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Diario di avventure, finestre sulla Terra. Parigi o, meglio, la bellezza di Blois

Parigi. Buongiorno Paris, chi si rivede, non rimarrò qui, almeno non in questo momento. È la terza volta che arrivo nella capitale francese, la seconda via terra, la prima volta è stata con il camper, un viaggio lunghissimo, per il mio compleanno, da Roma. Rimango in stazione, Bercy, stazione, tanto grande quanto sporca, i bagni sono praticamente inusabili, vista la loro condizione estremamente e gravemente sudicia. È sempre così, in quasi tutte le grandi capitali turistiche, il centro, l’aeroporto, le vie più trascorse sono, quasi sempre, in buono stato, pulite, senza spazzatura, mentre che, se ti avvii innocente poco più distante Dalle passeggiate dipinte appositamente per i turisti da fine settimana, ti imbatti nella realtà. Ed è un gran peccato. È un peccato perché, probabilmente in queste zone vivono gli autoctoni o i residenti che, risiedono nella città e ai quali si dovrebbe dare più rispetto ed onore, senza lasciarli in balia di ratti, criminalità o decadenza. Ho uno scalo tecnico di un paio d’ore prima di montare nuovamente in un Flixbus, direzione Blois, piccolo paesino ad un paio d’re da Paris che non conoscono e di cui ero rimasto colpito dalle foto del suo fiume blu ed i suoi castelli. Bar, cornetto e cappuccino e via verso Blois.

Fa piacevolmente caldo, il viaggio è rapido e passa velocemente. Scendo nel piazzale della stazione dei treni di Blois, è spaziosa, c’è un sole accattivante e gradevole. Tutto risplende come in primavera seppur è estate piena, ad agosto. L’idea è quella di passeggiare tranquillamente, senza una meta precisa, godermi il luogo, dormire una notte in questo paesino lontano dalla frenetica capitale e all’indomani ripartire per Milano, per lavoro.

Le viuzze del centro sono quasi totalmente pedonali cosa che ammiro fortemente. Il suolo è brillante, sembra essere stato appena lucidato, è fatto di sanpietrini lisci che sembrano di marmo. Le casette tutt’intorno sono basse e composte da grandi mattoni di color biancastro/panna, le insegne rosse richiamano la mia attenzione. Sono piccoli bar che recentemente stanno alzando la saracinesca per iniziare la loro giornata, tipici ristoranti intenti a scrivere il menù del giorno. Dall’alto veglia la cattedrale grigia, a punta, spigolosa, nordica. È un susseguirsi di sali e scendi, di piccoli cunicoli stretti ma soleggiati, inizio a salire, voglio arrivare fin le porte della cattedrale ed ammirare il panorama e le teste delle case. Sento profumo di ciambellone di limone o qualcosa del genere che, ovviamente attira la mia curiosità ed attenzione. Come un segugio seguo la sua scia che mi porta direttamente davanti ad una piccola finestrella dai persiani alzate, le ante in legno adornate da tanti piccoli gerani di vari colori. Sento il metallo del mestolo, mescolare dentro un recipiente. Decido di entrare per una seconda colazione. Una signora con un grembiule a fiori mi riceve. E molto gentile, le ricevo una fetta di ciambellone agli agrumi ed un the al finocchio e limone. Mi siedo al tavolino rotondo accanto alla finestra. Il tavolino è in legno scuro, dei fiori di campo sono messi dentro una bottiglia di vetro verde scuro, con un po’ di acqua. Dei tagliolini di carta sono appoggiati sul tavolo. La tazza fuma fumo che profuma a finocchio, il ciambellone è adagiato su di un piatto azzurrino, il sole entra illuminando un rettangolo nel pavimento, antico di porcellana arancione e verde. Tutto è lento, eterno, romantico, precisamente dentro la vita, precisamente inserito nello spazio e nel tempo. Assaporo l’istante ed il momento, sorseggiando l’infusione, mangiando il dolce soffice.

