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Quella sporca dozzina recensione film di Robert Aldrich con Lee Marvin e John Cassavetes

Quella sporca dozzina recensione del film di Robert Aldrich con Lee Marvin, Ernest Borgnine, John Cassavetes, Charles Bronson, Telly Savalas e Donald Sutherland

Agli albori della New Hollywood, il cinema moderno americano riuscì a reinventarsi tra sperimentazioni narrative e nuove chiavi di lettura. È infatti il periodo di opere come Hollywood party (1968), Bob & Carol & Ted & Alice e Fiore di cactus (1969); gioielli filmici che seppero cavalcare lo spirito rivoluzionario e ribelle della decade. Qualcosa che fece eco perfino nel cinema bellico, consolidandone la carica antimilitarista ben cementificata tra Il ponte sul fiume Kwai e Orizzonti di gloria (1957).
Lo scoppio della Guerra del Vietnam infatti non lasciò impreparata Hollywood. Il cinema seppe coglierne l’essenza tra l’atto d’accusa comicamente dissacrante de Il dottor Stranamore (1964); quello brillante di MASH (1970); e negli strascichi psicologici sugli uomini tra Il cacciatore (1978) e Apocalypse Now (1979).
Ancor prima però Quella sporca dozzina (1967) di Robert Aldrich seppe cogliere appieno l’anima antimilitarista, avvolgendola in una narrazione in bilico tra tradizione ed innovazione del genere.

Poster promozionale de Quella sporca dozzina

È forse il capolavoro del regista statunitense. Uno che in carriera ha dipinto indimenticabili pagine di cinema tra Che fine ha fatto Baby Jane? (1962) e Piano….piano, dolce Carlotta (1964), regalando il canto del cigno a Bette Davis. Ma soprattutto, Aldrich riuscì a cavalcare la transizione tra cinema classico, moderno e corrente new hollywoodiana declinandola in opere come Il volo della Fenice (1965), Nessuna pietà per Ulzana (1972); non ultimo l’intramontabile cult-movie de Quella sporca ultima meta (1974).

Nel cast figurano Lee Marvin, Ernest Borgnine, Charles Bronson, Jim Brown, John Cassavetes, Donald Sutherland; e ancora Telly Savalas, George Kennedy, Robert Ryan, Richard Jaeckel, Trini Lopez, Clint Walker e Robert Webber.

Quella sporca dozzina: sinossi

1944. Alla vigilia dello sbarco in Normandia, il Generale di divisione Worden (Ernest Borgnine) convoca il Maggiore John Reisman (Lee Marvin). L’obiettivo è di affidargli un “incarico punitivo” vista la continua insofferenza alle pratiche militaresche. Il Progetto Amnistia presentatogli, prevede infatti l’utilizzo di dodici galeotti “di lungo corso” per compiere una missione suicida: assaltare un castello francese utilizzato come centro di recupero dai Nazisti e neutralizzare il nemico; chi riuscirà a venirne a capo otterrà in cambio la commutazione della pena.

A disposizione di Reisman ecco la crème de la crème delle carceri americane tra cui spiccano: Wladislaw (Charles Bronson), duro ed imperturbabile; Franko (John Cassavetes), schizofrenico e ontologicamente ribelle; Maggott (Telly Savalas), fanatico religioso al limite della psicopatia; Pinkley (Donald Sutherland), introverso con picchi di follia pura; Jefferson (Jim Brown), lì per caso e solo per il colore della pelle; infine Posey (Clint Walker), gigante buono di pura forza bruta, incontrollabile. Assemblati per dispetto, lo sgangherato plotone farà ricredere tutti, dimostrando di vender cara la pelle e realizzando una missione (quasi) impossibile.

Lee Marvin in una scena de Quella sporca dozzina

Il ritiro di Jim Brown, Lee Marvin e le sue sbronze, il trampolino di lancio di Sutherland

La lavorazione di Quella sporca dozzina rientra negli annali per una serie di eventi “oltre lo schermo”. Aldrich dovette fronteggiare una serie di intemperie di non poco conto. Tanto per cominciare infatti, Jim Brown ha rischiato seriamente di dover rinunciare alla parte a causa della sua carriera nel football. Per chi non ne fosse a conoscenza, Brown è stato uno dei più grandi running back della storia del football. Stella assoluta dei Cleveland Browns in cui ha militato dal 1957 al 1965; a soli 29 anni Brown scelse di appendere il casco al chiodo dopo 118 partite e 106 touchdown.

