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Furore recensione film di John Ford con Henry Fonda [Flashback Friday]

Tags: furore joad ford

Furore recensione del film di John Ford con Henry Fonda, Jane Darwell, John Carradine, Dorris Bowdon, Russell Simpson, O.Z. Whitehead, John Qualen e Eddie Quillan

Pezzi di storia da consegnare all’immortalità cinematografica. Se si volesse cercare una specifica ratio dietro all’intero opus filmico di John Ford si potrebbe partire da qui. Dall’ottimistico entusiasmo verso il mito della frontiera di Ombre rosse (1939) sino alla disillusione disinnamorata de L’uomo che uccise Liberty Valance (1962) passando per il mito di Wyatt Earp in Sfida infernale (1946) sino all’ode d’amore alla Cavalleria Nordista nell’omonima trilogia (Il massacro di Fort Apache; I cavalieri del Nord-Ovest; Rio Bravo) infatti, il maestro-western Ford ha saputo plasmare la propria effige di narratore eccezionale nel sottile confine tra realtà storica e rielaborazione cinematografica. Furore (1940), in tal senso, non fa eccezione, raccontando di povertà e coraggio della famiglia Joad nel pieno della cosiddetta Grande Depressione.

Prima ancora che opera filmica eccellente però, Furore è stato un romanzo – anzi – il grande romanzo americano a firma di John Steinbeck; premio Nobel per la letteratura nel 1962. Pubblicato il 14 aprile 1939, oltre 4 milioni di copie vendute, Premio Pulitzer 1940 per il romanzo. L’ispirazione di Furore risale all’ottobre 1936. Nello specifico ad alcuni articoli di approfondimento del San Francisco News aventi ad oggetto il flusso migratorio di centinaia di famiglie che avevano abbandonato il Midwest per raggiungere la California.

Jane Darwell in una scena di Furore

Erano i nuovi poveri. Artigiani e contadini, perlopiù bianchi e protestanti, che si videro espropriare le terre dopo che le Dust Bowl/tempeste di polvere – e la susseguente Grande Depressione – che attanagliarono l’America negli anni trenta, avevano reso i terreni incoltivabili e l’humus non più fruttifero. Sullo stile di Ernest Hemingway e William Faulkner, nacque così l’idea de The Oklahomans, titolo poi declinato in favore di The Grapes of Wrath/Furore la cui origine era ascrivibile ad un verso della prima strofa del canto popolare The Battle Hymn of the Republic (1861) di Julia Ward Howe; qui riportato:

Mine eyes have seen the glory of the coming of the Lord;
He is trampling out the vintage where the grapes of wrath are stored;
He hath loosed the fateful lightning of His terrible swift sword;
His truth is marching on.

Al momento della pubblicazione furono molti i dibattiti intorno alla veridicità di Furore. Da una parte si riconosceva a Steinback il valore della sua posizione politica e delle affermazioni espresse, dall’altra molti critici letterari puntarono il dito contro la sorte dei Joad; definita, in tal senso, non proprio in un letto di rose ma nemmeno così amara. Tale dibattito ebbe seguito anche in ambito cinematografico.

Furore: sinossi

Anni trenta americani. Nel pieno della Grande Depressione Tom Joad (Henry Fonda) è appena uscito di prigione per condono; anche se a tutti piace pensare che sia scappato di lì. Di ritorno nell’Oklahoma scopre che la terra della sua fattoria è stata espropriata dalle banche. Riabbracciatosi con Mamma/Mà (Jane Darwell) e Papà/Pà Joad (Russell Simpson); Nonno (Charley Grapewin) e Nonna Joad (Zeffie Tillbury); il fratello Al (O.Z. Whitehead); lo zio John (Frank Darien); il cugino Casy (John Carradine); nonché i fratelli e sorelle Winfield (Darryl Hickman); Noah (Frank Sully) e Ruthie Joad (Shirley Mills), per la famiglia non c’è altra scelta che partire.