Fuori il tempo sembra essersi fermato. Passano un paio di ragazzi, giovani, avranno avuto sì e no 16, 17 anni. Parlano di partire, andare a fare l’università in una grande città, chissà Londra, o Berlino o Bruxelles, una città che, da quel che sento e dicono, possa dargli più possibilità e prospettive di lavoro. Penso, rifletto. Che vita può darti una “grande città”? probabilmente una vita donata ai debiti, agli affanni, alle corse per arrivare in tempo, alle consegne, alle richieste, ad un lavoro stabile e stabilmente stressante, chiuso dietro i finestroni senza balconi di qualche anonima azienda, uffici dove, qualche venerdì, uscirai per andare a spendere soldi per una birra eccessivamente cara che farà schifo, e con la quale ti ubriacherai per riposare il fine settimana, dove ti sentirai obbligato ad andare a trovare tua mamma e tuo papà a paese ai quali risponderai male perché stressato e frustrando e dai quali andrai via pieno di tristezza e senso di colpa. “Grandi città”, dove il sesso è caro e pericoloso, dove sarà facile una scopata che ti lascerà più solo/a di prima, vuoto, in 20/25 mq di “casa” dove non avrai modo neanche di muoverti. A mio avviso, ragiono mentre i due ragazzi di allontanano, bisognerebbe andare a vivere il più lontano possibile dalle grandi città, dalle masse, dal traffico, dai luoghi dove il “non ho tempo, sono troppo impegnato” è un successo mentre io lo vedo come il più grande fallimento degli uomini. Se non hai tempo sei morto, se non hai spazio, ugualmente, sei morto. Se non puoi godere della vita non ha senso la stessa, perché spenderla in una metro scura. Lontano dalle città questo è il mio mantra.

Ringrazio la signora e mi dirigo verso la cattedrale. Il paese dall’altro è un susseguirsi di casette, tettucci spioventi, finestre, mansarde, la maggior parte di color rossiccio e bordeaux. Dalla chiesa esce un matrimonio, vola il riso alto, su un tappeto di risate ed auguri per una vita da condividere insieme, possibilmente nel rispetto, nel compromesso e nell’amore. Continuo a camminare e pian piano a riscendere verso il fiume. Raggiungo un ponte antico, sembra romano, i suoi pilastri sono grandi e massicci. Sotto vi scorre un fiume grande di grandezza ma dalle acque basse infatti, le persone, alcune, passeggiano scalze dentro le sue acque. Quest’ultime sono di un blu scuro ed intenso, scorrono piano, tra la vegetazione verdiccia. Un paio di bambini giocano su una mini-imbarcazione di legno, vi saltano dentro per poi uscire e schizzarsi con l’acqua. Il sole inizia il suo discendo, tra la brezza che portano le montagne vicine, si rinfresca l’aria. Mi siedo ad osservare il tramonto, qui a Blois sopra il fiume Loira che da qui passa, giovane, prendendo forza, per continuare la sua discesa verso Parigi, anche lei verso una “grande città” per sporcarsi, riempirsi di spazzatura ed essere maltrattata dalle imbarcazioni che la percorrono senza molto rispetto.

Rimani qui Loira, giovane e fresca eternamente, apprezzata e valorizzata da tutti. I bambini, le bimbe giocheranno nelle tua fresche acque pulite, gli adolescenti si daranno il loro prima bacio, non quello del vero amore ma il bacio della scoperta. Gli adulti si siederanno sulle tue sponde erbose per fare un picnic, per ridere, portare i pargoli o semplicemente sdraiarsi e a leggere un libro o ascoltare bella musica e gli anziani ricorderanno nel tuo scorrere i tempi andati e chi già si è avviato verso una vita eterna, un’altra dimensione più leggera. Loira fermati qui, io ti ricorderò così!

Cala la notte qui a Blois, il suo castello si illumina di immense lucette gialle. Risplende la luna. Il mio zaino stanco già riposa sulla poltrona della stanza, pulita, dell’albergo, ed io qui alla finestra ritrovo sempre me stesso, qui ed altrove, altrove e qui, in un susseguirsi di sogni, obbiettivi ed una vita, possibilmente, sempre distante dalle “grandi città”. Buonanotte Blois, arrivederci Francia.

a cura di Michele Terralavoro

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