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Ad ogni scatto il suo obiettivo. Quale montiamo oggi?

    Come noi amanti della fotografia ormai sappiamo, le fotocamere hanno la prerogativa di catturare una certa quantità di luce al loto interno e di trasformarla in una scrittura, o grafia, in grado di restituirci un determinato (s)oggetto in stampa. Se le digitali hanno rinunciato alla pellicola e le analogiche funzionano anche senza fonti energetiche, diamo per scontato che qualunque fotocamera del futuro non potrà ovviare alla necessità di un obiettivo.

L’obiettivo fotografico è un cilindro in cui sono montate un certo numero di lenti che rifrangono la luce in modo tale che questa converga sul piano focale. Questa conformazione garantisce un ingresso uniforme della luce, trasformando un fascio di luce divergente in un fascio di raggi convergenti e dando quindi vita ad un’immagine reale che si va ad imprimere sulla pellicola/sensore.

Nella progettazione e nella costruzione degli Obiettivi fotografici si usano vari tipi di vetro, ciascuno con differenti proprietà di rifrazione e di dispersione, ma con la tendenza a neutralizzare le aberrazione e ad elevarne le prestazioni per lo scatto. Più elementi convivono in un obiettivo e maggiore sarà la correzione delle aberrazioni, ma superato un certo numero c’è il rischio che si formino dei problemi di luce riflessa da ogni superficie di vetro, accrescendo un caos di diffusione interna che fa perdere nitidezza alla fotografia. Ad esempio un buon obiettivo da 50 mm è composto da sette lenti, di cui cinque convergenti e due divergenti, per assicurare un’immagine priva di distorsione e a fuoco dappertutto.

Per ovviare ai difetti ottici, gli elementi degli obiettivi hanno una grande gamma di forme e di tipi di vetro. Senza entrare troppo nello specifico, fidandoci di ciò che scrivono i tecnici fabbricanti di obiettivi, una lente convergente è la più adatta per ottenere un’immagine definita. Questa fa convergere nel punto focale i raggi luminosi divergenti provenienti dal soggetto, quindi li veicola verso il cuore della fotocamera. La luminosità penetrata dipende dal diametro della lente.

Le lenti sono posizionate e centrare nel barilotto in modo critico/ragionato e richiedono strumenti di alta precisione per il montaggio, sono ricoperte da uno o più strati sottilissimi di materiale trasparente dalle proprietà rifrattive che eliminano la riflessione interna della luce. La riflessione interna è, per intenderci, quell’effetto che si presenta quando si vuole fotografare senza paraluce un soggetto con forti sorgenti di luce poste a lato rispetto alla scena inquadrata.

Ed è proprio ruotando il barilotto, la corona che riveste circolarmente l’obiettivo, che i gruppi di lenti cambiano di posizione e permettono la messa a fuoco. Una fotografia è a fuoco quando si presenta nitida, i particolari e i contorni delle figure sono delineati e gli occhi non fanno un particolare sforzo per osservarla bene. Viceversa una fotografia sfocata, ha contorni e dettagli confusi, che la rendono generalmente meno leggibile se non la si adotta come stratagemma estetico (lasciare sfocate porzioni secondarie della foto è piuttosto comune). La messa a fuoco deve quindi essere rapportata alla distanza tra il soggetto e il corpo macchina, più è lunga la focale e più è grande il movimento che necessario per focalizzare.

La scelta dell’obiettivo

Ecco adesso il dilemma: disponiamo di diverse ottiche, tutte compatibili con la nostra reflex, ma quale montare per la nostra uscita fotografica? Per distinguerli, tutti gli obiettivi riportano il valore della lunghezza focale sulla ghiera frontale. La misura è esposta in millimetri e rappresenta la distanza tra l’immagine e l’obiettivo, cioè tra il centro del piano focale e la lente posteriore dell’obiettivo. Avete presente il gioco che i bambini fanno quando vogliono imitare i registi? Si fa un rettangolo con pollici ed indici delle mani e lo si distanzia dall’occhio, poniamo di 10 cm. Bene, quello che vediamo nel rettangolo creato è quello che riusciremo a scattare, pressappoco, con una lente da 100 mm. Stesso funzionamento.

