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Il ritratto fotografico

Se nel mirino vedi la persona, lascia perdere: è il suo pensiero che devi ritrarre.

Capita solitamente che il fotografo alle prime armi, malgrado tutta la passione e la tenacia degli amatori della prima ora, non sia soddisfatto dei primi ritratti che ha scattato. I soggetti che in questa circostanza si sono prestati all’esperimento, quindi i parenti più vicini e partner, troveranno le foto poco significative e assolutamente lontane dal rispecchiarli per come sono. In cosa abbiamo sbagliato? Passo indietro…

Consolidiamo una certezza: ogni Soggetto, nel mondo reale, ha le proprie caratteristiche che lo contraddistinguono da un altro. Parliamo di forma, d’aspetto superficiale, di volume, del colore e dei relativi valori tonali, quindi di proprietà che il fotografo deve tenere in considerazione e studiare durante il primo approccio visivo all’oggetto, quindi alla realtà che appare oltre l’obiettivo. Non ci sono scelte accademiche, categorie giuste o sbagliate per riprendere, ma solo delle scelte personali che distinguono il tratto autoriale da chi fa scatti a casaccio… e quindi?

Un buon fotografo analizza il contenuto visivo dei soggetti e delle situazioni ed individua, in poco tempo, la caratteristica che vuole enfatizzare in modo da (re)interpretare la scena secondo il proprio punto di vista unico e soggettivo. Studiare la grammatica di base dell’universale linguaggio fotografico permette di comporre in modo piacevole l’inquadratura, facendo comunicare in modo pregevole tutti gli elementi che la costituiscono. Non è facile… ma quando arriviamo ai ritratti?

Il fotoritratto

I ritratti sono gli scatti che maggiormente impegnano i fotografi (ve ne sarete accorti…) per la loro complessità tecnica e per la fugacità delle espressioni del soggetto. Non importa quanta esperienza e quanti anni di carriera abbiamo sulle spalle, le domande saranno sempre le stesse: come posso riprodurre fedelmente il suo volto? Quale messaggio questa persona può trasmettere? Riuscirò a farlo intendere con questa inquadratura?

Tra i tanti maestri disseminati lungo tutta la storia della fotografia un nome centrale in questo ambito è Gaspard-Félix Tournachon, meglio conosciuto con il noto pseudonimo di Nadar, l’esponente più rappresentativo del Ritratto fotografico nella Parigi ottocentesca. Nella suo luminoso studio in ferro e vetro di Boulevard des Capucines, il nostro ritrae artisti, scrittori, scienziati giornalisti e politici, interpretando il ritratto fotografico come una funzione intellettuale e una passione civile. La lunga preparazione all’esecuzione del ritratto assume delle sfumature da seduta psicanalitica, il soggetto ha libertà di movimento e Nadar scatta solo quando ritiene di aver trovato l’espressione caratteristica, quasi la sua anima!

L’approccio al ritratto, al di là della Manica, è invece ancora molto legato alla rappresentazione seicentesca alla Rembrandt. La cultura inglese, a differenza di quella francese, non ha ancora vissuto l’indipendenza dai modelli classici e per questo motivo i fotografi ritrattisti sono dei dilettanti di talento, dei pittorialisti, guidati in prima linea da Julia Margaret Cameron e Charles Dodgson (vero nome di Lewis Carroll, autore di Alice nel paese delle meraviglie).

Come sperimentato negli altri articoli di questo viaggio intorno alla fotografia, il supporto storico culturale risulta essenziale per comprendere il motivo dello sviluppo disomogeneo delle pratiche visive e di riproduzione del reale nel mondo. Non risulta banale quindi congiungere l’assenza di tradizioni, passato e d’influenti corporazioni di artisti ed accademici per spiegare il grandissimo sviluppo commerciale del ritratto negli Stati Uniti d’America. Amando tutto ciò che è moderno e meccanico, nel nuovo mondo i fotografi fanno affari d’oro ritraendo celebrità, notabili e presidenti. Mathew Brady apre il suo studio a Washington nel 1847 e sempre nella capitale inaugura una specie di museo in cui è possibile ammirare i volti delle celebrità dell’epoca da lui ritratti: fornendo acqua fresca ad una nascente società assetata di conoscenza visiva e di modelli identificativi.