A bordo di un Hudson Super Six del 1927, i Joad andranno in direzione California sulla Route 66 con la promessa illusoria di lavoro, speranza e un terreno fertile da coltivare. Purtroppo però, lungo il viaggio la fiducia dei Joad verso un avvenire prospero – e verso le Autorità – verrà lentamente a mancare nel tra sfruttamento, stenti, dolore e morte.

La famiglia Toad in una scena di Furore

Le indagini di Zanuck, le parole di stima di Steinbeck, il cappello di Tom Joad

All’indomani dell’acquisizione dei diritti di utilizzazione economica per la “modica” cifra di centomila dollari – con la promessa che Ford ne avrebbe realizzato un’opera con tutta la riverenza possibile nonostante la sua posizione politica fortemente conservatrice – Darryl F.Zanuck della 20th Century Fox inviò alcuni investigatori privati in Oklahoma per legittimare gli elementi contenuti nel racconto. Ciò che scoprirono fu terribile e ben oltre quanto raccontato da Furore. Abbastanza da ritenere le sopracitate critiche letterarie prive di alcun fondamento.

In ogni caso, sia Steinbeck che Ford, per via della posizione pro-sindacalista che trapela dalle immagini di Furore, furono oggetto d’indagine da parte degli uomini di McCarthy per presunte tendenze comuniste. Timori che entrambi avevano previsto sin dall’inizio della lavorazione che – proprio per proteggerla da eventuali interferenze politiche – aprì i battenti con il titolo provvisorio de Highway 66. Casualmente fu il titolo ufficiale del sequel che la Fox volle produrre all’indomani del successo del film, per poi restare solo su carta.

Jane Darwell ed Henry Fonda in una scena di Furore

Chi invece credette fin da subito alle vicende narrate in Furore fu Henry Fonda che, da quanto raccontano le cronache dell’epoca, supplicò Zanuck per il ruolo di Tom Joad. A detta di Steinbeck, l’ex-Giurato n°8 de La parola ai giurati (1957) seppe incarnare pienamente l’anima ribelle-ma-familiare del “suo” Tom, tanto da dire, senza mezzi termini:

Ha creduto alle mie parole.

Pensate che Fonda fu così legato a Tom Joad da tenere per sé il cappello che indossò nel film. Lo tenne per tutta la vita finché, prima di morire nel 1982, lo diede alla sua vecchia amica (e collega) Jane Withers. I due furono legati da una profonda amicizia che risale sin dalla pellicola d’esordio di Fonda: The Farmer Takes a Wife (1935). Da quanto risulta dalle testimonianze dei diretti interessati, Fonda, poco più che trentenne, era parecchio teso all’idea di recitare davanti a una telecamera. La Withers, che all’epoca di anni ne aveva nove, gli prese la mano e disse una piccola preghiera per alleviare i suoi nervi.

Furore: l’inerzia del viaggio tra Steinbeck e Ford, sogni e speranze sulla Route 66

Secondo la sociologa e storica di cinema Vivian Sobchack, la principale differenza tra il romanzo e l’opera filmica fordiana Furore sta nell’inerzia degli eventi e di come questi vengono raccontati. Laddove infatti Steinbeck pose maggiormente l’attenzione sull’uomo e sulla terra nell’insieme e di riflesso quindi alla criticità del quadro storico, Ford realizzò invece una codifica di immagini volta unicamente a porre il focus sui Joad e sulla loro unità familiare. Per stessa ammissione del regista de Cavalcarono insieme (1961) infatti:

Ero in sintonia con persone come i Joad e contribuivo dando loro un mucchio di soldi, ma non ero interessato a Furore come studio sociale.

