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Camminando verso Santiago di Compostela (1a parte)

Abita qualcuno in questi grappoli di case che attraverso verso mezzogiorno, sotto un cielo infuocato? Porte e finestre sono chiuse, forse per il caldo. Sembra la scena di un film. Per fortuna c’è qualche fontana presso cui riempire le varie borracce che ho addosso.
Sono sul Cammino di Santiago e se dovessi dire esattamente perché mi trovo qui, non saprei rispondere. La stessa cosa vale per alcuni compagni di viaggio cui rivolgo la domanda. Sono qui per alcune parole ascoltate (chissà quando, chissà dove) che si sono impigliate dentro di me. Sono passati gli anni, credi di essertene dimenticata e poi…e poi il Cammino te lo ritrovi davanti, come un appuntamento fissato, un vestito cucito addosso.
Un insieme di grandi spazi, chilometri di bellezza a perdifiato e grande silenzio attorno. Questo e soprattutto questo è il Cammino. Certo, ci sono anche grandi e belle città (Pamplona, Burgos, Léon), grandi chiese e cattedrali con le pietre pulite del romanico e quelle che svettano facendo posto alla luce del gotico, luoghi d’arte e capolavori molteplici, ma quando torni, la nostalgia ti rimane per posti che sulla carta non hanno quasi un nome, luoghi che appaiono improvvisi tra chilometri e chilometri di nulla ed altro nulla, ma non li dimentichi più.
Il Cammino può partire dovunque ma quello francese – come dice il nome – parte dalla Francia o meglio, dall’Aquitania, il cui capoluogo era Bordeaux fino al dicembre 2015 allorché la zona è confluita nella regione Aquitania-Limosino-Poitou-Charentes.
Il punto d’inizio è Saint Jean Pied de Port, ai piedi dei Pirenei, antico capoluogo della bassa Navarra, fondato nell’ XI secolo d.C. (181 m slm) da cui parte il sentiero che segue l’antica via romana ed attraversa i Pirenei.
Sono un po’ emozionata e così i miei compagni Giacomo, Giuseppe e Francesco, anche se non lo mostriamo. Ho fatto molti sacrifici per arrivare fin qui, sacrifici di ogni genere, senza contare i 1600 km dell’allenamento durante l’autunno e l’inverno.
La salita comincia da subito e la nebbia ci sommerge e ci farà compagnia per alcune ore fino a che..il mondo si squarcia e lo spettacolo che appare è magnifico: montagne verdi (come quelle della canzone), boschi alti e fitti, prati sfavillanti da apparire quasi gialli dove riposano (è il caso di dirlo) pecore e mucche immobili come quelle del presepe, mentre un gruppo di cavalli, ciascuno con una campana al collo, litiga per abbeverarsi al ruscello
Dall’alto di Ibañeta (1450 m) una stele ricorda Orlando (o Rolando) prefetto della marca di Bretania, che il 15 agosto 778 d.C qui subì ed affrontò l’attacco sferrato dai ‘Vasconi’ (baschi) all’esercito del re dei Franchi Carlo Magno del quale comandava la retroguardia. A noi è raccontata attraverso ‘La chanson de Roland’ di Turoldo, scritta intorno alla seconda metà dell’XI secolo.
Inutile dire che giunta a Roncisvalle, mi sono sentita anch’io una paladina del re.
Lasciati i Pirenei con le loro foreste e le grandi nuvole bianche, si inizia a scendere verso le piane ed i fiumi della zona mesetica che copre un terzo del territorio spagnolo.
Ora i boschi di conifere si alternano a campi verdissimi e piccoli paesi come Burguete, Linzoain ecc fino ad arrivare a Zubiri, Larrasoaña, Trinidad de Arre.
Si procede per tratti di pietre posate a metri in lastroni a scoscesi sentieri di terra, trattenuta a fatica.
Lasciamo che, lungo la salita dell’Alto de Erro, il profumo della camomilla e quello dei boschi ci entri dentro le narici.
Dalla fertile conca di Pamplona (divenuta famosa grazie ad Ernest Hemingway che descrisse ne ‘Fiesta, Il sole sorgerà ancora’ la corsa dei tori durante l’encierro di San Fermin ed i contadini con la pelle ‘color del cuoio di sella’), si avanza verso le pianure della Navarra-La Rioja. In mezzo, la salita dell’Alto del Perdon, tra il grano ed il silenzio rotto soltanto dal vento. In cima, troviamo le famose sagome ritagliate nel metallo con incise le parole ‘Donde se cruza el camino del viento con el de las estrellas’.
Erica e lecci verso la cima, mentre una discesa a picco, fatta di lastre di pietra, grandi sassi e pietre varie mi attende al momento di ripartire.
Impossibile perdere la strada: il nostro sguardo ha di fronte il profilo dei mulini sul monte. L’energia è catturata da tre pale girate dal vento ostinato e testardo che non ci lesina mai il suo soffio.