Scelta certamente discutibile, dettata proprio da Quella sporca dozzina; sembrerebbe infatti che l’NFL – a ridosso dell’inizio della stagione 1965/1966 – avesse minacciato Brown di sospensione se non avesse lasciato il set di Aldrich. In tutta risposta, il giorno successivo, Brown indette una conferenza stampa in cui annunciò il ritiro con effetto immediato dai prati verdi.

Donald Sutherland e Robert Ryan nella “scena MASH” de Quella sporca dozzina

Altra curiosità di non poco conto. Chiunque conosca un po’ di storia del cinema sa come l’alcolismo segnò indelebilmente la stella cadente di Lee Marvin. Durante la lavorazione di Quella sporca dozzina, che per inciso Marvin bollò qualche anno dopo come spazzatura e “poco realistico” pur divertendosi sul set, creò notevoli grattacapi. Uno dei più celebri episodi riguarda una scena che avrebbe dovuto girare con Bronson. Marvin sarebbe stato alla guida di un camion con l’interprete de Il giustiziere della notte (1974) armato di shotgun a fianco.

Al momento di preparare la scena però, Marvin risultò disperso. Aldrich non si perse d’animo e per rientrare nei tempi scelse di girarla comunque con Marvinoff-screen“. Ore dopo i membri della produzione lo ritrovarono in un pub a Belgravia, ubriaco marcio dalla notte precedente. Un altro episodio riguarda invece delle avances spintissime verso una signora che si scoprì essere la zia di Sean Connery. Quando l’iconico volto di James Bond lo seppe intervenne di gran carriera, salvo poi farsi due risate con lo stesso Marvin.

Quella sporca dozzina fu soprattutto la rampa di lancio per Donald Sutherland, e nel modo più inaspettato possibile. La scena in cui il plotone si prende gioco del Colonnello Breed di Ryan, fu in realtà concepita per il Posey di Clint Walker. Tuttavia l’iconico gigante della serie Cheyenne (1956) non la sentiva “sua”; Aldrich la rigirò allora con il Vernon di Sutherland. La scena fu un tale successo che si dice che Altman ne fu così colpito dal sceglierlo come interprete del sopracitato MASH.

L’incipit de Quella sporca dozzina: l’antimilitarismo dell’opera di Robert Aldrich

Il tono del racconto de Quella sporca dozzina lo si evince in modo immediato dalla sequenza d’apertura. Un giovane dal volto pulito; una costruzione d’immagine da manuale; quel “non volevo, sono pentito, lo so che ho sbagliato” avvolto tra le lacrime. Dell’intera sequenza salta all’occhio come non ci venga dato alcun rimando sullo specifico tipo di delitto se non la parola: “omicidio”.

Giustizia spietata, una netta opposizione dettata dal linguaggio del corpo del Reisman di Marvin. Mediante una sequenza di rara e limpida brutalità, in appena due minuti, Aldrich costruisce la forte anima antimilitarista del racconto. Dispiegando così una mordace critica di chiaro stampo sociale nei confronti del sistema carcerario americano e dell’incapacità di riabilitare i detenuti. La sequenza infatti permette al regista de Sodoma e Gomorra (1962) di dare la spinta propulsiva al racconto, giustificando narrativamente la ratio del corpus centrale che avvolgerà Quella sporca dozzina tra primo e secondo atto: il Progetto Amnistia.

La costruzione d’immagine dell’incipit de Quella sporca dozzina

Si dispiega così la narrazione lungo un marcato prologo dal ritmo cadenzato, con cui Aldrich getta le basi drammaturgiche del conflitto; allarga le maglie relazionali introducendo gli agenti scenici di Borgnine, Kennedy e Ryan – autentici fuoriclasse del genere che danno spessore al racconto; disegnando infine i contorni caratteriali del Reisman di Marvin.

