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Toro scatenato recensione film Martin Scorsese con Robert De Niro e Joe Pesci [Flashback Friday]

Toro scatenato recensione del film di Martin Scorsese con Robert De Niro, Joe Pesci, Cathy Moriarty, Frank Vincent e Nicholas Colasanto

La seconda decade degli anni settanta ha rappresentato uno snodo cruciale nella carriera – e nella vita – di Martin Scorsese. Il successo con Taxi Driver (1976), poi il mantenere le aspettative; a quel punto altissime. Nel biennio successivo, Scorsese esplorerà l’ecletticità del suo talento artistico, cimentandosi in New York, New York (1977), musical ambizioso degno di Bob Fosse che vede Robert De Niro in coppia con Liza Minnelli, e in L’ultimo valzer (1978), sul canto del cigno dei The Band.
Successi mancati, specie il primo, che vide il giudizio unanime di critica e pubblico come non soddisfacente. È il declino per Scorsese che sprofonderà in una grave forma di depressione culminante, nel settembre 1978, in un’emorragia interna per abuso di droghe, stupefacenti e psicofarmaci. Terreno fertile per Toro scatenato (1980), epica tragica di Jake LaMotta che ben si prestò al male di vivere scorsesiano che trova qui catarsi e ristoro dell’anima.

Dopo una lunga convalescenza infatti, il cineasta de L’età dell’innocenza (1993) decise di rimettersi in gioco, spronato dall’amico/attore feticcio, Robert De Niro. L’uomo che darà volto e forma al LaMotta di Scorsese, aveva scoperto il libro di memorie del pugile (Raging Bull: My Story), spingendo per avere la parte e che fosse proprio Scorsese a dirigerlo.

Martin Scorsese e Robert De Niro sul set di Toro Scatenato

Si parte da qui quindi, dal primissimo draft di sceneggiatura redatto da Mardik Martin – già collaboratore di Scorsese tra Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno (1973) – dalla ratio filmica non dissimile da Rashomon (1950), facente quindi uso della verità soggettiva, poi rimaneggiato e reso “definitivo” da Paul Schrader in forma più lineare e scorrevole. La pellicola rappresenta soprattutto l’inizio della coppia dentro e fuori lo schermo De Niro-Pesci. Sodalizio che si ripeterà tra C’era una volta in America (1984); Quei bravi ragazzi (1990); Bronx (1993); Casinò (1995); The Irishman (2019).

Quasi trent’anni dopo, la MGM, riappropriatasi dei diritti di utilizzazione cinematografica, annunciò il sequel ufficiale tratto dal secondo romanzo di memorie dell’ex pugile (Raging Bull II: Continuing the Story of Jake LaMotta) dal titolo Toro scatenato 2. La cosa scatenò una querelle legale che vide il sequel depotenziato come apocrifo e denominato The Bronx Bull (2012); slegato così del tutto dall’opera di Scorsese.

Nel cast figurano Robert De Niro, Joe Pesci, Cathy Moriarty, Frank Vincent e Nicholas Colasanto; Theresa Saldana, Mario Gallo, Frank Adonis, Lori Anne Flax e Johnny Barnes.

Toro scatenato: sinossi

In età avanzata e fuori forma, l’ex pugile Jake LaMotta (Robert De Niro) prepara uno dei suoi consueti spettacoli comici in un locale newyorchese. Racconta così del suo passato, di ciò che ha rappresentato per l’epoca pugilistica. LaMotta è stato infatti un tenace combattente del Bronx dal soprannome, per l’appunto, Toro scatenato. Con il fratello minore Joey (Joe Pesci) – suo manager – salì i gradini del mondo del pugilato sino a diventare il campione del mondo dei pesi medi; battendo Sugar Ray Robinson (Johnny Barnes). Un’impresa non da poco ma non senza sacrifici.

Robert De Niro in una scena di Toro Scatenato

LaMotta infatti non volle mai la protezione di alcuni influenti malavitosi del quartiere tra cui Tommy Como (Nicholas Colasanto) e Salvy (Frank Vincent). Nel frattempo, complice il secondo matrimonio con Vicki (Cathy Moriarty), caduto a colpi di paranoia, gelosia, violenza e insofferenza, l’equilibrio di LaMotta si disfa del tutto; già precario per i problemi di peso e l’esigenza di doversi “vendere”. Inizia così una lunga discesa che lo vede sconfitto su tutta la linea: perdere la forma fisica tra pastasciutta e costolette; abdicare al trono di campione in favore di Robinson; infine vedendo dissolversi i legami familiari e la dignità umana.