Ed eccoci a Puente de la Reina attraverso il famoso ponte pedonale ad archi sul rio Arga, costruito in epoca medievale su ordine della regina doña Mayor, con il suo corredo di chiese: quella del Crucifijo (unita con una volta a crociera all’antico hospital), quella di san Pedro (che conserva numerosi retablo oltre ad un organo del XVII secolo) e soprattutto quella dedicata a Santiago, sita nella calle Mayor detta anche ‘via de los romeos’(pellegrini diretti a Roma o in Terra santa).
Attraverso Mañeru (famosa per l’ottimo vino) e Cirauqui (che vanta ripide vie e case di pietra con facciate blasonate) si giunge ad Estella, una delle cittadine da me preferite, nata attorno al cammino nel XI secolo per volere di re Sancho Ramirez. E’ suggestiva Estella, soprannominata ‘Città dalle sette chiese’ : stupende quella di san Miguel, san Pedro de la Rua) oltre a vantare una coinvolgente piazza centrale su cui confluiscono ceffetterie e ristoranti.
Uscendo dalla città, si costeggia il Monasterio de Irache, situato alle pendici del Montejurra, imponente complesso con edifici medievali, rinascimentali e barocchi che ricorda l’antica ospitalità offerta dai monaci ai pellegrini. Quanto ad ospitalità, impossibile non citare la fontana che offre ai passanti del vino e l’invito a berne. Questa si chiama ospitalità!
Salgo per boschi di querceti, poi la discesa a fianco di viti pioppi ed un lungo sterrato. Il silenzio fino a Los Arcos che si estende ai piedi di una collina di gesso, quasi al limite di una piccola conca di marne rossicce.
Qui ho lasciato tutti quelli che camminavano con me, esausti, a rifocillarsi nei vari bar della piazza e sono partita verso Torres del Rio: gli italiani che ho incontrato nel Cammino mi chiamavano ‘la locomotiva’ perché non mi fermavo mai (non è vero, naturalmente).
Dieci chilometri completamente sola, nessuno davanti e neppure dietro : il sole picchia forte ma non c’è alternativa.
Torres del Rio mi appare all’ultimo minuto in cima ad una salita breve ma ripidissima, arroccata su uno sperone di roccia sopra il fiume Linares.
Per fortuna il luogo dove pernotterò è proprio all’inizio del paese, invaso dalla luce calda che rimbalza dalle pietre del tempio del Santo Sepolcro, faro sul cammino, piccolissima, ottagonale, che apre alle 16, 30 grazie ad una signora del luogo che custodisce le chiavi.
Lasciata Torres, si procede per Viana, a fianco di alberi e campi già mietuti, in compagnia di alcune spagnole. Con loro arrivo nella città fortificata, ultima cittadina della Navarra dove nella chiesa dedicata a san Pedro, riposa Cesare Borgia, cardinale, principe, guerriero: sto parlando del figlio prediletto di papa Alessandro VI, il bellissimo ‘Valentino’, come veniva soprannominato. Machiavelli pensava a lui quando scrisse ‘Il principe’, il che è tutto dire!
Ed eccoci ne La Rioja, la regione del vino!
Il suo nome deriva da una denominazione del Rio Oja , affluente dell’Ebro sulle cui rive sorge Logroño, bella e ricca cittadina, il suo capoluogo.
E’ qui vicino che si svolse la famosa battaglia di Clavijo (IX sec.) in cui secondo la leggenda, l’apostolo Santiago comparve in sella ad un cavallo bianco favorendo la vittoria delle truppe cattoliche su quelle dei mori. Proprio nelle vesti di ‘Santiago Matamoros’ è raffigurato nella Iglesia de Santiago el Real.
Terra di castelli e fortificazioni, nati per difendersi dalla vicina Navarra, La Rioja è la regione del vino ( è ulteriormente suddivisa in Rioja Alavesa, Rioja Baja e Roja Alta, quella che produce il vino migliore).
La coltivazione della vite a Rioja ha origine antica, risalendo ai Fenici e ai Celtiberici. Il più antico atto che tratta di vigneti è datato 873: è un documento del notariato pubblico di San Millan. La regione vanta 57.000 ettari coltivati, produce 250 milioni di litri di vino l’anno, di cui l’85% è rosso. Fra i rossi, il più conosciuto e più largamente usato è il Tempranillo.
Si arriva a Navarrete, famosa per le sue ceramiche, per una pianura ondulata. Ci guardano a sud le sierre de la Demanda e a nord quelle della Cantabria sul volto un vento costante e contrario (ma sempre un gran piacere per me).
A 485 metri slm, sorge Najera, circondata da alte rocce di argilla rossa (tagliata in due dal fiume Najerilla) nel cui Monasterio de Santa Maria la Real (fondato per i benedettini nel 1056 ) è ospitato il pantheon reale con tombe di re di Navarra, di Castiglia e Léon.
E’ dopo Najera dove i due percorsi si uniscono, che la strada cambia davvero . Si cammina (diversi sono i ciclisti che compaiono all’improvviso tra cui diversi italiani) lontano dall’asfalto e dalle ruote dei carri a motore. Vasti i campi coltivati a grano ed ortaggi, pieni di fiori gialli e soprattutto papaveri, i fiori simbolo del Cammino.
