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Diario di avventure, finestre sulla Terra. Agadir. Dentro il ballo frenetico e sudato della bella vita!

L’arrivo ad Agadir, Marocco avviene nel tardo pomeriggio. Il volo è piacevole, tranquillo, vuoto e molto rapido. Da Siviglia si impiega solamente un’oretta. Marocco, l’Africa nord. Il timore innescato dalla ambasciata italiana che “sconsiglia vivamente di viaggiare in questo posto”. Sceso dall’aereo, dal fedelissimo Ryanair, il calore ci accoglie con minore intensità rispetto a Sevilla. Raggiungo migrazione, espleto le pratiche necessarie e cambio un po’ di euro per il taxi che è l’unico mezzo possibile per raggiungere la parte degli alberghi ed hotel sul lungomare. Non me l’aspettavo proprio così Agadir. Mentre viaggiamo, il tassista, un uomo sui quarant’anni mi racconta un po’ della sua città con entusiasmo ed allegria ed un fervore allegro e contagioso, sorprendente. Parliamo una lingua inventata, tra francese, inglese, spagnolo ed italiano. Ma ci capiamo e questo è l’importante. Da fuori il finestrino scorrono le persone, le macchine e qualche bus di cui sconoscevo l’esistenza. Alcune donne mano nella mano coi i figli, uomini sottobraccio, macchine che guidano con attenzione. Il tassista di cui non ricordo bene il nome o forse non me l’ha detto mi spiega che Agadir è in una grande fase di espansione, il re ed il parlamento hanno stanziato parecchi soldi alla sua ristrutturazione, saranno previsti centri congressi, hotel, parchi giochi, zone verdi e, effettivamente, vedo moltissime costruzioni in opera. Lui è contento ed io lo sono per lui. Mi lascia in hotel, semplice bianco ed azzurro, la hall molto grande in stile anni 90 mi accoglie. Pago e mi dirigo nella stanza. Da fuori, mentre salgo le scale vedo una piscina grandissima, molti ombrelloni blu e sdraio e dall’altra parte della strada, il mare. C’è il sole ma, il tempo di cambiarmi, lasciare lo zaino ed andare in bagno e cala una nebbia fittissima su tutto il lungo mare. Il sole rimane lì ma ben nascosto.

Raggiungo il lungomare, è spazioso, nuovissimo, pulito, con una grande ruota panoramica alle spalle, molti chioschetti con biscotti caserecci, panini e leccornie varie. Passeggio nella foschia fittissima della sera, dentro l’odore di salsedine, patatine fritte e attraverso la musica che proviene da un paio di locali appoggiati sulla sabbia. In spiaggia quasi non si vede il mare, è ben stesa, fitta, non ci sono né ombrelloni, tantomeno stabilimenti, fortunatamente direi. Che orrore le concessioni e gi abusi edilizi. Continuo a passeggiare, sembra un presepe ma siamo in piena estate. Donne raccolte nel burka, altre svelate nel loro abito con profondo e sensuale decolté che mostra le forme voluttuose ed armoniche. Molti gruppi di uomini nel loro djellaba, abito lungo tipico o in jeans all’ultima moda passeggiano ridendo abbracciati, non capisco cosa dicono ma solo altamente allegri e felici e questo mi rende felice di conseguenza. Palme, il mare alla destra. Scendo, la spiaggia sotto le scarpe, voglio toccare l’acqua di questo oceano. Il tempo di togliermi le calzature che, d’improvviso s’apre la nebbia come per magia svelando Agadir in tutto il suo ulteriore splendore. Una collina illuminata sovrasta la cittadina marittima, con una scritta in arabo, altre palme, altra gente, altri armoniosi locali. Un lungomare profondo e largo e lungo. Tocca l’acqua è calda e piacevole nonostante la notte che già calata veste il cielo sopra il Marocco, sopra Agadir.

Un ristorantino tipico mi accoglie. Chiedo un Tajine, un piatto tipico marocchino che viene servito in una casseruola di ceramica estremamente bollente. Può essere di pollo, manzo, pesce o vegetariano. Ne proviamo un paio. Sono deliziosi, hanno anche un uovo sodo, delle verdure ed un brodo squisito. Il tutto accompagnato da un the alla mente bollente anch’esso ed un pane tipico piatto fatto di una farina granulosa e saporitissima. Che bontà ed il tutto per quattro euro e cinquanta. Sarà il nostro ristorante di fiducia. Mi sento abbracciato da Agadir, dal Marocco e della sua accogliente popolazione.

Andata via la bruma densa, il caldo la fa da padrone, sudo, sia per l’afa notturna che per il Tajine bollente ed il the caldissimo. Siamo attratti da una musica, un canto o una preghiera che proviene da dentro un locale. Vediamo dei buttafuori all’esterno e, approfittando di un momento di distrazione entriamo senza dare troppo nell’occhio, ovviamente impossibile. Ci fanno sedere. È una festa privata con dei cantanti nazionali o locali che cantano con potenza e dedizione, cantano con tutto il corpo, sembra una preghiera, un canto liberatorio. All’improvviso tutti si alzano in piedi ed iniziano a ballare. Donne con le donne ed i bambini e gli uomini con altri uomini e ragazzi. Ballano fino allo sfinimento, non c’è alcool qui, è proibito per legge, che meraviglia, sono felici, danzano una danza tradizionale, ridono saltano, ed il tutto senza un filo di droga o alcool. Gli uomini ballano uno attaccato all’altro quasi bocca a bocca, testa contro testa, dandosi le mani, baciandosi le guance e prendendo la testa dell’altro tra le mani. Abbracciano il loro sudore e saltano, saltano. Le donne invece ballano con i loro capelli sciolti, li muovono circolarmente in aria, un richiamo forse, un modo per sedurre e chiamare l’attenzione degli uomini. I bambini battono le mani. Scorrono fiumi di allegria, spensieratezza, musica mista a preghiere in una lingua sconosciuta, fiumi di succhi di frutta e the caldi, sudore e professionalità da parte degli artisti. Mi piacerebbe poter aver catturato questo attimo oltre che con la memoria ed il ricordo anche con un estratto di video ma, era proibito. Meglio così, bisogna preservare le belle cose e salvarle attraverso gli occhi e, di tanto in tanto scorgerne la memoria e sorridere dall’altra parte del mondo.

Sono passata le 3 di notte. Stanchi e sfiniti da tanto danzare passiamo per il bar dell’hotel per una bottiglia di acqua, il cambio senza internet è complicato. Paghiamo e crolliamo senza neanche una doccia sul materasso comodissimo della abitazione.

a cura di Michele Terralavoro

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