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Terra di Agbo Terra di Lorenz di Alessio Guglielmini

In un'epoca di Giovani scrittori, che scrivono in modo giovane, di argomenti giovani - parodie della loro stessa parodia mediatica - e di scrittori anzianotti col berretto che raccontano ai giovani come vivono i giovani - proto masturbazione letteraria, a scoppio ritardato, sulle allora compagne di scuola - Alessio ricama con sapienza una scrittura gotico-barocca.

La srotola come un venditore di tappeti turco. Composto, quasi austero, ma furbo. Furbo, ma non approfittatore. Se la ride sotto i baffi. "Leggi, leggi pure" pare dire "tanto non ci capirai un cazzo!".

La sua è l'eleganza del silenzio, l'aristocrazia del non-detto. Bisognerebbe conoscerlo di persona, del resto, per sapere quanto più fragoroso è il riso patafisico che innesca con le sue freddure che schizzano improvvise e anarchiche dopo lunghissimi silenzi.
L'anti-conversazione, finalmente.

A tratti, e non è un difetto, persino un'anti-lettura, e per la trama di rimandi eso-essoterici, che poco interessa una lettura anche consapevole, e per la densità del ricamo a maglie strettissime.

Anti-sociale e anti-mondano, Alessio-Lorenz(accio) sfregia così la storia del suo, nostro (vostro), tempo.

Ironia sottile ed elegantissima, di un'eleganza mai snob.

Belle frasi, non le cosidette "frasi ben riuscite".

Il lucido delirio dei suoi personaggi somiglia più a quello del principe Saurau di Thomas Bernhard, piuttosto che a quello dei personaggi di Marquez, come qualche somaro intellettualoide, abbagliato da nomi ispanici, avrà sicuramente creduto.

E' soprattutto un omaggio a Junger, le cui schegge nella deflagrazione mirano acuminate al cervello.

L'intera narrazione è un'altalena sulla soglia, dove il dentro e il fuori sono talvolta rovesciati, ma più spesso irriconoscibili, diremmo quasi privati del loro senso. Come una soglia montata nel bel mezzo di una sconfinata distesa.

Nelle sue pagine dense il rapsodios scorre come un distillato di psicomagia che esalta e avvilisce, annienta e galvanizza, addormenta e risveglia, e infine rivela.

Il suo lettore si ritrova costretto a vagare disperato, come una sorta di super Kasper Hauser, ubermensch idiota, nel suo tempo interiore, quel tempo senza tempo che fa della ricerca dell'immediato la vera volontà di potenza.

Perduto dentro il proprio personalissimo labirinto di Cnosso interiore, il fesso lettore si ritrova come uscita il medesimo ingresso da cui era partito il viaggio e può solo sperare che sul fondo delle scarpe sia rimasto almeno qualcuno dei miliardi di simboli che Alessio ha sparpagliato lungo il percorso e, partendo da queste rovine post-Guenon, cercare di ricostruire una storia, anche solo personale.

Un libro da non perdere.



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