Il campo visivo dell’occhio umano è di circa 45° quindi gli obiettivi con questo angolo sono considerati normali, ed hanno la lunghezza focale approssimativamente uguale alla diagonale dell’immagine che si forma sulla pellicola. Gli obiettivi variano a seconda dell’angolo di campo, cioè l’ampiezza del campo che riescono ad abbracciare, alterando la reale distanza che ci separa dal soggetto e così modificando la prospettiva della foto.

Se ad esempio montiamo un obiettivo con una focale lunga, il soggetto apparirà ingrandito, cioè sembrerà più vicino, ma è un’illusione ottica dovuta all’ingrandimento. Questa soluzione offre un notevole aiuto se non ci si può avvicinare al soggetto, ma è anche vero che ogni piccola vibrazione viene amplificata risultando anch’essa ingigantita. Un obiettivo da 100 mm, a parità di distanza, dimezza l’angolo di ripresa e raddoppia l’ingrandimento dell’immagine degli oggetti rispetto a un 50 mm. Viceversa con un grandangolo ogni elemento risulta rimpicciolito, ma risolve casi critici di spazio, specie negli interni dove un obiettivo normale non inquadra tutta la scena.

È anche vero che gli obiettivi con distanze focali corte tendono ad avere aberrazioni, in particolare ai lati dell’immagine. Un ritratto ripreso con un grandangolo deforma irrimediabilmente la persona ripresa in primo piano. Una regola sintetica? Più è lunga la focale, più si restringe l’angolo di campo e quindi la porzione di spazio che è possibile inquadrare.Se stiamo assistendo ad un congresso, a parità del punto di vista useremo un grandangolo per una visione d’insieme della sala, un teleobiettivo per un primo piano dell’oratore alla tribuna ed un 50 mm per fotografare i mezzibusti dei partecipanti. Ma di certo sarebbe più comodo se si avesse un unico obiettivo con la possibilità di modificare la lunghezza focale…

Obiettivi zoom

Negli anni ’70 si sono diffusi gli obiettivi zoom, i quali presentano una lunghezza focale variabile che non costringe il fotografo a cambiare continuamente ottica. Malgrado negli ultimi decenni gli obiettivi zoom abbiano fatto progressi, ancora presentano una qualità inferiore rispetto alle ottiche fisse di lunghezza focale corrispondente. Ma in compenso facilitano l’attività del fotografo permettendogli di inquadrare rapidamente soggetti rapidi che si presentano inaspettatamente troppo lontani o troppo vicini e che non danno il tempo di cambiare ottica. La scelta dello zoom è comunque veicolata anche da un bisogno logistico di trasporto, in quanto permette di portare meno attrezzatura con sé.

Il diaframma

Sarebbe grave concludere questo articolo senza spendere poche battute sul diaframma. All’interno della maggior parte degli obiettivi, tra il gruppo anteriore e posteriore di lenti, è disposto un diaframma regolabile, simile all’iride dell’occhio umano. Questi è costituito da una serie di lamelle metalliche sovrapposte il cui movimento allarga o stringe l’apertura per il passaggio della luce. Il fotografo può manovrare in fase di scatto l’apertura del diaframma attraverso una ghiera posta sull’obiettivo, veicolando la quantità di luce che deve raggiungere il sensore o la pellicola. Sempre attraverso il gioco del diaframma diamo tocchi di profondità di campo alla fotografia, ma… questa storia la racconteremo in un altro articolo!

Voglio lasciarvi con un dilemma: è l’obiettivo a creare l’inquadratura, o l’inquadratura a volere il giusto obiettivo? È il nostro occhio che deve piegarsi alla volontà dell’inquadratura o è l’inquadratura che deve essere predisposta a seconda di come il nostro occhio la vede attraverso l’obiettivo? Fotoamatori… a voi l’ardua sentenza!



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