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L’opinione: la “dittatura rivoluzionaria della lingua e dell’immagine”

La lingua, le parole, le immagini ecco le armi di una «dittatura rivoluzionaria» più che strisciante, dirompente. La lingua, le parole e le immagini ci vengono propinate tutti i santi giorni e ormai quasi ovunque: alla televisione, sui quotidiani, ai festival del cinema come della canzone. È una «strategia aggressiva dirompente». Prendere possesso della «parola», scritta e parlata, e prendere possesso delle «immagini» è prendere possesso delle menti. Del resto, è un sistema applicato per ‘’rieducare’’ i ‘’borghesi e gli intellettuali’’ nel periodo in Cina della rivoluzione culturale Mao-tze-Tung e la CIA lo ha adottato in Iraq con i prigionieri. Prendere possesso delle menti, gli esempi oltre questi due citati, sono infiniti: ucciso invece di assassinato, prigioniero invece di ostaggio per citarne due ricorrenti sulle nostre reti televisive. Se poi abbiamo la voglia di andare a vedere il sito dello «Istituto europeo per l’uguaglianza di genere» (Eige), sovvenzionato con fondi dell’Unione Europea, si può prendere visione del « Toolkit on Gender-sensitive Communication »cioè di un armamentario linguistico al servizio del politicamente corretto.

Li possiamo trovare i ‘’suggerimenti’’ per sostituire le parole nel linguaggio parlato e scritto, per esempio sostituire il termine “virile” con i termini “energico” o “forte”, perché la prima parola è appannaggio degli uomini, non così le altre due; da ‘’fecondazione artificiale’’ a ‘’procreazione medicalmente assistita’’, da ‘’utero in affitto’’ a ‘’gestazione per altri’’, ecc. e poi frasi discriminanti come ad esempio: «Gli ambasciatori e le loro mogli sono invitati a partecipare a un ricevimento dopo cena» che , nonostante gli invitati siano prima di tutto gli ambasciatori a motivo del loro ruolo, vorrebbero che fossero nominate prima le donne, oppure : «Ogni giorno ogni cittadino deve chiedersi come può adempiere i propri doveri civici», frase discriminatoria perché “cittadino” è sostantivo maschile. Sono ormai anni che la «guerra al buonsenso» imperversa ovunque: dai vocabolari al cinema e alle reti televisive. Ma anche con Leggi: da “handicappato” a “persona con handicap” (cfr. Legge 104/92) a “disabile” a “persona con disabilità” (cfr. Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, 30 marzo 2007). Cosi vengono creati neologismi come ad esempio omogenitorialità, omofobia, sindachessa, architetta, presidentessa, avvocata, ecc.. Ma anche la cancellazione di parole come ad esempio virtù e vizi o il trasferimento di termini da un ambito proprio ad un ambito improprio come ad esempio la parola “genere” che dalla grammatica è stata deportata nell’ambito antropologico e anche il restringimento del significato di un lemma come ad esempio il termine “natura” che indica oggi solo l’ambito naturalistico, escludendo quello metafisico, oppure il suo ampliamento com’è il caso visto prima dove “donna” significa anche “uomo”, o lo snaturamento di un termine come ad esempio famiglia, matrimonio, amore.

Tutto questo ha un nome in un ambito di ‘’rivoluzione’’ (che vogliono chiamare culturale): la sostituzione linguistica. Ossia una data realtà nel tempo viene indicata da termini sempre diversi, cambiando così nella coscienza collettiva il giudizio morale su quella realtà.  Una delle finalità di questa ‘’rivoluzione’’ linguistica è mutare il percepito collettivo a favore dell’ideologia. Cosi che, in altri ambiti, il ‘’processo rivoluzionario linguistico’’ tende a sostituire lo status di ‘’rifugiato politico’’ con il gruppo sociale di ‘’minoranza’’ facendolo divenire status poiché nell’immaginario collettivo, nel tempo creato ad hoc, la minoranza è sempre vessata, sempre vittima, sempre inascoltata, sempre reietta, sempre esclusa, sempre discriminata, sempre incompresa

Ma quando questi termini, qualsiasi termine, è accettato ecco che non va più bene e quindi deve mutare nuovamente. Ecco perché qualsiasi termine, seppur rispettoso nei confronti dei membri di questa minoranza, alla lunga non va mai bene. Del resto, ovviamente, se andasse bene vorrebbe dire che quella minoranza è stata finalmente accettata e quindi dovrebbe interrompere la lotta per le proprie rivendicazioni sociali. Ecco che allora se ne inventa un’altra perché la precedente è diventata concretamente inclusiva, etichettando la precedente come discriminatoria. Usare un termine ormai coattivamente passato di moda sarebbe dunque offensivo: vedi il caso di handicappato, ormai scalzato da tempo da “persona disabile” che non indica tanto un aumento di sensibilità collettiva verso questa categoria di persone – accrescimento di sensibilità che in alcuni casi pur esiste – ma piuttosto la diffusione di un pietismo che non guarda al reale bene della persona, una solidarietà pelosa che nulla ha a che vedere con l’autentico aiuto alle persone svantaggiate.

Tutto questo la chiamano EVOLUZIONE.

Marco Affatigato

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