La ratio filmica alla base del bianco e nero, la trasformazione fisica di Robert De Niro

Distribuito da una United Artists all’epoca fin troppo distratta dalle bizze di Michael Cimino sul set de I cancelli del cielo (1980), i produttori esecutivi erano molto esitanti sul finanziarne la realizzazione. Temevano infatti che Toro scatenato sarebbe stato stroncato dai critici – e poco premiato dal pubblico – per l’eccessiva violenza. Scorsese e De Niro procedettero così a rimaneggiare alcune scene, così da svicolare la censura e “farla franca”.

Grande merito ebbe anche la scelta di girarlo in bianco e nero che finì con l’attenuare i fiumi di sangue e l’insita violenza visiva. Scorsese e il direttore della fotografia Michael Chapman optarono così per un delicatissimo monocroma, anche per differenziarlo per costruzione d’immagine e stile da Rocky (1976); tra i film evento di quella decade.

Le gambe insanguinate di Toro scatenato

Girato in due parti, la produzione doveva riuscire a trovare il modo di mantener fede all’evoluzione fisica di De Niro senza inficiare sul realismo del racconto. Nella prima parte, si lavorò sul LaMotta invecchiato e in declino fisico (oltre che psicologico). Nella seconda invece sui combattimenti e la costruzione del suo passato pugilistico. Per la trasformazione fisica, De Niro lavorò sotto la supervisione di Franco Columbu. Il suo peso aumentò di trenta chili, per poi dimagrire, infine ricostruito muscolarmente così da sembrare un pugile fatto e finito. Metamorfosi clamorosa di pura recitazione “da metodo” che creò non pochi problemi fisici all’attore che trovava difficoltà a muoversi con quell’enorme massa grassa.

“L’ultimo film” di Martin Scorsese

Regista e attore principale sentivano molto il progetto, e speravano in un suo successo al botteghino. Per Scorsese, convinto che Toro scatenato sarebbe stato il suo ultimo film, ha rappresentato la rinascita umana ed artistica dopo il tunnel delle dipendenze. All’epoca il cineasta newyorchese, oltre a quanto raccontato precedentemente, combatteva con una grave forma d’asma, che spinse il padre Charles, a dirigere alcune scene al posto del figlio.

Robert De Niro in una scena di Toro Scatenato

Sentendo il peso del suo, potenziale, ultimo valzer registico, Scorsese compii una meticolosa post-produzione, lavorando soprattutto di notte, nel suo appartamento. Assieme a Thelma Schoonmaker impiegò un tempo inusuale anche soltanto per la codifica immagine-suono della colonna sonora di Pietro Mascagni. Doveva essere perfetto Toro scatenato. Un testamento spirituale in chiusura di una carriera breve ma intensa così come riscontrabile in quelle prime parole pronunciate da LaMotta nel monologo d’apertura:

Me li ricordo ancora gli applausi. Me li sento ancora nelle orecchie, e me li porterò dietro per tutta la vita…

Fortunatamente la storia ha deciso diversamente per il regista di Fuori orario (1985), dando il via a una decade produttiva stimolante per il suo ingegno tra Re per una notte (1982) e L’ultima tentazione di Cristo (1988).

Toro scatenato: l’anti-Rocky di Martin Scorsese

Differenziarsi da Rocky, a tutti i costi. A livello artistico e produttivo creare un clone della “sceneggiatura perfetta” di Sylvester Stallone sarebbe stato un suicidio artistico. Uno dei modi con cui Scorsese si distinse dall’epica di Rocky Balboa fu proprio nella gestione del ring e dei suoi movimenti; introducendovi un forte elemento di innovazione narrativa ed estetica. A differenza di tutte le pellicole di genere che mostrano l’incontro di boxe come se fosse trasmesso dalla televisione, per Toro scatenato si optò per qualcosa di diverso.

Regia fluida e dinamica sin dal primo momento in cui vediamo il corpo lucido e “risplendente” del LaMotta di De Niro sul ring: campo lungo, poi velocissima zoomata in avanti. Il sapiente lavoro di montaggio della Schoonmaker fa il resto conferendo un ritmo netto ad ogni colpo rozzo e crudo sferrato. Percepire la forza dei pugili, il dolore inferto, l’odore del sudore e del sangue.

