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The Book of Solutions recensione film di Michel Gondry con Pierre Niney [Cannes 76]

The Book of Solutions recensione film di Michel Gondry con Pierre Niney, Blanche Gardin, Camille Rutherford, Vincent Elbaz, Françoise Lebrun, Frankie Wallach e Sting

The Book of Solutions: ritorno al Gondryverso

“Certe sequenze sono così spettacolari che non hanno bisogno di voice over” commenta la voce narrante di Marc Berger, l’alter ego di Michel Gondry in The Book of Solutions. La sequenza per una volta non ha a che fare con la sua prolifica immaginazione di regista, bensì con un evento che svolterà la vita del personaggio che lo rappresenta in un film che gli gira tutto attorno.

Un film di soluzioni comiche brillanti, quasi tutte basate su dialoghi e monologhi, con un approccio visivo molto tradizionale, essenziale. The Book of Solutions infatti vuole essere una commedia brillante che ci regala il ritorno di un regista che si era un po’ perso, che nel raccontarsi ritrova la forma. La pellicola infatti non è tanto un film di Gondry, ma piuttosto un film su Gondry, che usa il solito trucchetto del personaggio dal nome differente ma chiaramente identificabile con lui per condividere di un momento passato, non semplicissimo, della sua vita.

Durante la promozione di Dolor y Gloria, Pedro Almodóvar – che in quel film ricorreva allo stesso trucchetto – spiegò che rivelarsi con quel livello di brutale onestà è un processo così intenso che hai bisogno di almeno un velo di menzogna, una sottile ipocrisia per poter reggere l’intero processo. Questo Gondry qui a Cannes non l’ha detto, ma è implicito in un film tanto brillante e genuinamente divertente per lo spettatore quanto disperato per chi racconta esperienze davvero vissute sotto il peso del proprio genio.

Pierre Niney e Blanche Gardin (Credits: Partizan Films)
Pierre Niney (Credits: Partizan Films)

“Al mattino mi sveglio triste, il pomeriggio mi sento manipolato”: dice così Pierre Niney, giovane stella del cinema francese che ha per “padrino artistico” proprio Gondry, nel raccontare la sua giornata tipo. In realtà è lui che tenta di manipolare, con le buone ma soprattutto con le cattive, chi gli sta intorno, lanciandosi in fulminanti ma brevissime estasi creative, abbandonandone una dopo l’altra a ritmo giornaliero.

È un uomo e artista più maturo e cambiato quello che qui racconta un sé passato, tormentato, schiacciato dal peso della sua stessa creatività. Marc infatti è un regista al lavoro su un film di ben quattro ore di lunghezza che non solo non riesce a finire, non vuole proprio guardare. Di fronte al taglio dei finanziamenti, “rapisce” il materiale in fase di montaggio e si rifugia dalla sua figura materna di riferimento, Denise, nel suo villaggio d’origine. Con lui sono rimasti due montatori e un’assistente, che fanno a turno per stargli dietro, consolarlo, ascoltare pazientemente i suoi deliri creativi.

Berger/Gondry infatti ha smesso di prendere i farmaci che tengono un po’ a freno il lavorio incessante del suo cervello, facendo andare a ruota libera la sua immaginazione. Celebrato proprio per l’infinita inventiva visiva, Gondry scrive un film sul prezzo enorme da pagare nel portarsi dietro un talento del genere. L’alternativa a vivere in una costante condizione di foschia mentale indotta dai farmaci e allontanare tutte le figure importanti della propria vita, schiacciate da una mente che creando senza sosta distrugge ogni legame lavorativo e affettivo.

Tanto la commedia è divertente e leggera, tanto Gondry con autentica umiltà fotografa forse il suo momento peggiore, tra egoismi, paranoie, vessazioni al suo staff e pensieri ossessivi sull’orlo della follia. La pellicola sembra quasi un omaggio e un biglietto di scuse al manipolo di eroi che rimane comunque al suo fianco. Gondry fa capire che questi collaboratori sono diretti e unici responsabili dell’arrivo in sala delle pellicole, verso cui il regista (allora e probabilmente anche oggi) prova una paura folle.

The Book of Solutions di Michel Gondry con Pierre Niney, Blanche Gardin, Camille Rutherford e Vincent Elbaz (Credits: Partizan Films)
The Book of Solutions di Michel Gondry con Pierre Niney, Blanche Gardin, Camille Rutherford e Vincent Elbaz (Credits: Partizan Films)

Memorabile la scena in cui Marc vuole registrare la colonna sonora del suo nuovo lavoro, una sorta di noir surrealista con un topo gigante che insegue il protagonista. Prova così a condurre da solo un’orchestra messa insieme in uno studio amatoriale di paese, pretendendo che improvvisi sul momento la musica guardando il muoversi dei suoi arti e del suo corpo. Musica che poi diventerà colonna sonora del film che stiamo vedendo, in cui compare anche Sting in un cameo molto ironico con cui Gondry stigmatizza anche le sue piccole vittorie in un mare di ingiustificate (ma divertenti) follie.

Quella dell’orchestra è un’idea bellissima, ma soprattutto una vera storia del periodo più sperimentale del cineasta. Non è difficile indovinare che, dietro certi scoppi d’ira e notti insonni raccontate dal film con grande leggerezza ci siano altrettanti momenti di crisi di Gondry, che solo oggi li riconosce come tali e ha l’umiltà e la maturità di riderci su.

Non è un risultato scontato. È curioso come The Book of Solutions e Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores finiscano per sovrapporsi, proponendo più o meno la stessa storia, con esiti però totalmente opposti. Tanto il film italiano è pomposo e inutilmente celebrativo quanto Gondry decostruisce il suo mito, celebrando solo le persone che gli hanno consentito di ottenere la gloria di regista, mettendosi a nudo fino ad ammettere le pulsioni peggiori nel suo delirio paranoico di egoismo e tracotanza.

Se il film è tanto divertente e riuscito è anche perché Pierre Niney, attore lanciato da film di stampo drammatico come Frantz, ha un talento non da poco per la commedia, incarnando con grande precisione l’essenza pubblica del Gondry di un tempo, scucendola della apparenze e mostrandoci quanto di poco nobile ma molto umano si nascondeva dietro.

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