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Diario di avventure, finestre sulla Terra. El Carmen de Viboral, tra le sue ceramiche

Portiamo su, con l’aiuto del giovane ragazzo che ci ha portato fino a El Carmen de Viboral, tutte le nostre cose, il frigorifero, la lavatrice, il divano, tutto a mano per le due rampe di scale che ci dividono dalla strada. Entriamo nel vuoto appartamento che ci accoglie con l’odore di appena pitturato, le sue pareti lisce e ben levigate, il suo bianco diffuso ed un odore di recente costruzione. Posizioniamo tutto nel salone, all’entrata. Quel venerdì, dunque, lo passiamo a sistemare casa, passiamo le varie pertinenze nelle differenti stanze, la camera degli ospiti, con un armadio a muro dove mettiamo tutte le nostre scarpe, ed un letto singolo per chi verrà a trovarci. Lo studio con un secondo armadio a muro dove metto tutte le mie cose del lavoro, la camera matrimoniale con il bagno al suo interno con un terzo armadio a muro beige dove mettiamo tutti i nostri vestiti, divisi per pantaloni, magliette, felpe, ecc.… ed il letto matrimoniale nel centro.

Nel bagno posizioniamo le nostre cose, i saponi, lo shampoo e nell’altro bagno gli asciugamani di riserva. Riempiamo gli scaffali della cucina con alcune pentole, non molte, il tosta pane ed un forno ad aria sul piano superiore e le posate nel primo cassetto centrale. Ed infine il salone con il divano verde scuro ad elle in un angolo, un tavolino in legno, una bella pianta verde rigogliosa, la piccola tv appesa alla parete, ed una barra con due sgabelli per mangiare. Semplice e pratico. Passiamo lo straccio in terra, apriamo le finestre e, dopo una bella doccia calda nel nostro nuovo appartamento, usciamo alla scoperta di questo nuovo paesino. Seba lo conosce bene così, mi fa da cicerone.

È un bel paesino, curato amabilmente e molto pulito. Le strade sono ricoperte da mattonelle fatte a mano nella loro tipica ceramica carmelitana, fatta di decorazioni dipinte da mani esperte di fiori azzurri, o gialli o rossi, linee color pastello che vengono esportate in tutta la nazione ed anche a livello internazionale. Il parco, la piazza principale, è amplia e molto luminosa. La chiesa svetta su di un lato, è semplice, al lato alcuni bar/ristoranti tipici che si srotolano lungo tutto il perimetro. La gente è tanta e si riversa sui tanti tavolini, tutti uguali, posti lungo il grande marciapiedi. Sono rotondi e con ombrelloni color arancia che donano un’aria di vacanza. Il clima, qui, è una eterna primavera medio calda, il sole brilla quasi tutti i giorni ed un acquazzone fa capolino, quasi a diario per annaffiare per bene le tante coltivazioni di fiori ed i campi coltivati che recintano El Carmen.

Dai bar esce un buonissimo profumo di caffè appena tostato, di patate ripiene fritte, di croissant al cioccolato, di latte di avena e succhi naturali di mango o lulo o altri fantastici sapori. Ovviamente ci sediamo ad osservare le persone. Molte di esse riconoscono a Seba, lui è stato l’odontoiatra dell’ospedale per alcuni anni e molti si ricordano di lui. Qui in Colombia tutto il tema dentistico e odontologico, al contrario dell’Europa, fa parte della sanità pubblica, come dovrebbe essere, e quindi le persone accedono all’ospedale per dolori, o fare chirurgie dentistiche piccole o grandi che siano, così molti, si ricordano del dottor Sebastian! Mi presenta, l’aria è gioviale e rilassata.

