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Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta recensione film di Steven Spielberg con Harrison Ford

Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta recensione del film diretto da Steven Spielberg e scritto da George Lucas con Harrison Ford, Karen Allen, Denholm Elliott, Paul Freeman e John Rhys-Davies

L’alaskan malamute di George Lucas e il serial televisivo Buck Rogers (1939). Parte da qui la genesi di una delle più grandi opere filmiche degli anni ottanta. Quel Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta (1981) che consacrò la stella di Harrison Ford segnando al contempo l’ascesa di Steven Spielberg; autore formidabile che lungo tutta quella decade, tra regia e produzione, metterà la firma sulla larga parte di quelle opere ben impresse nell’immaginario collettivo.

Nei piani originali però, sarebbe dovuto essere uno fra Philip Kaufman o lo stesso Lucas a dirigerlo – oltre che scriverlo. Nel 1973 infatti, poco dopo la fine della lavorazione di American Graffiti, Lucas si chiese come mai nessuno avesse mai realizzato adattamenti filmici di opere come il sopracitato Buck Rogers, o Spy Smashers (1942).

Harrison Ford e l’omaggio Star Wars in Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta

Senza pensarci troppo, butto giù un soggetto adatto a un b-movie dal titolo: The Adventures of Indiana Smith. L’opera avrebbe riguardato un avventuroso archeologo caratterizzato sulla falsariga di Hiram Bingham III e Roy Chapman Andrews, chiamato così in onore del suo cane, un alaskan malamute.

Ne discusse così con il regista de Uomini veri (1983) e in appena due settimane, nel 1975, buttarono giù la sceneggiatura di Indiana Smith. Nello stesso frangente però, Kaufman dovette rinunciare alla regia a causa della sceneggiatura de Il texano dagli occhi di ghiaccio (1976); Lucas invece stava limando gli ultimi dettagli per la sua space opera: Star Wars Episodio IV: Una nuova speranza (1977).

Steven Spielberg, il “suo” James Bond e Nevada Smith

Prima di risentir parlare di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta passeranno un paio d’anni, precisamente nel maggio 1977: weekend d’apertura del primo capitolo (quarto Episodio) di Star Wars. Lucas, preoccupato per i risultati al botteghino, invitò Spielberg e sua moglie nella sua casa alle Hawaii. Qui, il regista de Lo squalo (1975), raccontò quanto desiderasse dirigere un film della saga di James Bond. In tutta risposta, Lucas gli raccontò di Indiana Smith proponendogli infine di dirigerlo; nonostante il rimpianto di non poter vedere Kaufman in cabina di regia. Spielberg accettò senza pensarci due volte, dando finalmente il là al progetto tanto sognato.

George Lucas e Steven Spielberg sul set di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta

Pronti-via! Spielberg assunse un altro sceneggiatore di fiducia, al fine di affinare lo script secondo le sue esigenze. Il nome scelto corrispondeva a Lawrence Kasdan che, nel 1980, firmerà la sceneggiatura di Star Wars Episodio V: L’impero colpisce ancora completando lo script della compianta Leigh Brackett. Le modifiche di Kasdan allo script di Lucas e Kaufman spinsero maggiormente il racconto verso un tono più maturo, traendo ispirazione da opere come Il fiume rosso (1948), I sette samurai (1954) e I magnifici sette (1960).

Da Indiana Smith, il nome dell’eroe protagonista passò in via ufficiale a Indiana Jones. Scelta dettata per evitare l’altrimenti inevitabile assonanza con Nevada Smith (1966) di Henry Hathaway. La curiosità certamente più insolita riguardo a Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta è attribuibile però alla genesi dell’oggetto di valore narrativo. L’arca dell’alleanza fu infatti indirettamente suggerita a Lucas dal suo dentista di gioventù; affascinando così il futuro regista visionario tra una carie e un ponte mobile.

Nel cast figurano Harrison Ford, Karen Allen, Denholm Elliott, Paul Freeman e John Rhys-Davies; e ancora Ronald Lacey, Alfred Molina, Anthony Higgins, Wolf Kahler, Vic Tablian e Don Fellows.

Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta: sinossi

Nella giungla peruviana l’archeologo avventuriero Indiana Jones (Harrison Ford) è sulle tracce di un idolo dorato. Per ritrovarlo assolda Satipo (Alfred Molina), una guida autoctona che conosce bene le insidie. Superati ostacoli altrimenti insormontabili, nonché il tradimento della stessa guida, Indy si ritrova circondato dai pericolosi indios Hovitos; ingaggiati da un archeologo rivale, René Belloq (Paul Freeman), per poter mettere le mani sul prezioso manufatto.

Ritornato alla civiltà, Indiana è un professore d’archeologia all’Università di Princeton, il cui vero nome è: Henry Jones Jr. Conclusasi una lezione, Jones e il collega Marcus Brody (Denholm Elliott) ricevono la visita della CIA. I due agenti dell’Intelligence chiedono aiuto al Professor Jones per il ritrovamento della mitologica Arca dell’Alleanza. Il manufatto, rischia infatti di cadere nelle mani dei Nazisti capeggiati dal Gestapo Arnold Ernst Toht (Ronald Lacey) e dal Colonnello Dietrich (Wolf Kahler).

Harrison Ford nell’incipit di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta

Giunto in Egitto, Jones incrocerà le strade con l’avventuriera Marion Ravenwood (Karen Allen), l’amico Sallah (John Rhys-Davies) e nuovamente con il rivale Belloq sul fronte opposto; dando il via a un viaggio indimenticabile tra magia e superstizione.

Un rifiuto che sa di rinuncia: Tom Selleck come Indiana Jones

Oggi sembra quasi impossibile immaginare un volto diverso da Harrison Ford come Indiana Jones, eppure, all’epoca, Lucas non lo prese mai realmente in considerazione. Temeva infatti che dopo American Graffiti, Una nuova speranza e L’impero colpisce ancora si potesse considerare Lucas-Ford un binomio al pari di Scorsese-De Niro. Vennero quindi provinati moltissimi volti noti tra cui citiamo: Nick Nolte, Bill Murray, Tim Matheson, Steve Martin, Jack Nicholson e perfino Jeff Bridges.

A spuntarla fu però Tom Selleck, che dopo uno screen-test convincentissimo in coppia con Sean Young era ritenuto il volto perfetto per Indy con quel suo mix di charme e tenacia. L’iconico Thomas Magnum, tuttavia, si ritrovò costretto rifiutare la parte a causa del suo contratto di ferro che lo legava alla CBS per Magnum, P.I. (1980-1988).

Tom Selleck e Magnum P.I. – la rinuncia a Indiana Jones

Ironicamente però Selleck avrebbe potuto benissimo interpretare Indiana Jones e al contempo rispettare gli accordi con la CBS; nel 1980 infatti, gli attori televisivi indissero uno sciopero della durata di tre mesi: esattamente la durata delle riprese di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta. Al suo posto, su indicazione di Spielberg – e per buona pace di Lucas – venne scritturato Ford senza nemmeno un provino. Il motivo è presto detto. Il cineasta di Schindler’s List (1993) rimase totalmente affascinato dal “suo” Han Solo in L’impero colpisce ancora al punto che, complice i ristretti tempi produttivi, un provino sarebbe stato del tutto superfluo.

Debra Winger, lo sputo di Karen Allen, Giancarlo Giannini e Klaus Kinski

Riguardo il ruolo di Marion Ravenwood invece, sin dal soggetto Lucas la immaginò con le fattezze di Debra Winger, salvo netto rifiuto della protagonista di Voglia di tenerezza (1983). Spielberg spinse invece per Amy Irving, sua fidanzata dell’epoca. Considerate per la parte anche la sopracitata Young e Barbara Hershey, a spuntarla fu infine Karen Allen. L’interprete di Starman (1984) sviluppò da sé il background caratteriale-romantico della sua Marion ricondotto al trascorso con Indy; sorprendendo infine tutti alla domanda di Spielberg: “Quanto bene sai sputare?“.

