Mi domando cosa nasconda un viso di gesso, gesso senza pregio,
cosa celi o significhi una posizione china e senza correzione possibile,
cosa possa ridurre un uomo, una donna, a essere il calco di una figura morta.
Io mi chiedo quanto si debba tollerare il dolore e poi la nausea del vivere.
La nausea diceva Sartre, l'assenza di una finalità cui disporsi e disporre, e fondare
l'essere. La nausea. Attesa interminabile di una liberazione quando
il coraggio di infilarsi due dita in gola è anch'esso sciolto negli acidi gastrici,
disciolto il coraggio e l'amor proprio.
Calchi dunque, per gesso, e gesso senza pregio.
Odiare la vita, si può. Non poterne fare a meno, proprio quando l'odio è certo
conclamato, abusato, non poterne fare a meno. E il vizio di odiarla,
e l'assuefazione a quell'odio così sintetico da non necessitar premura nè cortesia,
preme in superficie perchè poi l'immagine, o meglio la forma, sia data al gesso,
gesso senza pregio. Vizio, sopraffazione, pozzo.
Mi inquieta sentire il battito del mio cuore
sempre più regolare e il disegno delle mie mani sempre più sfuocato al contempo.
Cosa vuol dire. Quando bisogna fermarsi, quando devo fermarmi.
È così brutto davvero intorno, o sono già malato, o sono sempre stato malato
e quello che provo è solo il germe di una neonata, imbarazzante salute.
O. No. Continuare a parlare a scrivere inizia a stancarmi. E questo lo so.
Non può riguardare le stelle.
A.