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Direttissimo

Nel racconto Direttissimo, di Dino Buzzati, si narra di un misterioso viaggiatore che sale su un treno, un treno potente, veloce, che scalpita per partire. Il treno, una volta partito, corre imperioso tra campi, monti, case, paesi, finché giunge alla prima stazione. Il viaggiatore scende perché qui ha appuntamento con un ingegnere per concludere un progetto. Al tavolo di un bar l'ingegnere comincia a tirare fuori da una cartellina i documenti del progetto, ma nota nel viaggiatore una certa fretta, una certa ansia. Un po' contrariato, chiede al viaggiatore se per caso abbia fretta. Questi risponde di non avere fretta, però... insomma, il treno sta per ripartire e teme di perderlo. L'ingegnere invita allora il viaggiatore ad andarsene, il progetto lo concluderanno un'altra volta. Il viaggiatore corre e riesce a risalire sul treno un attimo prima che parta.


Il convoglio arriva alla seconda stazione con mezzora di ritardo. Qui il viaggiatore ha appuntamento con Rosanna, il suo amore. Scende, cerca, ma di Rosanna non c'è traccia. Dopo un po' la scorge. È di spalle e sta uscendo dalla stazione. La chiama ma lei non sente ed è ormai uscita. Lui fa per correre e raggiungerla, ma il treno ancora una volta si accinge a partire. Non sa bene cosa fare. Alla fine decide, con tristezza, di tornare al treno, il quale ricomincia la sua corsa imperiosa finché giunge alla terza stazione del viaggio. 

Giunge alla terza stazione con qualche ora di ritardo. Qui il viaggiatore deve incontrarsi con sua madre. Scende dal treno ma non riesce a trovarla. Sulla banchina ci sono poche persone. A un certo punto riesce a intravederla da una finestra della sala d'aspetto ed entra. Lei è seduta su una panchina, si è addormentata. Quando si sveglia e lo vede, sorride. Lui le chiede se è da tanto tempo che lo aspetta e lei gli risponde che lo aspetta da anni. Poi un velo di perplessità le si disegna sul volto quando si accorge che lui non ha con sé le valigie, e alla sua domanda su dove siano il viaggiatore risponde che sono rimaste sul vagone. La donna si intristisce perché capisce che suo figlio non resterà, e il treno sta per ripartire. Lui vede la tristezza della madre e le dice che correrà subito a scaricare le valigie per restare con lei.

Ma la madre glielo proibisce e gli dice che no, lui deve continuare il suo viaggio perché quel paese è piccolo, vuoto, non c'è niente per cui valga la pena restare, e a lei è stato sufficiente averlo rivisto. A malincuore, lui risale sul treno e riparte, e dal finestrino vede la madre andarsene, lentamente e mestamente, via dalla stazione. Il racconto si chiude con questa riflessione del viaggiatore: "Con un ritardo di anni e anni accumulati siamo così di nuovo in viaggio. Ma per dove? Cala la sera, i vagoni sono gelidi, non c'è rimasto quasi più nessuno. Qua e là, negli angoli degli scompartimenti bui, siedono degli sconosciuti dalle facce pallide e dure che hanno freddo e non lo dicono. Per dove? Quanto è lontana l'ultima stazione? Ci arriveremo mai? Valeva la pena di fuggire con tanta furia dai luoghi e dalle persone amate? Dove, dove ho messo le sigarette? Ah, qui nella tasca della giacca. Certo, tornate indietro non si può."

Mentre terminavo questo malinconico e struggente racconto, dalla potente valenza metaforica, mi venivano in mente i versi di Guccini: "Noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa..."


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