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SCIENZIATO DELLA COMUNICAZIONE IMMAGINARIO

Tags: zambardino
Non c'è niente da fare, non ce la faccio. Mi ero ripromesso di contare fino a dieci, ma la verità è che sono arrivato fino a cento. Da quando Vittorio Zambardino ha pubblicato questo post, la mia rabbia repressa è andata crescendo esponenzialmente. Come se non bastasse, me lo sono ritrovato davanti (il post) in ogni dove: sul pc di casa, ai corsi universitari, a casa di amici, etc. Ne ho sentito parlare da chiunque fosse minimamente interessato, com'era facilmente prevedibile. Ho resistito per mesi, ma ora, dopo aver ascoltato una nuova chiave di lettura, devo dire la mia.
Partendo da questa premessa, vorrei confrontarvi con voi su un tema più ampio, che è quello del "successo" (in termini di "visite e commenti ricevuti") di ogni singolo blog.

Non conosco Vittorio Zambardino di persona e tanto meno sono un frequentatore assiduo del suo blog, ma voci accreditate mi dicono sia uno dei maggiori esperti di nuove tecnologie e di internet in particolare. Colui che più e insieme ad altri sta dietro alla nascita ed al successo di Repubblica.it Non ho difficoltà a fidarmi.
Non v'è dubbio che il suo post abbia voluto essere, più che altro, una grossa provocazione. Zambardino ha sfruttato a pieno le potenzialità della rete, non nascondendo la faccia, ma calcando la mano. Poco importa se il suo ragionamento risulti riduttivo, approssimativo, giusto o sbagliato. Si può essere d'accordo o meno, ma da questo punto di vista Zambardino ha fatto centro. Basti notare la mole di commenti e d'interventi accumulatisi durante il dibattito.

Io faccio altro. Non voglio commentare il suo pensiero. Voglio scrivere il mio sfogo, da studente della Laurea Specialistica di Scienze della Comunicazione quale sono. Ma non difenderò la mia facoltà, difenderò in primis me stesso. Perchè è questo il punto. Zambardino sposta i termini del discorso dal personale alla critica di una singola facoltà. E questo è sbagliato. Lui non conosce affatto Sdc, ma "alcuni" ("molti" se vogliamo) studenti di Sdc. E allora la mia provocazione è questa: caro Zambardino, pensa davvero che gli stessi studenti con cui si è relazionato avrebbero fatto strada se invece di Sdc si fossero iscritti a ingegneria, economia o medicina? Lei stesso, Zambardino, dove ha appreso le conoscenze di cui parla? Perchè se è vero che per osservazione partecipante, media ponderata, domanda e offerta, etc. è fondamentale la formazione universitaria, per altri versi (come ad es. per le lingue e, su tutti, la conoscenza di internet e dei nuovi media) è decisiva la cultura, la passione e l'impegno di noi persone, come singoli, più che come studenti di una facoltà universitaria. Posso darle atto, con molta sincerità (e mettendo anche io la faccia), che non è facilissimo conoscere gente "seria e preparata" nel mio contesto universitario. Ma questo c'è da noi a Sdc, come in qualsiasi altra facoltà.
Il vero problema, secondo me, è che Sdc vive sulla media dei suoi iscritti. E professori e studenti ci marciano. Se un corso ha una denomizione tecnica, è bene che resti tecnico e ci dia una formazione approfondita. Non m'importa se più della metà dei miei colleghi non ha le basi perchè a quel punto per me diventa una perdita di tempo. Invece ci sono fior di esami che non fanno altro che ripetere gli stessi programmi, cose sentite e risentite. Basta! E basta anche col proliferare di master e progetti vari di scarsissima utilità, che servono solo a spillare soldi all'università e non preparano affatto!
Invece Sdc va apprezzata per il fatto che è una facoltà che apre le menti. Badate bene, non è una frase fatta. Intendo dire che aiuta a maturare una visione d'insieme sul mondo della comunicazione e della società dei new media. Una volta che hai intuito come funziona il sistema, è più facile regolarti di conseguenza e trovare la tua strada. Almeno questo...
Infine trovo il ragionamento di Zambardino perfino contradditorio. Lui scrive: "Quel corso di laurea (Sdc, ndr) non solo non vi darà la preparazione necessaria a lavorare nei media, per i quali credo non esistano (e forse è una fortuna) vere e proprie istituzioni che possano preparare fino in fondo". Allora, dico io, visto che Zambardino riferisce di esperienze personali per sostenere la sua tesi, ci dica anche dove ha maturato la preparazione necessaria a lavorare nei media e come è approdato a Repubblica. Magari vengono fuori strade alternative che noi "scienziati della comunicazione immaginari" non conosciamo...


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