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The Lost King recensione film di Stephen Frears [RomaFF17]

The Lost King recensione film di Stephen Frears con Sally Hawkins, Steve Coogan, Harry Lloyd e Mark Addy

Sé. Altro. Realtà. Costruzione. Bugia. Verità. Questi e altri sono i temi alla base di The Lost King, un film che, da queste poche parole, potrebbe sembrare una ricerca psicologica formale e complessa. Al contrario, sono elementi che compongono la ricetta quasi perfetta di una commedia britannica anomala, presentata alla 17° edizione della Festa del Cinema di Roma.

Steve Coogan in The Lost King (Credits:Lucky Red)
Sally Hawkins e Steve Coogan in The Lost King (Credits: Lucky Red)

La vicenda, singolarmente vera, ci porta sulle tracce di Riccardo III, il “re usurpatore” che ha ispirato l’omonima opera del Bardo Shakespeare, e della sua storia, falsa, travisata e storpiata dai Tudor per giustificare il totale annichilimento del suo regno (e della sua memoria). Nei secoli si è costruita attorno al re una fortezza di menzogne e screditamenti nati da parole velenose che, con il tempo, sono diventate realtà storica. Nel 2012, una donna qualunque di Edimburgo inizia ad appassionarsi alle vicende che circondano la figura di Riccardo III, fino a decidere di investire tempo e risorse nel ritrovamento della sua tomba perduta. Una tomba ipotetica, perché le fonti riportano del disfacimento dei resti del monarca tra le acque del fiume Soar.

Steve Coogan e Sally Hawkins in The Lost King (Credits: Lucky Red)
Sally Hawkins e Mark Addy in The Lost King (Credits: Lucky Red)

A mettere in scena questa vicenda insolita, che mette a sua volta in dubbio l’affidabilità di documentazioni storiche credute inattaccabili, è stato Stephen Frears, paladino degli ultimi, maestro della rivalutazione caratteriale. Quella di Philippa Langley (Sally Hawkins) non è una storia complessa, ma è quantomeno insolita. Sembra quell’avventura a caccia di reperti storici che quasi ogni bambino sogna di poter compiere da grande. Un momento della vita, non un’intera esistenza, dedicato esclusivamente alla scoperta di qualche segreto nascosto tra le pagine della Storia. Il suo è un viaggio oltre l’ordinario, il quotidiano, la ragione e il senso logico. Un’avventura altamente irrazionale, eppure sincera, pilotata da sensazioni, intuizioni, presentimenti che si dimostrano non così lontani dalla realtà. E cosa importa se ci si ritrova a parlare con l’apparizione di Riccardo (Harry Lloyd), in un mondo invaso da Riccardi, dove tutto sembra rimandare al defunto re, quando invece è spesso solo frutto di una fortuita coincidenza. L’importante è dimostrare che anche il più invisibile, il più insolito degli individui può portare a un cambiamento, per quanto piccolo che sia, come anche a provare ancora una volta che ciò che si trova scritto nero su bianco non è legge universale inoppugnabile, ma documento di un punto di vista influenzato culturalmente, socialmente, perfino storicamente.

Harry Llyod in The Lost King (Credits: Lucky Red)

E allora a chi credere? Alle alte menti di università come quella di Leicester, che prima si oppongono con forza vitalistica a qualsiasi tipo di prospettiva che si discosti anche solo minimamente dalle fonti ufficiali, per poi fare retromarcia e arrivare addirittura a rubare il merito di tali scoperte? Oppure fare affidamento alla persona qualunque, al Signore e alla Signora Nessuno che si lasciano trasportare dalla loro pancia? L’ago della bilancia non deve mai favorire l’una o l’altra parte, ma è necessario riconoscere la complessità e l’impossibilità latente di trovare risposta a ogni domanda attraverso le sole fonti scritte dalla mano dell’uomo. Ciò Frears ce lo fa capire bene, portando sullo schermo un’avventura che non è avventura, alla ricerca di una storia non storia, persa nel tempo. Non c’è esplosivo in questa narrazione raccontata sottovoce. Niente caverne nascoste o enigmi impossibili. La verità è nel reale, in ciò che ci circonda. Può trovarsi in un campo di grano come in un parcheggio privato al centro di una grande città. Il risultato finale è un film dalla personalità eclettica, che si divide tra commedia e investigazione, con anche un pizzico di quel dramma britannico che non può mai mancare. La direzione di Frears è sempre cristallina e semplice, senza azzardi visivi e orpelli fini a se stessi. Come una pièce teatrale, la scena è riempita dalle prove attoriali, giustapposte agli splendidi paesaggi urbani scozzesi e della Cornovaglia che, assieme al contrappunto musicale firmato da Alexandre Desplat, legano passato e presente in un connubio stilistico-visivo pieno di meraviglia.

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