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Spesa pubblica italiana: giù le mani dalla sanità!

Tutti sanno che la Spesa Pubblica italiana è enorme. O meglio questa è la percezione che abbiamo di essa, giustificata ampiamente dai 2mila e 200miliardi di euro di debito pubblico che il nostro paese si porta sulle spalle. Del resto la prima cosa che puoi pensare quando hai un debito cosi grande è che le tue uscite devono essere altrettanto abnormi.

Ma il problema è che il punto non è questo.  Il grosso del debito pubblico, il periodo delle spese pazze, è stato antecedente gli anni 90. Saragat fece un’affermazione passata, poi, alla storia “gli italiani guadagnano netto, ma vivono lordo” che rende piuttosto bene l’idea della cosa. Il resto è storia recente: crescita scarsa, interessi sul debito elevati ecc.. e i problemi generati ovviamente dall’aumento del rapporto tra debito (che è aumentato) e Pil (che è diminuito). Magari di questo parlerò un’altra volta.

Se torniamo per un attimo alla Spesa pubblica e andiamo ad analizzare i dati di bilancio (qui il documento relativo al 2015) e lo rapportiamo alla situazione degli altri paesi europei possiamo notare come ne il valore assoluto della stessa (parliamo di circa 800 miliardi di euro) ne il rapporto con la popolazione siano cosi particolarmente elevati. Tutt’altro.

Spesa pubblica e Pil in una elaborazione grafica di dati Eurostat

Come spende l’Italia? Per darvi un idea possiamo dire in maniera grossolana che la spesa pubblica si compone più o meno cosi: interessi sul debito pubblico 9%; previdenza e assistenza (pensioni, pensioni sociali, etc.) 30%; spese in conto capitale 7%; sanità 13%; istruzione pubblica 10%; altre spese correnti (giustizia, ordine pubblico, difesa, territorio, etc.) 17%.

Lo Stato italiano costa in media (per persona) circa 15.000 euro l’anno. Non male, ma niente di particolare. Tanto per fare qualche esempio inglesi, francesi, tedeschi, danesi, belgi, finlandesi, olandesi e austriaci spendono più di noi. Anche sul Pil la Spesa Pubblica Italiana (pari al 50,6% della ricchezza prodotta nel Paese) è in linea inferiore a quella di paesi virtuosi, come la Francia (56,7%) e i Paesi scandinavi, ma anche a quella di Portogallo e Grecia (53,7%). Possiamo dire che la differenza tra social democrazia illuminata e idrovora di denaro pubblico è piuttosto labile e non si evince certo da questi numeri.

Veniamo alla questione della spesa della sanità. In questi anni si è dibattuto molto sull’argomento e nel corso del 2015 sono stati annunciati maxi tagli alla stessa per dare respiro ai conti dello Stato ma la realtà delle cose è che anche in questo settore la spesa dedicata dall’Italia è tra le più basse almeno tra i paesi europei più sviluppati.

Interessante elaborazione di dati OCSE di TECNE’ che evidenzia i dati della spesa sanitaria in rapporto al potere d’acquisto (in dollari)

La spesa sanitaria pubblica dell’Italia ammonta a circa 11o miliardi di euro l’anno (circa 2.000 euro per abitante) cifre tutto sommato contenute che permettono alla sanità italiana di essere considerata una delle migliori al mondo per efficienza, addirittura la terza al mondo secondo Bloomberg.

Come spesso accade in Italia possiamo riscontrare differenze tra le varie regioni, anche in considerazione del fatto che esse amministrano autonomamente i soldi destinati alla sanità anche se essi provengono, in buona parte, da un fondo finanziato dal gettito Iva e dalle accise sui carburanti. Ma le problematiche di base (servizi igienici, costo e rendimento del personale e costo del materiale) esistono in tutte le regioni d’Italia. Anche nelle eccellenze come Toscana, Veneto e Lombardia (quest’ultima in particolare impegnata da poco in uno scandalo che ha coinvolto i più alti vertici regionali).

La sanità italiana non è malata, tutt’altro.

E si regge sul lavoro delle tante persone che hanno contribuito a renderla eccellente resistendo al costante deficit di personale e a un regime salariale tra i peggiori d’Europa. E’ tempo di occuparsi seriamente della gestione della spesa pubblica ma occorre iniziare a farlo con intelligenza concentrandosi sul concetto di efficienza e non sulla semplice riduzione dei costi.

Tagliare e basta non serve a nulla. Perfino il Fondo Monetario Internazionale, da sempre sostenitore dell’austerità, nell’ultimo World Economic Outlook ha riconosciuto fallimentare la propria politica di abbassamento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali (che ha portato nessun beneficio in termini di crescita) ed ha calcolato come ogni euro tagliato alla spesa pubblica abbia generato un effetto negativo sull’economia di circa -1,5 euro.

L’Italia ha ampi margini di miglioramento quando si parla di spesa pubblica, ma se parliamo di sanità occorre fare scelte coraggiose perché migliorando gli investimenti (sopratutto in termini di tecnologie) e contemporaneamente intervenire allontanando, con forza, corrotti e furbetti. Giù le mani dalla sanità o vanificheremo i traguardi raggiunti con fatica dal nostro paese. Non importa se essi si insinuano nelle sale dei consigli regionali o nelle mense degli ospedali, servono punizioni esemplari e servono ora perché oggi era ieri e domani è già troppo tardi.

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