Il ritratto come memoria storica e culturale

In questo senso il ritratto assume la funzione di conservare la memoria di tutti coloro che hanno partecipato ad una determinata impresa. Testimonianza straordinaria è di sicuro quella lasciataci da Alessandro Pavia che ha potuto fotografare tutti i partecipanti all’impresa dei mille uno a uno, corpus di immagini che costituisce una solida base documentale per tanti monumenti e busti commemorativi dell’impresa in varie città e contemporaneamente per la memoria privata dei reduci garibaldini.

La tecnica fotografica nel ritratto

Nel ritratto c’è quindi un’interazione faccia a faccia con il soggetto rappresentato, a noi l’onere di realizzarlo in modo gradevole, confermandone la funzione di raccordo tra esperienza privata, civile e pubblica. Si… ma da dove partire?

Se in parte è vero che gli scatti fugaci ed immediati sono i migliori perché i più spontanei, è però difficile produrre dei ritratti accettabili in circostanze in cui non si abbia un buon controllo delle variabili ambientali: luce, fondali, disturbi d’attenzione vari, … Uno sforzo in più ci spingerà ad invitare l’attore dello scatto nel nostro studio, o in un ambiente privato, in cui si possa ottenere un discreto controllo delle luci e lavorare in totale dedizione.

La luce

Partendo dal buio accendiamo la luce principale (morbida o dura?) e procediamo con la costruzione dell’illuminazione (dove sistemare ogni punto luce?), per evitare risultati controproducenti controlliamo ogni volta l’efficacia di ogni singola lampada con l’esposimetro a spot singolo (l’immagine è sottoesposta o sovraesposta?) e verifichiamo la sensazione che queste hanno sulla personalità del soggetto (lo affaticano? lo rendono nervoso?). Deciso il punto di vista e di posa, con un ritratto di tre quarti, scegliamo se la parte illuminata deve essere più o meno grande di quella in ombra e valutiamo se questi devono essere schiariti. Se utilizziamo un flash occorre indirizzare il lampo della torcia verso l’alto, su una superficie riflettente, non direttamente sulla persona ritratta, in quanto l’improvvisa luce lo porterebbe ad avere gli occhi in ombra.

Per ottenere un profilo ben delineato illuminiamo lo sfondo in modo non uniforme, al fine che la parte più chiara si trovi dietro la parte in ombra del soggetto, giocando con lo scambio tonale. Sostanzialmente è meglio illuminare lo sfondo in modo indipendente rispetto al soggetto, il quale è comunque l’attore della fotografia e quindi non deve essere succube dei nostri esperimenti tecnici.

Ricordiamo: più è semplice l’illuminazione e più potremo dedicarci alle espressioni del soggetto e ai rapporti umani. Alle volte basta una barzelletta, o la comunicazione di un fatto, per suscitare stati d’animo alterni che inondano l’immagine con la loro naturalezza e bellezza. La lettura esposimetrica deve essere effettuata con spot singolo, in modo da misurare ogni singolo punto luce di tutta l’area dell’inquadratura, favorendo i contrasti che molto piacciono agli osservatori in stampa.

L’obiettivo adatto

Evitiamo i grandangoli che distorcono (Il grandangolo viene sconsigliato nel ritratto perché la vicinanza al soggetto deforma il viso allungando il naso e gonfiando le gote e i teleobiettivi più adatti per i dettagli, prediligiamo le ottiche normali da 50-75 mm in modo da assicurarci la giusta ripresa. L’apertura focale è soggettiva, ma veicola la quantità di profondità di campo: ne abbiamo bisogno per il ritratto?

In conclusione un invito: Nessuno scatta una fotografia di qualcosa che vuole dimenticare. Se abbiamo deciso di ritrarre qualcosa o qualcuno è perché questo ci ha colpito, ma che cosa in particolare? Quale dettaglio? Ciò che fotografiamo è ciò che ci colpisce, vedere le nostre fotografie è capire noi stessi… i ritratti sicuramente non sono da meno!



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