Il che, a ripensarci, sarebbe stato anche meno rischioso. Complice anche la tipica inerzia fordiana della rielaborazione di pezzi di storia americana da consegnare all’immortalità cinematografica – nonché la portata emotivo-valoriale della Grande Depressione – declinare un’opera filmica come Furore secondo un’accezione sociale e dal conflitto scenico su larga scala sarebbe stato paradossalmente più semplice; per non dire inevitabile. Ford scelse però di mescolarne le carte interpretando Furore secondo il suo credo registico.

Henry Fonda in una scena di Furore
Il topos del viaggio fordiano in Furore

Dalla sua ebbe infatti l’impianto narrativo on-the-road. Elemento, quello del viaggio sulla Route 66, che se per Steinback non era altro che una parte della storia della famiglia Joad – depotenziato e reso funzionale in favore della ragione sociale e del quadro d’insieme –  per Ford rappresentava invece l’anima stessa della narrazione di Furore: declinazione eccellente del topos cardine del cinema fordiano.

Quella traccia narrativa, qui giustificata e cucita addosso alla coscienza del racconto Tom Joad/Henry Fonda dall’inerzia di quell’eterno vagare degno de Sentieri selvaggi (1956), con cui Ford esplicitò gli archi di trasformazione degli agenti scenici dei Joad asciugando del tutto la componente politico-sociale e della criticità storica per ricondurre il conflitto a una dimensione più intima. Nello specifico agli uomini e alla carica valoriale di cui si fanno portatori tra la ribellione ontologica (ma saldamente legata alla famiglia) di Tom e la serafica dignità benevola di Mà.

Attraverso un’impronta registica rigorosa, lucida e realistica, fatta di campi lunghi e panoramiche a perdita d’occhio di dolore tangibile, trucco bandito dal set e scene il più possibile da “buona la prima!“, Ford realizzò un prodigioso quadro storico più che sulla Grande Depressione in sé, sugli effetti negli uomini e nelle famiglie. Un documento cinematografico inestimabile e dall’eco impareggiabile sull’indomita speranza di poter vivere – ad ogni costo – il sogno americano.

L’invidiabile retaggio ottantennale tra Oscar sfumati e canzoni popolari

Tra le primissime opere filmiche ad essere stata registrata dalla National Film Registry del Congresso nel 1989. Furore fu un importante crocevia nella storia degli Academy Awards. Vincitore di ben 2 Oscar 1941 (Miglior regia, Miglior attrice non protagonista) a fronte di 7 nomination, in realtà sarebbero potute essere molte di più. Il Miglior film, dato quasi per scontato, sfumò dinanzi a Rebecca – La prima moglie (1940) di Alfred Hitchcock; lo stesso dicasi per la categoria Miglior attore protagonista.

Fonda era già dato per vincitore nonostante avversari di livello come Charlie Chaplin con Il grande dittatore (1940) e Laurence Olivier per la sopracitata opera hitchcockiana. A spuntarla però fu James Stewart – che in teoria avrebbe dovuto dividere la scena con lui in Furore come Al – per la sua performance in Scandalo a Filadelfia (1940). Vittoria su cui, in tal senso, si fece molta dietrologia all’epoca e nelle decadi successive. A detta di critici e studiosi fu da intendersi come un risarcimento per Stewart e l’Oscar mancato per Mr.Smith vola a Washington (1939) dell’anno prima.

Soltanto quarantuno anni dopo Fonda riuscirà a mettere le mani sull’agognata statuetta. Nello specifico grazie a Sul lago dorato (1981) e al simbiotico rapporto padre-figlia dentro/fuori lo schermo con Jane. In compenso, forte anche del precedente letterario, Fonda ebbe il merito di consegnare Tom Joad ad un’immortalità artistica capace di superare i labili confini dei medium. Trovando infine nuova vita tra The Ballad of Tom Joad (1940) di un Woody Guthrie consulente musicale dell’opera filmica di Ford, e il concept-album The Ghost of Tom Joad (1995) di Bruce Springsteen a cinquantacinque anni di distanza: un working-class hero per tutte le stagioni.

La locandina di Furore

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