Tra un solido e appena accennato background narrativo tra medaglie al merito e poca disciplina, emerge la criticità dell’agente scenico-principe. Nel Reisman di Marvin vivono infatti due anime compenetranti, risultando tanto brillante stratega militare quanto insofferente all’autorità e al sistema militare. Un contrasto caratteriale dato dalla compresenza di due componenti dicotomicamente opposte con cui Aldrich arricchisce di senso la narrazione dando, al contempo, colore indelebile al suo protagonista.

Lo sviluppo corale e le “nuove” voci della Dozzina

Prende così vita il racconto de Quella sporca dozzina. Qualcosa che il cineasta de I 4 del Texas (1963) sottolinea anche in termini di linguaggio filmico al momento della presentazione del plotone. I titoli di testa compaiono infatti dopo nemmeno tredici minuti dall’inizio della pellicola e proprio in quel momento. Aldrich sfrutta l’inerzia di un momento statico del racconto avvolgendoli, oltre che in panoramiche geometricamente perfette, in un formidabile piano medio/primo piano in campo/controcampo con cui presentarci la sgangherata Dozzina.

La sequenza, citata in una codifica filmica non dissimile in Bastardi senza gloria (2009), risulta infine essenziale per il background caratteriale del plotone; delineando così le insite criticità con cui dispiegare gli archi di trasformazione della Dozzina volte a rendere il racconto tipicamente corale.

Il plotone de Quella sporca dozzina

Emergono infatti le tante e mutevoli voci de Quella sporca dozzina. I Bronson, Brown, Cassavetes, Savalas, Sutherland, Walker con cui Aldrich passa in rassegna simulacri di casi giudiziari tra delitti passionali e psicopatia; sociopatia e forza bruta; nonché di tipo squisitamente razzista. Iconici e colorati agenti scenici che permettono al regista di Prima linea (1956) di arricchire di senso la sua narrazione, amplificandone la portata ribelle e antimilitare.

Quella sporca dozzina: Il cuore del racconto e l’anima ribelle

L’arguzia alla base del racconto de Quella sporca dozzina sta proprio nello sviluppo del suo secondo atto che Aldrich fa vivere di mutevoli sfumature tonali e tematiche. Cucendolo tutto addosso alla dinamica relazionale tra il Franko di Cassavetes e il Reisman di Marvin, cuore narrativo e depositaria della componente antimilitaresca, il cineasta de Scusi dov’è il West? (1979) gioca con l’inerzia dei suoi agenti scenici smussandone gli angoli; ponendoli inizialmente ai punti opposti dello scacchiere narrativo tra scazzottate, atti sovversivi e scarpe slacciate, facendoli poi avvicinare con il dispiego dell’intreccio.

Aldrich disegna infatti due agenti scenici che seppur separati dalla sottile linea che c’è tra una recluta e il suo superiore, sono portatori della stessa carica valoriale: leader morali di pura disobbedienza civile e ribellione ontologica. Personaggi figli del loro tempo, dei disordini del contesto storico-sociale d’appartenenza. Simulacri di quell’epoca di profonda trasformazione culturale, con la differenza che se con i Reisman della storia getti le basi per la rivoluzione, è solo con i Franko che la vinci. Personaggi in ogni caso unici e dinamici, tipicamente aldrichiani o perlomeno, perfettamente in linea con la sua visione:

La lotta per l’autodeterminazione; la lotta per quello che un personaggio vuole che sia la sua vita. Cerco personaggi che si sentano abbastanza coinvolti in qualcosa che non si preoccupa delle probabilità prevalenti; ma che lotta contro quelle probabilità.

Lee Marvin e John Cassavetes in una scena de Quella sporca dozzina

Al contempo, tra i lamenti dei soldati; il passo cadenzato e la schiena scomposta; le sigarette in riga e la disobbedienza civile, Aldrich fa crescere l’alchimia tra gli agenti scenici. Codificando così sequenze che, come nel caso dell’episodio dell’acqua calda per radersi, oltre a far crescere l’identità dell’individuo e del gruppo – opponendosi alla depersonalizzazione del soldato – mutano gradualmente il tono del racconto in comico brillante, perfino dissacrante.

Intenti che trovano rimandi nella costruzione da parte gli edifici del campo base; nell’addolcimento del tono d’insita umanità dovuto all’ingresso scenico del Posey di Walker; nella banda musicale fuori tono e nelle linguacce del Vernon di Sutherland nella sopracitata “sequenza MASH” del racconto; e infine nella sfida tra plotoni tra finti feriti e fascette rosse e blu. Espediente quest’ultimo con cui la narrazione di Quella sporca dozzina riequilibra il dislivello tra il plotone della sgangherata Dozzina e chi soldato è stato formato o lo è per vocazione.

