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L’opinione: era il 19 maggio 2016 … Marco Pannella

Stavo pensando a Marco Pannella che il 19 maggio 2016 ci lasciava e quanto manchi ora alla politica italiana. Ho incontrato Pannella diverse volte nel corso dei miei anni e con lui ho condiviso alcune battaglie, anche con scioperi della fame. Quando Marco Pannella parlava era uno spettacolo, al di là delle cose che diceva e di cui si poteva non condividere totalmente o parzialmente il contenuto. Unico a tenergli testa nell’oratoria logica Giorgio Almirante. Ma lui, Marco Pannella, era così: prendere o lasciare, non aveva il rigore scientifico dello studioso di Giovanni Spadolini, altro grande statista italiano non sufficientemente seguito (al quale, durante il suo governo ho dato politicamente fiducia), o la fluidità della parola di Giorgio Almirante (con il quale, invece, ho avuto discrepanze ideologiche nel corso dei miei primi anni di attività politica per le quali non aderii alla Giovane Italia ma al Movimento Politico Ordine Nuovo e che devo oggi riconoscere che la sua politica nel sostenere l’alleanza atlantica aveva, con il senno del poi, giustezza) e la concretezza concettuale di Enrico Berlinguer (che portò il PCI ad esempio di un «comunismo all’italiana» in Europa e nel Mondo) e, infine, l’ipnotico eloquio di Ciriaco De Mita morto appena due anni fa ancor sulla cattedra politica alla veneranda età ultra novantenne. Ma Pannella era Pannella, un guerriero della politica che, a pensarci, ha voluto morire ancora sulla barricata a battagliare.

Quel 19 maggio del 2016, lasciandoci ha reso orfani delle sue tirate molti sostenitori e simpatizzanti, ma alcuni anche tra i suoi avversari politici che della sua verve e del suo coraggio avevano in un certo senso bisogno. Lui, il nume tutelare della libertà di pensiero e dell’azione, oggi forse sarebbe ancora d’esempio a chi pensa di saperne di politica, confondendo il potere con la forza delle idee. La sua genialità era riconosciuta anche da chi non la pensava come lui, ma restava persino abbagliato dalla capacità di raggrumare, in un unico fronte, idee e prospettive totalmente in antitesi perché, allo stesso modo in cui era divisivo tra sé e quasi tutti gli altri, era capace di captare il consenso (anche se troppo spesso non manifesto) di chi si riconosceva nelle sue battaglie. La liberalizzazione delle droghe leggere è stata una di queste e il fatto che se ne parli ancora oggi, se dimostra che è argomento da maneggiare con grande attenzione, conferma anche che la sua crociata ha ancora un suo valore perché è immanente sul dibattito che vive da decenni sulla dannosità di sostanze anche classificate come non nocive. Anche quando si batteva per le sue idee, Pannella non poteva non essere riconosciuto come degno avversario da tutti, anche da quelli che con le sue convinzioni non volevano avere niente a che spartire, ma sapevano che il suo essere libertario era una garanzia per tutti.

Oggi ci sono in giro eredi del pensiero pannelliano? No, e lo dico senza nemmeno il più piccolo timore d’essere smentito. Non tanto perché, amante della libertà come era lui, forse in queste terribili settimane si sarebbe schierato accanto agli aggrediti ucraini e israeliani senza sbandierare a favore di telecamera il pacifismo, quanto perché manca una classe politica che possa confrontarsi con quella di cui lui è stato forse l’ultimo rappresentante.

Quando i radicali erano una fucina di cervelli e pensieri in tanti si sono candidati a raccoglierne l’eredità, ma la maggior parte di loro – schiacciati dalla sua fortissima personalità – sono trasmigrati altrove disperdendo il patrimonio libertario di cui dovevano farsi portabandiera. Se poi, con un enorme sforzo di fantasia, cerchiamo suoi emuli in movimenti di recente nascita, rischiamo di picchiare la testa contro una lastra di titanio. Oggi, vedi il caso dei Cinque Stelle, si arriva (ma probabilmente dovremmo usare l’imperfetto, si arrivava) in Parlamento o, magari, a fare il sindaco di una grande città, anche addirittura una capitale, sulla base di un consenso imperfetto, dove a determinare il successo di una candidatura non è il merito, ma l’appartenenza partitica. Senza passare per gradi intermedi della politica, che servono anche oggi per forgiare carattere e preparazione. Allora ci si sorprende che i Cinque Stelle siano riusciti a fare entrare nel Palazzo figure di terzo o quarto piano, forti soltanto di una manciata di voti in rappresentazioni comiche di una selezione. Quanto sarebbe utile oggi Marco Pannella, non tanto per la forza delle sue argomentazioni, quanto perché, pur avendone avuto molte possibilità, ha scansato il successo personale preferendo restare lontano dal cuore del potere. Potere che certo esercitava, ma da libero pensatore, senza mai ambire a sedere sulla poltrona di un ministero o di quella di senatore a vita che disprezzava. Magari con la prospettiva di non potere fumare in ufficio i suoi amatissimi sigari o le sue pestilenziali sigarette francesi senza filtro.

Marco Affatigato

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