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Diario di avventure, finestre sulla Terra. Sevilla. Ermetica e straordinaria. Ultimo atto

“Flamenca” risuona l’aria tra le viuzze del centro storico sivigliano. Si mescolano gli aromi. D’arancio, crocchette e gelsomino brilla la brezza nella cittadina andalusa, dai mille e molteplici incroci ed angoli nascosti. Vie senza uscita e piazzette scure dove risplende solo il cielo alto ed azzurro. Sotto gli archi arabi e le croci cattoliche. Qui il tutto si sposa senza conflitto, adesso. Ermetica ed intensa, chiusa tra le sue mura, nell’ipocrisia della Settimana Santa che si mischia all’alcool e la xenofobia. È meravigliosa e lo sa. Risplende di una bellezza mestizia e meticcia, e questa è la sua forza, la nostra forza. Abbattere le frontiere del pregiudizio e mischiarci in una danza sudata di amore e comprensione e rispetto. Mi lascio guidare dall’odore del fritto delle crocchette. Le crocchette, se venite qui a Sevilla saranno la vostra croce. Di carne, di prosciutto, di formaggio, di besciamella, di pesce, di verdure, ecc., ecc. Mi siedo al tavolino in legno di un baretto tradizionale, vicino alla casa di Murillo, pittore che seppe catturare la luce e incastrarla nei suoi quadri.

È eterna la felicità compresa. La felicità senza senso di colpa. Vissuta a piena ed accettata. Accettate la felicità, non abbiate paura o rimorsi. Dovremmo convivere con la felicità e gioire nei suoi momenti ed unirci con qualcuno che la sappia comprendere. È una pietra preziosa e rara.

Osservo il passare dei turisti, dei bimbi, dei passeggini, delle persone. Il loro via vai. Il flamenco risuona ovunque e fa da piacevole sottofondo, insieme al caldo che, a me personalmente, piace. Entro nel Palazzo reale, nel Alcazar. I suoi giardini sono straordinari, i pavoni reali pavoneggiano liberi tra i sentieri, insieme ai pulcini e la mamma anatra. Le rose, nascoste all’ombra dei pini, risorgono rigogliose e tenaci nel loro piccolo sottobosco. Infinite varietà di fiori risiedono lì. Mi dirigo verso il fiume, passeggiare sulle sue sponde è un da farsi obbligatorio. Credo che sia la mia parte favorita di Siviglia. Il sole inizia a discendere, le persone pattinano e vanno in bici sulla sua pista ciclabile. Pian piano mi dirigo verso il ponte di Triana, chiudendo il cerchio di questi giorni intensi ed umidi qui in città.

Vicino a me camminano molti innamorati, mano nella mano, un ragazzo ed una ragazza, un ragazzo ed un ragazzo, una ragazza ed una ragazza. Ci hanno cresciuto dicendo che “l’amore non è bello se non è litigarello”, “che bisogna lottare per amore”, “che l’amore è sofferenza”, “che la gelosia è essenziale per un rapporto amoroso” e centinaia di altre stronzate del genere. L’amore, come dice Tiziano Ferro, “È una cosa semplice” e dovrebbe esserlo, fluire tranquillo e amichevole tra le mani, le braccia ed i cuori dei due amanti. Due occhi che si incrociano, ti siedi a prendere una birra su qualche sgabello traballante a bordo fiume. Due chiacchere, due risate sincere, due sguardi, due vite che si incrociano e che si raccontano. Senza inutili pregiudizi, congetture, filtri o tecniche lette su qualche post o storie di Instagram. Senza strategie, solamente due persone con la vogli adi conoscersi e chissà se le loro idee, intensioni sono affini, continuare un percorso, una traiettoria insieme. Mi incrociai con questi occhi, la birra che suda al sole e condensa e bagna il tavolino di metallo, qualche gabbiano che starnazza e rimbomba planando e lambendo le acque verdognole del fiume. Il cin cin di alcuni bicchieri. Un gelato, due chiacchere, due passi e si fa notte. La notte. La notte misteriosa, dove si nascondono i peggiori pensieri, dove si rifugiano i delinquenti o gli amanti, come noi. Rifugiati dentro le nostre bracciate che cercavano di coprire più parti del nostro corpo. Avvinghiati in un sospiro sconosciuto. Uno dentro l’altro. Le nostre bocche sfiorando l’imperfetto momento che, ancora non sapevamo, avrebbe sancito l’inizio di qualcosa di meraviglioso. Parte di qualcosa. Essere parti attive di un qualcosa. Un atto di amore.

L’ultima notte a Sevilla prima di prendere il volo per la prossima città, anzi, per le prossime città. L’aria era troppo densa e pesante per dormire chiusi in una stanza così, preso il materasso in mano e spostato nel piccolo balcone, il gioco era fatto. La stella maggiore baluginava fiera in un cielo blu oltremare pulito e terso. Qualche altra stella al suo fianco risplendeva fievole nel firmamento, si poteva ammirare parte della Via Lattea. Non c’era la luna. Il buio era un po’ più buio, e la notte, qui fuori, meno afosa. Parlammo avvinghiati per un po’, delle nostre avventure, dei nostri pensieri rivoluzionari e tradizionali. Del neo, del tatuaggio, delle mani. Ci addormentammo abbracciati pronti a rivederci, per sempre, chissà dove.

a cura di Michele Terralavoro

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