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L’innamorato l’arabo e la passeggiatrice recensione film di Alain Guiraudie [Anteprima]

L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice recensione film di Alain Guiraudie con Jean-Charles Clichet, Noémie Lvovsky, Iliés Kadri e Doria Tillier

Presentato alla sezione Panorama del 72esimo Festival di Berlino e alla 40sima edizione del Torino Film Festival, L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice – titolo italiano di Viens Je t’emméne – è l’ultimo lavoro di Alain Guiraudie, in uscita nelle sale italiane dal 27 aprile. Prodotto da Charles Gillibert, in coproduzione con Arte France Cinéma, Auvergne-Rhone Alpes Cinéma e Umédia, il film è un’interessante commedia dalle non poco velate tinte thriller e drammatiche.

Ambientato a Clermont-Ferrand, una città della Francia centrale, il film diretto e sceneggiato da Guiraudie segue le vicende di tre personaggi: Médéric (Jean-Charles Clichet), un trentacinquenne single, Selim (Iliès Kadri), un giovane arabo senzatetto, e Isadora (Noémie Lvovsky), una prostituta sulla cinquantina. Le storie di questi tre personaggi, rispettivamente l’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice del sin troppo semplicistico titolo italiano, si intrecciano lungo quelle che possono essere considerate le due principali direttrici narrative, ovvero la furtiva storia d’amore tra Médéric e Isadora, braccata dalla gelosia del marito di quest’ultima, e il tremendo attacco terroristico di possibile matrice islamica di cui Selim viene sommariamente accusato.

Jean-Charles Clichet e Noémie Lvovsky (Credits: Satine Film)

Un’eccessiva mescolanza di generi

Dapprincipio, non è semplice definire un film come L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice. Sebbene la trama sia piuttosto lineare, con personaggi tutto sommato caratterizzati discretamente, a lasciare un po’ perplessi è quella che in teoria dovrebbe essere il punto forte – e originale – del film: la coesistenza dei generi. Se si dovesse fare un parallelismo con il corpo umano, la commedia dovrebbe risultare la colonna vertebrale del film, ovvero a buone ragioni la struttura portante dell’intera pellicola, mentre il thriller il cervello che “pensa” le scene, declinandole in un’appassionante caccia all’uomo.

Ma se nella prima parte la commedia accompagna abbastanza piacevolmente il thriller, sostenendo senza difficoltà le divertenti macchinazioni messe in atto da Médéric per conquistare Isadora e indagare su Selim, la seconda parte invece risente del pulsare imperfetto del cuore dell’ultimo lavoro di Guiraudie: il dramma. Non che non dovessero esserci sezioni più squisitamente drammatiche, specie se si affrontano tematiche impegnative come la lotta al terrorismo o la paura del “vicino” islamico. È, appunto, il ritmo irregolare e incostante del cuore narrativo a svilire un racconto costitutivamente non banale.

L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice di Alain Guiraudie con Jean-Charles Clichet, Noémie Lvovsky e Iliés Kadri (Credits: Satine Film)

Una creatura multiforme ma interessante

Eppure, le idee di partenza sono chiare: prendendo spunto dai suoi modelli più amati, soprattutto da La regola del gioco di Jean Renoir e da Che ho fatto io per meritarmi questo? di Pedro Almodóvar – e con una strizzatina d’occhio anche a La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock -, Guiraudie edifica una tragicommedia multiforme senza però una direzione precisa. Come se il girovagare del protagonista, il suo confondersi tra l’amore per la passeggiatrice e il timore per l’arabo, giungesse allo spettatore in modo tanto didascalico quanto inconcludente. Anche il finale, pur se spiazzante e narrativamente spavaldo, appare come un sussulto della trama un tantino fuori luogo.

Si badi bene: anche se condizionato da una scrittura ricca di idee confusamente amalgamate, L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice presenta alcuni punti di forza. Ad esempio, con la sua interpretazione sorniona, Jean-Charles Clichet è perfetto per la parte dello scombussolato Médéric, mentre la magnetica Noémie Lvovsky riesce a infondere alla sua Isadora una forza e una sensibilità fortissime. Anche la scelta delle location, con il conseguente lavoro sulle scenografie, denota un’attenzione apprezzabile per un’evidente sottotraccia del film: anche in una cittadina tranquilla e conviviale come Clermont-Ferrand, la piaga della xenofobia insegue le fragilità dei suoi ordinari cittadini.

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