Tra Paperino e bombe a mano: la climax che riequilibra le caratterizzazioni e giustifica la causale del racconto

1) Al posto di blocco si incomincia.
2) Sentinelle uccise.
3) Avanziamo col diavolo in corpo.
4) Il Maggiore e Wladislaw entrano dalla porta.
5) Pinkley resta nel giardino.
6) Il Maggiore cala una fune.
7) Wladislaw lancia un’arpione sul tetto.
8) Jimenez ha un appuntamento.
9) Gli altri salgono lungo la fune.
10) Sawyer e Gilpin di guardia al ponte.
11) Posey sorveglia i punti 5 e 7.
12) Wladislaw e il Maggiore sono all’interno.
( – e dov’è Paperino?
– Paperino sta all’incrocio con la mitragliatrice
– …con gli occhi bene aperti o saranno guai per tutti noi!)
13) Franko sale fin sopra il tetto.
14) Ora zero e Jimenez taglia la luce; Franko il telefono.
15) Franko va dentro e si unisce agli altri.
16) Sbuchiamo tutti come furie!
(- e uccidete tutti gli ufficiali.
– Nostri o loro?).

Paperino e il plastico del Progetto Amnistia ne Quella sporca dozzina

Intenti di crescita caratteriale che trovano tuttavia un sensibile ridimensionamento nella risoluzione del conflitto scenico. È nella climax infatti che Quella sporca dozzina avvolge l’intero racconto in una sequenza dal respiro trionfante ma corto tra bombe a mano, sparatorie e una rocambolesca fuga in camion. Un atipico kammerspiel che vede asciugare del tutto la componente comico-brillante a favore di un corposo tono bellico.

Sequenza essenziale nell’economia del racconto con cui Aldrich, nel portare a compimento gli archi di trasformazione della prima suicide squad della storia del cinema, vede emergere l’insita devianza della sua “Dozzina dozzinale”. La maschera goffmaniana infatti, casca giù, permettendo agli uomini di rivelare così la propria natura e la mediocre carica valoriale di cui sono portatori. La climax riesce quindi a riequilibrare il divario caratteriale con i militari propriamente detti, ponendo una linea di demarcazione tra chi combatte per salvare la pelle e chi per alti ideali, permettendo infine ad Aldrich di snellire la corposa mole degli agenti scenici, giustificando, al contempo, la criticità della causale del racconto.

Gli improbabili sequel televisivi e la rilettura de Il grande uno rosso, per un’opera imprescindibile

Vincitore dell’Oscar 1968 ai Migliori effetti sonori a fronte di quattro nomination (Miglior attore non protagonista, Miglior sonoro, Miglior montaggio); protagonista di tre (infelici) sequel televisivi tra l’omonimo capitolo del 1985; Missione speciale (1987) e Missione nei Balcani (1988) quest’ultimi con un “redivivo” Telly Savalas. Ha lasciato il segno nella storia del cinema Quella sporca dozzina, per la solidità di racconto; la marcata componente antimilitarista rivoluzionaria; la corposa regia di Aldrich e agenti scenici come Franko, Vernon, Posey, Maggott e Wladislaw capaci di superare i confini del tempo per entrare definitivamente nell’immaginario collettivo.

Ma soprattutto il Maggiore Reisman di cui, tredici anni dopo, Samuel Fuller con il suo Il grande uno rosso (1980) ne rileggerà la caratterizzazione secondo una differente accezione. L’opera bellica di Fuller infatti, vedrà un Marvin maturo ed esperto nei panni di un Sergente senza nome che per toni ed enfasi rievocherà e non poco Reisman. Stavolta però il plotone non sarà composto da una dozzina di avanzi di galera ribelli che fingono d’essere uomini d’onore, ma da poco più che ragazzini (tra cui i poco meno che trentenni Mark Hamill e Robert Carradine); facendo emergere così una spiccata componente paterna avvolta in un racconto bellico postmoderno, dal respiro classico e profondamente umano.

La locandina ungherese de Quella sporca dozzina

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