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Nero e arancio

Circa un anno fa, era fine Gennaio del 2009, passavo da Rosarno insieme ad altri amici, diretta ad una manifestazione a Reggio Calabria. Ormai a Reggio si va via autostrada, ma quel giorno l’A3 era bloccata per frana, ed il nostro autobus ci ha condotto fino a Rosarno dove avremmo dovuto prendere il treno.

Non era previsto, quel passaggio da Rosarno. Chi era con me si ricorderà di come ci siamo aggirati perplessi per la stazione, in attesa del treno. Cemento ovunque, case spesso mai finite, strade semivuote in quella domenica fredda di gennaio, in questo poteva assomigliare a tanti paesi dell’entroterra che conoscevamo. La cosa che però colpiva, era la quantità di giovani neri che incrociavamo un po’ dappertutto, strana in un luogo dove gli immigrati in genere non si fermano perché di lavoro non ce n’è. A Rosarno di lavoro evidentemente ce n’era. Un mio amico me lo ha segnalato: “la frutta…”.

Ricordo i volti di Quei Ragazzi, e l’ostilità che si respirava verso di loro. Non era difficile accorgersene. La frutta, ovvio. Erano lì per raccogliere gli aranci, i mandarini, l’oro profumato di una regione povera, così come in Puglia si fermavano a raccogliere i pomodori. Ho conosciuto in Puglia braccianti agricoli italiani, che facevano una vita faticosissima, e loro stessi dicevano che i pomodori erano il peggio, un lavoro da schiavi.

E schiavi parevano, quando li ho rivisti oggi sui giornali, Quei ragazzi che dall’Africa erano venuti in Italia a dormire in grandi capannoni abbandonati, senza cessi, senza calore, pioggia a terra, la miseria oltre la miseria, al di là della miseria. Schiavi in rivolta, in questi giorni di gennaio, pieni di rabbia, per quei colpi di fucile sparati nella notte, spari che hanno trasformato il silenzio teso e gelato del gennaio di un anno fa in una guerriglia urbana, abitanti da una parte, immigrati dall’altra, polizia in mezzo.

La soluzione offerta da Maroni – che ha tuonato contro l’immigrazione clandestina ma si è opportunamente dimenticato che nei campi di frutta i clandestini in questione non ci stavano per farsi una gita – la si era già vista dopo gli scontri di Lampedusa, quando in una notte è stato dichiarato agibile uno stabile dismesso all’interno del Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo (CARA) del S.Anna di Crotone, e battezzato, lo stabile in questione, Centro Identificazione ed Espulsione (CIE). Quando sono stata al S. Anna di Crotone, il CARA l’ho potuto visitare, il CIE no. Ci avevano già chiuso un centinaio di Persone Provenienti da Lampedusa. Ora ci chiuderanno centinaia di persone provenienti da Rosarno. Tornerà il silenzio per le strade, il silenzio nelle campagne.

Resterà il profumo di mandarini. Sembra che a volte fossero l’unico cibo che quei ragazzi, quegli uomini, finivano per mangiare.

Qualcuno li raccoglierà.




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