Per Belloq invece, Spielberg e Lucas avrebbero voluto scritturare uno tra Giancarlo Giannini e Jacques Dutronc. Nessuno dei due, tuttavia, sapeva parlare fluentemente inglese; ripiegarono così su Paul Freeman, che riuscì a dare al suo personaggio un fare molto aristocratico e una spiccata accezione “anti-eroica”. L’ultima chicca riguarda infine il personaggio di Toht, l’ufficiale Nazista; ruolo poi andato a Ronald Lacey, il cui magnetismo ricordava a Spielberg, il compianto Peter Lorre. La primissima scelta rispose al nome di Klaus Kinski il quale rifiutò in favore di Venom (1981) perché, a detta sua e del suo agente, la paga era migliore.

Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta: un incipit leggendario

Pipistrelli e sacchetti di sabbia; una grotta buia irta di pericoli e tranelli; torce fioche; urla spezzate; ragni sulla schiena; cadaveri in putrefazione; palle di pietra giganti e idoli dorati. È suggestiva l’apertura di racconto di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta. Un autentico “film nel film” dotato di una struttura narrativo-drammaturgica totalizzante tra primo, secondo e terzo atto di enorme rilevanza nell’economia del racconto. Permette infatti a Spielberg, in soli dieci minuti o poco meno, di costruire un contesto scenico dalla fortissima capacità immersiva con cui determinare il tono narrativo: un marcato action movie di chiaro stampo realistico.

È infatti un ambiente vivo quello costruito dal regista de Jurassic Park (1993). Tangibile, di cui puoi sentire l’odore di morte degli spuntoni che trafiggono Satipo e la tensione palpabile al momento dello scambio dell’idolo; forse la scena più iconica del racconto di Spielberg per costruzione registica e impatto. Tutti elementi che mantengono fede alla nomea del suo autore di “regista veloce”. Dieci minuti per costruire un immaginario collettivo a suon di frusta e rivoltella, reso grande da un montaggio netto, veloce, incisivo, che sa però preservare il respiro scenico.

Harrison Ford in una scena di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta

Il formidabile incipit, oltre che per contesto e tono narrativo, è funzionale per gettare le basi drammaturgiche del racconto e della caratterizzazione di Indiana. In tal senso infatti, Spielberg cura ogni minimo dettaglio, costruendo attorno al “suo” Bond, un ingresso scenico da manuale del cinema. Il regista non ce lo mostra nell’immediato, lo avvolge infatti nelle ombre e in una regia “sfuggente” tra dettagli della mano; particolari della frusta; campi lunghi che danno risalto a una profondità di campo ricca di elementi.

Costruire il personaggio tra attese e duplicità 

È come se Spielberg, in qualche modo, avesse voluto costruire della suspense attorno al volto scenico di Ford, mostrandocelo infine soltanto dopo tre minuti e in modo formidabile. Indiana dà un colpo di frusta per disarmare il nemico; tre passi in avanti; piano medio che diventa primo, soddisfacendo così la curiosità dello spettatore, ponendo infine l’accento sulla connotazione eroica del racconto. Non è però perfetto Indiana. Nel delinearne i contorni caratteriali, Spielberg aggiunge una piccola debolezza: serpenti. Una nota di colore essenziale così da disegnare una caratterizzazione compiuta fatta di vizi, virtù, fobie e ingenuità di Indiana Jones.

Harrison Ford e Karen Allen in una scena di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta

Nell’accettare il ruolo offertogli, Harrison Ford disse sempre come considerasse Indiana Jones, prima che un avventuriero, un accademico. Non sorprende quindi, nella sequenza successiva, si ponga l’accento proprio sull’Indy in abiti civili. Il professore Henry Jones dell’Università di Princeton è infatti risoluto e di buon cuore; affascinante in modo naturale con le studentesse; in grado di suscitare l’interesse negli studenti. Spielberg delinea così una caratterizzazione che è duplicità di due dimensioni caratteriali quasi dicotomiche ma compenetranti; trovandovi infine collisione nella “chiamata dell’eroe” che dà il via all’impresa leggendaria alla base della narrazione.

