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Io capitano recensione film di Matteo Garrone con Seydou Sarr [Venezia 80]

Io capitano recensione film di Matteo Garrone con Seydou SarrMoustapha Fall, Khady Sy Issaka Sawagodo

Con Io capitano Matteo Garrone dà voce alla storia di Seydou (l’esordiente Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due cugini adolescenti senegalesi che decidono di intraprendere il pericoloso viaggio che conduce i migranti alle sponde di un’Europa da sogno. Presentato in concorso all’80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Io capitano è un meraviglioso racconto dal sapore di una favola, ma è anche il primo film prodotto da Rai Cinema e distribuito da 01 Distribution ad aver un cast composto interamente da attori neri e recitato in dialetto wolof.

Io capitano: il viaggio di formazione di Seydou raccontato dalla prospettiva dei migranti

Partendo dalle testimonianze di chi ha davvero compiuto questo viaggio per raggiungere l’Europa, Garrone ha posto in primo piano l’esperienza dei migranti, delle loro sofferenze, sottraendo ai racconti che siamo abituati a vedere in TV la prospettiva occidentale, la visione, impregnata di white saviourism e razzismo interiorizzato, che caratterizza le narrazioni sulle vicende delle comunità che giungono in Italia, dopo mille pericoli.

Seydou Sarr (Credits: Greta De Lazzaris/Rai Cinema)
Io capitano di Matteo Garrone con Seydou Sarr presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2023 (Credits: Greta De Lazzaris/Rai Cinema)

Per farlo, Garrone – e gli sceneggiatori Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri – mostrano al pubblico la favola di Seydou, il suo desiderio di raggiungere l’Europa con Moussa per diventare un grande musicista: Seydou vive in Senegal con sua madre (Khady Sy) e le sue sorelle, in una comunità accogliente, in cui il ritmo della vita scorre lento e felice. Un locus amoenus in cui il male non può toccarli, protetti dall’amore delle loro famiglie e impegnati a costruire il loro futuro. Ma, come in tutti i viaggi eroici, Seydou vuole varcare i confini del suo mondo e raggiungere un’ideale luogo mitico, questa Europa così lontana e a lungo decantata, per ottenere successo e fama. Forte della loro ingenuità e convinti che saranno in Europa in un batter d’occhio, i due cugini si mettono in viaggio attraverso il deserto libico, trovandosi di fronte agli orrori di un mondo che sfrutta le debolezze altrui e distrugge ogni speranza.

Nel raccontare i soprusi e gli orrori dei migranti, Garrone sottrae allo sguardo morboso dello spettatore la narrazione delle violenze, mostrandone soltanto i risultati e scegliendo di non indugiare sulle ferite, sul sangue e il dolore, ma riuscendo con maestria a dare una chiara visione di ciò che troppi esseri umani sono costretti a subire pur di arrivare sulle nostre coste.

Seydou Sarr e Khady Sy (Credits: Greta De Lazzaris/Rai Cinema)
Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia 80esima edizione (Credits: Greta De Lazzaris/Rai Cinema)

La favola di Seydou e quell’Io in primo piano

Tenendosi ben lontano dallo stile documentaristico, il film di Garrone ha il sapore di una favola, in cui alla crudezza di molte immagini si alternano frammenti di visioni poetiche e sognanti – cifra stilistica del suo cinema – per esternare le paure e i desideri di Seydou. Il giovane attore catalizza l’attenzione su di sé, merito anche dei primi piani della regia, perché il pubblico non deve mai dimenticare che l’Io del titolo è quello di Seydou e non di Garrone, né dell’Occidente – le cui responsabilità politiche sono taciute nel film – o della visione bianca e parziale a cui siamo abituati.

Io capitano è un racconto di formazione, una favola dai toni oscuri (ma non lo sono tutte le fiabe?), una testimonianza autentica, coraggiosa e necessaria. Come necessaria è stata la scelta di far uscire in sala il film senza doppiaggio e con i sottotitoli, a ricordare che questa storia non parla, finalmente e per la prima volta, di noi. Io capitano è una visione imperdibile.

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