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Le fotocamere dei cellulari

Nadar (pseudonimo di Gaspard-Félix Tournachon) 1820-1910

Se invece di morire nel 1910 il grande ritrattista Nadar si fosse addormentato, oggi al suo risveglio dovrebbe cambiare il modus operandi di fare fotografia. Nella società parigina di fine ottocento, Nadar è il fotografo d’eccellenza di artisti, scrittori, scienziati, giornalisti e politici. Per la prima volta il ritratto fotografico assume una funzione intellettuale e una passione civile al pari della pratica pittorica. Come opera? Prima di tutto allestisce lo spazio che deve ospitare il soggetto, il suo studio si trova nella celeberrima Boulevard des Capucines, vicino al futuro cinema Lumiere. Preparati i fondali, Nadar fa accomodare il suo cliente su una poltrona che lo tratterrà fermo durante lo scatto, a fine ottocento ci volevano ancora svariati secondi per ottenere una buona fotografia in studio. A questo punto il fotografo intrattiene una lunga conversazione dai toni quasi psicanalitici e solo quando ha scalfito la famigerata barriera protettiva, che ogni cliente innalza alla vista dell’obiettivo, è pronto per premere il bottone dell’otturatore: clic!

Domanda: svegliandosi oggi dal lungo sonno, Nadar riuscirebbe a lavorare?

In Questo Primo Quindicennio di secolo le categorie secolari di tempo e fruizione della fotografia sono state rivoluzionate dal diverso approccio alle fotocamere, oramai quasi ridotte a strumento/applicativo degli smartphone. La grande diffusione dei telefoni cellulari, dei primi anni duemila, ha imposto alle grandi industrie tecnologiche la creazione di modelli sempre più autonomi e competitivi. Tra i tanti progettisti e tecnici, il primo a potersi arrogare il diritto di paternità sul primo dispositivo sperimentale mobile dotato di fotocamera è stato il francese Philippe Kahn. Già fondatore della Light Surf Technologies, nel 1997 Kahn realizza la prima fotografia scattata ed inviata attraverso un dispositivo mobile: la sua figlia appena nata. La svolta nella fotografia sperimentale è totale. Il successo gli assicura un contratto di collaborazione con la Motorola per lo sviluppo di un telefono in grado di realizzare immagini.

Il passato

Sharp J-SH04

Samsung SCH-V200

Malgrado l’impegno tecnico della statunitense Motorola, i primi ad immettere sul mercato un telefono cellulare con fotocamera furono i sud coreani della Samsung, con il modello SCH-V200, seguito Dopo Pochi Mesi dai nipponici della Sharp con il J-SH04. Il primo ha una fotocamera VGA con risoluzione da 0,35 MegaPixels, permette la realizzazione di 20 fotografie poi visibili su uno schermo LCD da un pollice e mezzo o tranquillamente scaricabili tramite apposito cavetto su un Pc. Lo Sharp, rilasciato a novembre del 2000, ha una risoluzione di 0,11 MegaPixels e può inviare fotografie digitalmente ad un altro cellulare. Dopo due anni negli USA è in vendita il primo telefono con fotocamera della Sanyo, il SCP-5300. Ha un sensore di 0,3 MegaPixels e scatta con formato 4:3, attraverso delle applicazione interne al dispositivo è possibile bilanciare il bianco, impostare un timer, utilizzare filtri colore e scattare con uno zoom digitale.

I primi telefoni con fotocamera, ancora non propriamente degli smartphone, adottano la tecnologia digitale per realizzare i loro scatti. Per digitale intendiamo un sistema che ha abolito la pellicola e riesce a catturare la realtà esterna attraverso la reazione alla luce del suo sensore interno. La luce, penetrando attraverso l’obiettivo, finisce sul sensore e sollecita una serie di fotorecettori che il software interno convertirà in segnale numerico binario (0/1). Il risultato di questa rilevazione è il pixel, un rettangolino che insieme ad altri milioni costituisce l’illusione della fotografia e quindi permette la visione quasi istantanea dello scatto.

L’anno di svolta è il 2006: si vendono più foto-cellulari che macchine fotografiche. Con le dovute approssimazione del caso, si calcola che in questo anno siano state realizzate 250 miliardi di foto digitali! Milioni di persone, che mai avrebbero pensato di uscire con la macchina fotografica, ne hanno una con sé. Grazie alle memorie espandibili si possono ora conservare migliaia di foto: di uno stesso soggetto si possono fare a raffica decine di scatti, selezionando poi con calma il migliore ed evitando di dover ricorrere a terzi per lo sviluppo. Inoltre lo scatto è immediatamente disponibile per ogni diffusione ed elaborazione, arcaicizzando definitivamente quel primato che ancora poteva arrogarsi l’ormai morente Polaroid.

Se la fotografia nasce per documentare, è proprio con gli smartphone che la società dell’informazione, inaugurata da questo terzo millennio, ha sostituito l’immagine allo scritto. Tale sostituzione ha assecondato una tendenza, ormai ben nota, che attraversa tutto il Novecento: l’exploit dell’immagine. La realtà è oggi congestionata dalle fotografie ed è proprio per indirizzare e dare un senso a questa enorme mole di dati che probabilmente in epoca recente ha visto la nascita di piattaforme social. Facebook, Twitter, Whatsapp e molte altre applicazioni non avrebbero senso se non ci fossero gli smartphone.

Nel 2007 la Apple produce una nuova fortunata generazione di telefoni cellulari, gli iPhone. Anche se la fotocamera non è molto potente, appena due MegaPixel senza autofocus, e non monta un flash LED, l’iPhone ha il Touchscreen, un vetro sensibile al tatto, sul quale l’utente può interagire fisicamente con il dispositivo. Dopo pochi mesi sarà LG a produrre un dispositivo touch screen con fotocamera da otto Mega Pixel, il Renoir. Ancora oggi Samsung e Apple, seguite a distanza da Lg, Nokia e altre case minori, si rispondono a colpi di tecnologia, offrendo continuamente prodotti innovativi per qualsiasi esigenza di mercato e veicolando gli utenti verso l’era della connessione totale.

Il presente

Ad oggi, non penso si possano nutrire dubbi in proposito, non c’è occasione o evento che non sia catturato dall’indiscreto occhio fotografico di uno smartphone. Senza dubbio la fotografia ha perso in parte la sua autorità testimoniale con l’iper-rappresentazione del mondo, una neo-tendenza universale a dare di tutto una rappresentazione e una giustificazione visuale, perdendo in talune circostanze anche il senso della realtà. Se l’evoluzione tecnologica nel settore delle comunicazioni mobili ha avuto una crescita esponenziale in questo primo quindicennio di secolo, è anche vero che di conseguenza l’elemento visivo ormai predomina sulla scrittura. Lo stesso modo di fare informazione è stato piegato dal surplus di immagini e non è anomalo se già oggi i fatti di cronaca, che avvengono lontano dalle sedi istituzionali, saranno sempre più resocontati da fotografi improvvisati e di passaggio, magari dotati di smartphone…

Insomma: Nadar riuscirebbe oggi a lavorare? Chissà… Potrebbe riuscire solo ripensando il rapporto tra soggetto e fotocamera, non più momento di imbarazzo e tensione, ma azione banale, ormai ripetitiva nella congestione visuale contemporanea. Potrebbe restarci male…



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