Passeggiamo, prendo confidenza con lo spazio, con il luogo che mi circonda. Raggiungiamo la via della ceramica, dove si dislocano i differenti negozi e/o fabbriche che si dedicano alla vendita ed anche, la maggior parte, alla produzione di piatti, tazze, tazzine, vasi, bicchieri e mattonelle e molti altri bellissimi prodotti. Entriamo in vari, ed in uno sta per iniziare il “percorso delle ceramica”. Un paio di ore dentro la fabbrica, nella parte retrostante, dove, con una guida, uno dei lavoratori del luogo, viene spiegato il processo che porta alla creazione, manuale, dei pezzi unici e tutto il procedimento necessario per arrivare al prodotto finale. Ci appuntiamo ed entriamo. La nostra guida è una delle figlie degli antichi fondatori, una signora dal grande sorriso e dalla pettinatura bionda e ben curata, sui sessant’anni circa. È appassionata, si vede il suo passato tra le fornaci della sua casa, trasformata oggi una specie di museo.

Ora, quella sua casa nella campagna è diventata il grande negozio “El Dorado”. Nella facciata, con un tipo di mosaico, sono raffigurati, ben grandi, i suoi genitori, e zii, che hanno iniziato molti anni fa, questa storia familiare che, ad oggi, figli e nipoti portano avanti con amore e dedizione, insieme ad una rete di collaboratori, artigiani, ben preparati dalla vita e dall’esperienza stessa. Ci spiega e ci mostra la calce, le molitrici, i grandi recipienti dove vengono mescolati tutti i diversi materiali necessari per poi dar vita a qualcosa di nuovo, dalle mani e dalla sapienza dell’uomo. Le sue mani leggere toccano quegli strumenti unici dal fortissimo valore sentimentale ed emotivo per le, i ricordi d’infanzia, la vita che si evolve nonostante la vita stessa. Il tempo che ci trasforma e che, ad ogni istante, trasforma il fuori intorno a noi. Volenti o nolenti. Siamo come questa calce che si muove ad ogni spiffero di vento, ad ogni carezza di mani leggere, sotto gli sguardi degli altri essere umani. Siamo noi, un flusso imparabile di esistenza. Forse la morte potrebbe sembrare un punto d’arresto ma, non lo credo, credo piuttosto che, come questa calce, dopo la fine di questa vita terrestre ci siano altri elementi con cui ci uniremo e con i quali formeremo altre forme, chissà nuove esistenze. Potrebbe anche darsi che la nostra energia residua, la nostra anima chissà, si muova in questo minuscolo punto che chiamiamo Universo fino ad incontrare il suo intatto elemento e si unirà in un circolo infinito di vite, senza fine. Nelle mani lisce di questa signora dolce, io, vedo l’infinito che si staglia contro ogni tipo di morte.

Arriva il nostro momento, ci fanno toccare l’argilla fresca, modellarla per poi distruggerà e continuare a modellarla fino a quando non avrà preso la forma che più si addice alla vita che vogliamo. Qui ne “El Dorado”, ne El Carmen de Viboral, riconosco che dovremmo modellare la nostra vita, con gli strumenti che abbiamo, le forze, le energie e gli elementi che abbiamo tutto intorno a noi, le nostre vite, fino a donargli una forma che ci piaccia e ci faccia stare bene. Mettiamo tutto nel forno, dovranno cuocere per quasi una notte intera, le nostre creazioni, ci vuole pazienza, non tutto accade subito, all’improvviso a volte, bisogna attendere, aspettare che salga il sole forse, o che venga la pioggia, passi il treno sbagliato nella giusta stazione o viceversa. Bisogna desiderare con forza attiva che le cose accadano. Dipingiamo altri piatti, con leggerezza ci dice la signora, piano, senza pigiare troppo forte, con la giusta intensità per l’asciare la traccia, la linea, il colore ma, non troppo forte da macchiare tutto.

Così voglio fare, così farò quindi, oltre che pirata in questa vita cercherò di essere anche artigiano.

a cura di Michele Terralavoro

https://www.instagram.com/micheleterralavoro/

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