Johnny Barnes in una scena di Toro scatenato

Anche per via della tipologia di narrazione, ogni incontro di Toro scatenato viene avvolto di una sempre diversa carica valoriale. E se è vero che il duello in apertura di racconto vede una vittoria “del pubblico” ma non ai punti che sembra fare il verso proprio alla climax di Rocky, di volta in volta ogni incontro va a marcare lo stato psichico del suo ribelle protagonista; quasi ad esplicitare scenicamente l’evoluzione dell’arco di trasformazione di LaMotta.

Cambia quindi l’inerzia rispetto alla narrazione “perfetta” di Stallone. Se Rocky raccontava del più puro e capriano sogno americano, scritto, copiato e riletto in tutte le salse, Toro scatenato racconta di un ipotetico “incubo americano”: ciò che accade quando la fiamma della gloria si spegne e i demoni interiori decidono che è finita. Non c’è happy ending in Toro scatenato, e nessuna Adriana a cui dare amore, perché Jake LaMotta non ha mai fatto nulla per essere come Rocky Balboa.

Il corpo segnato di Jake LaMotta, la climax che rievoca Fronte del porto

L’ulteriore elemento di distinzione sta nella precisa scelta stilistica della digressione temporale a ritroso. Scelta che unita al bianco e nero conferisce a Toro scatenato un sapore crepuscolare-nostalgico di tempi andati e perduti. Connotazione arricchita di senso soprattutto dalla trasformazione di puro decadimento fisico di De Niro. Presenza scenica magnificente e gigantesca il cui addome strabordante ingloba l’immagine; facendo propria apertura e chiusura di racconto di Toro scatenato.

Momenti scenici invasi dal talento magnetico di un De Niro in stato di grazia, qui declinato in due monologhi leggendari tra Laurence Olivier e un parallelismo formidabile con il gemello artistico Fronte del porto (1954); strumentale a rendere tangibile l’inerzia della crisi esistenziale di LaMotta con il fratello (il Joey di un preziosissimo Joe Pesci).

Robert De Niro in una scena di Toro scatenato

Gioca molto Scorsese con i segni dell’evoluzione sul corpo di LaMotta, facendogli pagare ogni errore commesso, ogni atto violento verso la moglie Vicky della Moriarty e il Joey di Pesci. Rapporti di loro critici, nati nel caos, distrutti a suon di ceffoni e rappresaglie, sino alla commozione e rassegnazione, come nel caso del ritrovarsi dei i fratelli LaMotta: un abbraccio spezzato che sa d’addio e fredda calorosità. Facendogli infine pagare il conto in gattabuia a suon di pugni e testate contro il muro; implorando Dio per una dignità da campione ormai calpestata e demolita a martellate.

“Jake il Toro si scatena, perché oltre al pugilato sono un attore raffinato. Questo è spettacolo”

Agli Oscar 1981, Toro scatenato dovette vedersela con candidati eccellenti del calibro di Gente comune e The Elephant Man (1980). Candidato a 8 Oscar tra cui Miglior film e Miglior fotografia (ma non Miglior sceneggiatura non originale), ne portò a casa due dei più preziosi: Miglior montaggio (Thelma Schoonmaker); Miglior attore protagonista (Robert De Niro).

Due prime volte quindi. Per la Schoonmaker fu il primo pionieristico Oscar dei tre vinti – tutti con Scorsese peraltro tra The Aviator (2004) e The Departed (2006) – per De Niro il primo (e attualmente unico) da attore protagonista. Premio quest’ultimo che va un po’ a riequilibrare il mancato Oscar di Taxi Driver, che dalla sua si ritrovò davanti il compianto Peter Finch nello strepitoso e lungimirante Quinto potere (1976). Citato diciassette anni più tardi da Boogie Nights – L’altra Hollywood (1997), da ipotetico punto conclusivo della carriera quindi, Toro scatenato diventò – come detto – il simbolo della rinascita artistica e umana di Martin Scorsese, ennesima conferma, come se ce ne fosse mai stato bisogno, del suo talento istrionico ed eclettico: puro spettacolo cinematografico.

La locandina di Toro scatenato

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