La visione di Spielberg: rileggere i topos e l’inerzia dell’eroe

Per parlare della caratteristica narrazione de Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta, partiamo dalla quarta puntata della settima stagione di The Big Bang Theory (2007-2019): La minimizzazione manipolatoria. Nel corso dell’episodio, i personaggi di Sheldon Cooper (Jim Parsons) ed Amy Farrah Fowler (Mayim Bialik) discutono della valenza narrativa del ruolo di Indy all’interno del racconto. A detta di Amy infatti:

Indiana Jones non ricopre alcun ruolo decisivo nella storia. Se lui non fosse nel film, il film sarebbe esattamente lo stesso. […] I nazisti avrebbero lo stesso trovato l’Arca e una volta sull’isola l’avrebbero aperta per morire; proprio come hanno fatto.

Nonostante tutto, la riflessione affidata da Chuck Lorre all’agente scenico della Bialik racchiude in sé alcune delle più lucide parole espresse su Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta. L’opera di Spielberg infatti, vive di una visione atipica e insolita volta a sovvertire i topos del genere avventuroso tra duelli risolti frettolosamente e una caccia al tesoro nel bazar egiziano che è puro gioco d’intenzioni (e suggestioni) sceniche.

Harrison Ford in una scena di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta

Pur ponendo al centro del conflitto un agente scenico competente ed eroico, avvolgendolo a un viaggio dell’eroe classico nel suo sviluppo armonico, il cineasta di The Post (2017) ne sovverte gli intenti nelle dinamiche e nell’inerzia della stessa. Di fatto Indiana Jones è un agente scenico passivo dinanzi alla minaccia nazista e alle sue macchinazioni; caratterizzata quest’ultima di ineguagliabile ferocia e da villain malvagi fino all’osso. Le azioni di Indy riescono si a contrastarne la portata in modo efficace, in una crescita della posta in gioco progressiva e dalle difficoltà critiche, ma sempre standovi un passo indietro.

Intenti narrativamente rivoluzionari che trovano rimandi, ora nell’episodio “dell’asta” – autentico cortocircuito narrativo del racconto – ora nella suggestiva climax. Espediente quest’ultimo, con cui Spielberg sublima del tutto la componente magica in una sequenza da contrappasso dantesco. Tra occhi chiusi e visi sciolti dal corposo tono orrorifico, Spielberg dispiega una risoluzione del conflitto scenico dal sapore paranormale, con cui arricchire di senso l’oggetto di valore “Arca dell’Alleanza” e spazzar via la minaccia nazista.

Noi siamo di passaggio nella storia, questa è la storia

La fase di post-produzione di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta si tenne agli Elstree Studios. Qui, leggenda narra che Spielberg ebbe modo di conoscere Stanley Kubrick, impegnato nella lavorazione di Shining (1980). La coincidenza tra le produzioni diede il là ad un’amicizia ventennale fatta di corrispondenza e collaborazioni, di intuizioni e ispirazioni. All’indomani della morte di Kubrick, ad esempio, fu Spielberg a completare il montaggio di Eyes Wide Shut (1999) e a portare alla luce A.I. – Intelligenza Artificiale (2001); ricordandolo infine nella sequenza-madre di Ready Player One (2018), dagli intenti più vicini al remake che non al semplice omaggio.

Un piccolo-grande aneddoto a corollario di una delle più grandi produzioni filmiche degli anni ottanta. Vincitore di 4 Oscar 1982 (Miglior scenografia, Miglior sonoro, Miglior montaggio, Migliori effetti speciali); primo capitolo della leggendaria quadrilogia proseguita poi con Il tempio maledetto (1984), L’ultima crociata (1989) e Il regno del teschio di cristallo (2008); Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta è riuscito ad entrare nell’immaginario collettivo a colpi di frusta, umorismo appena accennato e sequenze action dal tangibile realismo. Il resto è tutto frutto della Raiders March di John Williams, del carisma di Ford e delle fattezze del suo avventuriero: l’unico e iconico eroe postmoderno del cinema americano.

La locandina di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta

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