cui le cose vanno bene. Il ritratto polacco che ne emerge è quello di un paese pericoloso quanto il Nord Africa per chi tenta di attraversarlo, in cui l’asticella viene spostata sempre più in basso per quanto riguarda lo standard europeo.
All’indomani della presentazione a Venezia, il film è stato paragonato dal governo polacco a “propaganda che scredita la nazione al pari di quella fatta durante il nazismo.”
The Green Border è in effetti un film critico e durissimo, che nel suo epilogo trova anche la forza di sottolineare l’ipocrisia di un paese che in poche settimane riesce ad organizzarsi per accogliere e supportare milioni di ucraini in fuga dalla guerra, ma definisce trentamila migranti sul suo confine verde “bombe umane del regime bielorusso”, non esitando a militarizzare parte del proprio territorio come se fosse in guerra.

Dal punto di vista politico e umano, il racconto rigoroso e collettivo di The Green Border illustra una storia che meriterebbe di essere conosciuta in tutti i suoi macabri e sinistri dettagli, specie prima di emettere facili giudizi sull’argomento in questione.
Dal punto di vista cinematografico, però, è un film che non sposta di un millimetro lo stato delle cose. Holland dice: “Un film non può cambiare il mondo, nemmeno due: a cambiare deve essere l’Europa.” Forse ha ragione, ma The Green Border in qualche modo è tutto quello che le sue premesse suggeriscono e parla ad un pubblico che non ha bisogno di convincimenti in merito, non riuscendo a raggiungere altre persone. Nei momenti più drammatici, in cui dovrebbe commuovere e straziare, risulta freddo, distaccato e distante. Anestetizza, più che ferire e far sentire partecipi.

Sullo stesso tema, parlando di cinema, Garrone con Io capitano ha fatto qualcosa di più inaspettato e interessante e coinvolgente. The Green Border ha molte scene forti, alcune di puro shock value, ma lascia il dubbio di lasciare poco dietro di sé, dopo lo shock e l’indignazione.

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