Non c’è alcun albero vicino per chilometri e chilometri e l’unica ombra è quella tua.
Un cammino di terra ci porta fin dove riposano i resti di una delle figure più emblematiche di tutto il percorso: Santo Domingo de la Calzada. Nato nel 1019, visse per molti anni come eremita nel fitto dei boschi che popolavano la zona, fintanto che non si accorse dei pellegrini che transitavano verso Santiago: decise che da quel momento ne avrebbe facilitato il transito ed il cammino.
Disboscò, estirpò e impiegò tutte le proprie energie per costruire una strada sicura nel mezzo della boscaglia; costruì un ponte (prima in legno poi in pietra), fino a fondare la cittadina che porta ora il suo nome dove aprì un ospedale per i viandanti.
Seppellito sotto la strada che aveva faticosamente costruito, i suoi resti sono ospitati in una stupenda cattedrale romanico-gotica, ricca di elementi decorativi e scultorei, con una torre alta quasi 70 metri. All’interno vi figura (oltre ad un retablo plateresco e 2 cappelle in puro stile romanico) la gabbia col gallo e gallina, memoria di uno dei miracoli che compì secondo le leggende.
La cittadina, suggestiva, ospita un lussuoso parador, situato all’interno di un ex edificio ospedaliero risalente al XII secolo. Veramente splendido.
Si arriva nella regione di Castilla y Léon attraverso i Montes de Oca e l’Alto de la Peraja (ultimo bosco prima della regione del Bierzo), temuti un tempo per gli agguati ed il covo di briganti che lì alloggiavano. Boschi fitti e arbusti bassi, silenzio e sole a picco prima di intravedere la pietra bianca e pulita di San Juan de Ortega che porta il nome di un altro maestro costruttore di prima grandezza e pare, allievo di santo Domingo.
La benedizione ai pellegrini sulla tomba del santo ed il dono di una piccola croce d’argento a ciascuno di noi, rappresentano momenti emozionanti.
Infine, camminando attraverso un parco sul fiume Alzanzón, si arriva proprio sotto la cattedrale di Burgos, imponente e sontuosa, di stile quasi internamente gotico , con guglie grigio e bianche a filigrana che si innalzano sopra le torri e si vedono da ogni parte della città.
Un ricco pranzo alla ‘Puerta Mayor’, il più bel ristorante della piazza, con questa meraviglia di fronte agli occhi, non me lo leva nessuno!
Certo, la fatica esiste ed è notevole dopo 7-8 ore passate in saliscendi, sotto il sole, ogni giorno, con un carico pesante sulla schiena.
Chi cammina così tanto in Italia? A differenza di un mio compagno di Alessandria che in discesa si è quasi spezzato il tendine nonostante calzasse gli scarponi (è rientrato in Italia il giorno dopo ma tornerà sul Cammino a settembre), io non ho avuto problemi anche se i piedi (rossissimi e doloranti) volevano mettersi in sciopero ed avevano già contattato i sindacati confederali!
Ed infine…come non rivolgere un saluto a tutti quelli che hanno camminato con me?
-Giacomo di Catania, Francesco e Giuseppe (calabresi residenti a Verona e Bologna) con i quali ho condiviso la tappa più faticosa ed emozionante;
-Joao e Marcos, brasiliani del Minas Gerais;
-l’australiano Peter che di prima mattina ha condiviso con me una colazione a Zubiri a base di salame piccante;
-le graziose ragazze sud coreane, sempre attente a coprirsi di crema protettiva ed adeguato cappello, dato che come tutti gli orientali, amano conservare a lungo la bellezza della pelle;
-i 3 giapponesi a cui ho raccontato il mio viaggio dell’anno scorso nel loro bel Paese;
-la coppia ungherese, che a San Juan de Ortega si è rammaricata di non ricevere la benedizione nella propria lingua;
-Rodolfo di Pistoia, Pasquale di Catanzaro ed Ettore di Trieste;
-le briose Chiara e Daniela di Milano (quest’ultima cugina di mia cugina Maria di Teramo);
-le americane Carol di Santa Barbara e Grace, ingegnere spaziale della Pennsylavania ;
-gli studenti di Santo Domingo, in gita con i professori
ed, ovviamente tutti i francesi e gli spagnoli che qui svolgevano le funzioni di padroni di casa. Un ringraziamento a Francisco di Barcellona che nell’ultima tappa mi ha raccontato le sue opinioni sull’economia e la politica spagnola e catalana in particolare e che si augura di vedere, prima di morire, ‘la Catalogna indipendente’.
Un ringraziamento a Graziano Zambarda per i suggerimenti e gli utili consigli lungo il percorso (si trovava avanti di 4 tappe) e a Claudio Rossini, attento e prezioso consulente del Cammino.
Grazie a tutti per la magnifica esperienza … e arrivederci al prossimo anno per completare il tutto!
Paola Cecchini

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