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L’ABC della macchina fotografica: come funziona?

Il principio della camera o(b)scura, di sicuro già noto ai filosofi ateniesi dell’età classica, ebbe un grande sviluppo nel XVI secolo quando artisti e scienziati lo misero in pratica per riprodurre fedelmente la realtà. Poco dopo l’introduzione di un obiettivo, che consisteva in lenti da occhiali convesse, permise di proiettare sullo schermo di messa a fuoco un’immagine chiara e nitida facilitando il ricalco di paesaggi, edifici e nature morte.

La storia

La macchina fotografica divenne una realtà possibile solo nel XIX secolo con la scoperta di composti in grado di reagire alla Luce e detti fotosensibili. L’emulsione fotosensibile veniva spalmata su lastre di vetro da inserirsi nella Fotocamera, al posto del vetro smerigliato di messa a fuoco, ed esposte per il tempo necessario alle condizioni ambientali e quindi sviluppate. Se il controllo del tempo di posa richiese la costruzione di otturatori meccanici, quello della luminosità dell’immagine rese indispensabile l’adozione del diaframma.

Grazie alla fortunata operazione di marketing dell’americano George Eastman, fondatore della Kodak, la fotografia abbandonava il ruolo da passatempo per le élite e si trasformava nel dispositivo principe atto a catturare la realtà vista dai borghesi. Eastman, infatti, seppe coniugare i vari elementi tecnici, di cui allora si poteva disporre, con la psicologia dei potenziali clienti, facendo in modo che le richieste e le aspettative di un pubblico sempre più di massa fossero tutte soddisfatte. A questo proposito, nel 1886, fu in grado di produrre una fotocamera nella quale era montato un rocchetto di pellicola fotosensibile di gelatina appoggiato alla carta, lo slogan pubblicitario era: «Voi premete il bottone, noi facciamo il resto». Anche se invece di premere il bottone occorreva tirare una funicella per caricare l’otturatore della N°1 Kodak Camera, da allora le sperimentazioni non si sono più fermate ed ancora oggi si tenta di miniaturizzare i componenti in modo da ergonomizzare e migliorare qualitativamente il dispositivo.  

Funzionamento della fotocamera

Cosa fa una fotocamera? Cattura i soggetti della realtà. Ma come devono essere i soggetti per essere catturati? Devono avere consistenza ed essere illuminati. Se per la consistenza di un soggetto non si può fare molto, per la sua illuminazione possiamo utilizzare una sorgente luminosa, sia essa il sole, una lampada o una candela. Ricordiamoci che «fotografare» significa «scrivere con la luce», quindi la sua presenza è essenziale in ogni scatto, anche se solo pochi raggi luminosi passeranno attraverso l’obiettivo per formare l’immagine.

Malgrado esistano svariati tipi di fotocamere, come puntualmente approfondiamo nei nostri articoli, in questa trattazione prenderemo come esempio lo scatto con una reflex, che oltre ad utilizzare gli stessi componenti degli altri dispositivi offre una sintesi eccellente del processo fotografico. Individuato il soggetto da catturare e scelta la posizione da cui riprenderlo, parametri soggettivi che la nostra trattazione non può qui discutere, prestiamo attenzione alla lettura esposimetrica della scena. Gli esposimetri sono composti da una fotocellula al silicio incorporata superiormente o lateralmente all’obiettivo e rivolta verso il soggetto. Una porzione di fasci luminosi, insignificante alla riuscita dello scatto, viene deviata verso l’esposimetro e qui, calcolando i parametri impostati nella fotocamera, offre una lettura precisa nel mirino. Nelle reflex, proprio perché dotate di pentaprisma, tutto ciò che viene inquadrato attraverso il mirino, quindi ripreso dall’obiettivo, viene riproposto fedelmente nello scatto: incomparabile pregio che determina l’assoluta mancanza di qualsiasi errore di parallasse.

L’obiettivo

L’obiettivo, nella sua forma cilindrica più semplice, si presenta come un dischetto di vetro lucido più sottile ai bordi che al centro, con una forma convessa. L’equilibrio tra lenti concave e convesse gli permette di raccogliere, convergendoli, i raggi luminosi riflessi dal soggetto, che daranno un’immagine chiara e nitida durante lo sviluppo solo se tutti i componenti erano messi a fuoco durante lo scatto. L’utilizzo di obiettivi compositi permette l’ottenimento di immagini sempre più perfette. Definiamo la lunghezza focale come la distanza dal centro ottico, quindi dall’obiettivo, al punto focale, ovvero dove si forma l’immagine sulla pellicola.

Il diaframma

A questo punto il fascio di luce, che in tutto il percorso attraverso l’obiettivo non aveva incontrato ostacoli, viene filtrato dal diaframma un elemento strutturale della fotocamera che funziona esattamente come l’iride dell’occhio umano: quando c’è poca luce si apre, quando ce n’è troppa si chiude lasciandone passare poca. Regolando il diametro di apertura regoliamo il flusso della luce in ingresso che andrà a solleticare la fotosensibilità della pellicola o del sensore, influendo sulla nitidezza dell’immagine e sulla profondità di campo. La maggior parte dei diaframmi è costituita da lamelle metalliche: ruotando un anello di controllo si regola con precisione il diametro dell’apertura, cioè si chiude l’obiettivo, garantendo l’ingresso di luce consigliato dall’esposimetro. L’anello di controllo è tarato in valori f/, ognuno dei quali, in successione, dimezza o raddoppia la luminosità dell’immagine.

La luce, che fino a questo punto ha seguito una direzione orizzontale, viene deviata verticalmente da uno specchio inclinato a 45° che la immette all’interno del pentaprisma, un ingannevole blocco di cristallo sagomato che riflette l’immagine catturata su tutte le sue superfici in modo che l’immagine, ribaltata dal vetro smerigliato, si veda dritta nel mirino. La pressione sul pulsante di scatto fa ribaltare lo specchio deviante e chiude il diaframma al valore pre-impostato. A questo punto il nostro fascio di luce, non essendo più deviato, raggiunge il dorso della fotocamera lasciando cieco il mirino, una sconcertante scomparsa dell’immagine che molti fotografi inseriscono tra gli svantaggi di queste tipologie di macchine.

L’otturatore

Dopo aver quindi attraversato senza ostacoli tutta la lunghezza dell’obiettivo, la luce finisce finalmente per incontrare la grande porta che cela il supporto fotosensibile: l’otturatore. Questo congegno si apre per un tempo variabile pre-impostato dal fotografo a seconda del momento esatto in cui scattare la fotografia. Nel corso della storia della fotografia ne incontriamo due tipologie: a sottili lamelle metalliche, inserito tra il diaframma e l’obiettivo, e a tendina, che consente l’intercambiabilità degli obiettivi e permette di avvalersi del sistema reflex per la traguardazione dell’immagine tracciata dall’obiettivo a tutta apertura del diaframma.

Analogico o digitale?

Anche se può cambiare il supporto su cui cui si salvano le fotografie, analogico o digitale, il processo fisico e chimico che porta alla cattura fotografica è uguale e costante per qualsiasi modello di fotocamera. È il fotografo che, attraverso l’esperienza e il giudizio critico, deve coniugare tutti gli aspetti che ruotano intorno alla fotografia per ottenere gli scatti che più soddisfano i suoi canoni estetici.



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