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L’inchiesta: l’invenzione del “diritto all’acqua”

Lo scorso 22 marzo è stata ‘’festeggiata» una Delle giornate definite dall’ONU: la giornata mondiale dell’acqua. Non so’ però cosa vi sia da festeggiare o declamare quando ancor oggi vi sono persone che muoiono di sete e l’accesso all’acqua potabile non è per tutti! Eppure, l’acqua è vita ed è di tutti!

Risorsa vitale, l’acqua è oggetto di molteplici desideri. Le Nazioni Unite hanno lavorato, fin dalla metà del XX secolo, per renderla un bene comune ma, al contrario, essa viene sempre più privatizzata.

Risorsa naturale sulla Terra, l’acqua è essenziale non solo per gli esseri umani e per questo motivo diviene una sfida economica e geopolitica su scala planetaria. Proprio per questo motivo, l’essenzialità per tutto ciò che è vita, fin dall’antichità l’acqua è stata protetta da norme giuridiche. Il “Codice di Hammurabi”, re di Babilonia, già intorno al 1700 a.C., stabiliva norme per la manutenzione dei sistemi di irrigazione. Ma è sotto l’Impero Romano, che veniva «codificata» per legge la definizione dell’acqua quale «bene comune» (res communis) e che non poteva essere commercializzato. Questa legge rimase in vigore fino all’estinzione dell’Impero Romano (476 d.C.). Solamente con la creazione delle Nazioni Unite (ONU), nel 1945, venne presa in considerazione una vera governance globale dell’acqua. L’UNESCO, negli anni ‘50 del secolo scorso, è stato pioniere lanciando due programmi di ricerca sulle “zone aride” e sulle “zone umide” e creando poi una “Commissione Oceanografica Intergovernativa” (IOC) e un “Programma Idrologico Internazionale” (IHP).

Ma è a partire dagli anni ’70, con l’emergere delle preoccupazioni ambientali, che tutto subisce un’accelerazione. La “prima conferenza sull’acqua delle Nazioni Unite” si tenne a Mar del Plata, in Argentina, nel marzo 1977. Riunendo 116 Stati, il risultato fu l’adozione all’unanimità di una risoluzione riguardante la gestione dell’acqua, ma due furono quelle presentate e che furono oggetto di discussione. Un rivelatore di quanto l’acqua abbia valenza di “carattere politico’’. La prima questione portata all’attenzione dell’assemblea riguardava l’utilizzo dei corsi d’acqua nei «territori occupati» e in particolare in quelli da Israele, Rhodesia e Sud Africa: si chiedeva a questi governi di «dare libero accesso all’acqua a tutti i loro abitanti»; la seconda «fait obligation aux pays riverains d’un cours d’eau frontalier qui désirent entreprendre des travaux de passer des accords avec les autres pays riverains dans la mesure où ces travaux peuvent avoir un effet sur les Etats voisins» (impone, ai paesi rivieraschi di un corso d’acqua di confine che desiderano intraprendere lavori, di stipulare accordi con altri paesi rivieraschi nella misura in cui questi lavori possono avere un effetto sugli Stati vicini), sostenuta da Pakistan e Argentina, ma respinta da India, Brasile e Paraguay, illustra pienamente i conflitti attorno all‘Indo e al Paranà.

Il convegno di Mar del Plata però permise soprattutto e per la prima volta di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulla «necessità di preservare l’acqua». Il presidente argentino della Conferenza, Luis Jareguy, ebbe a dichiarare: «È apparsa una nuova realtà, che mostra chiaramente che ciò che l’umanità credeva essere un dono infinito della natura ha cessato di esserlo e deve quindi essere utilizzato in modo razionale e organizzato».

Ma è solo circa quindici anni dopo, alla fine della “Guerra Fredda” che si apre un periodo favorevole alla cooperazione globale attorno alle risorse naturali. Nel 1992, anno in cui si tenne a Rio de Janeiro l’”Earth Summit”, l’ONU lancia la “Conferenza Internazionale sull’Acqua e l’Ambiente” che riunirà i ministri dell’Ambiente e capi di governo a Dublino.

Sarà nel 2010 che un nuovo passo in avanti viene compiuto quando i 193 Stati membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottano una risoluzione che riconosceva: «le droit à l’eau potable et à l’assainissement surs et propres comme un droit humain, essentiel à la pleine juissance de la vie et à l’exercise de tous les droits de l’homme» (il diritto all’acqua potabile e sicura e ai servizi igienico-sanitari come diritto umano, essenziale per il pieno godimento della vita e l’esercizio di tutti i diritti umani). Il testo quantifica tale diritto tra 50 e 100 litri di acqua per persona al giorno ad un costo che deve essere sostenibile (ma non viene indicato un massimo non superabile nè l’obbligo di una quota di litri giornalieri gratuiti). Cinque anni dopo, nel 2015, il sesto dei ‘’17 Obiettivi di sviluppo sostenibile” proclamati dall’ONU mira a garantire l’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari per tutti ma anche ad assicurare una gestione sostenibile della risorsa, ma ancora non viene menzionata la quantità gratuita né il tetto di costo massimo insuperabile. Un obiettivo difficilmente raggiungibile entro il 2030 visto che 2,2 miliardi di esseri umani non hanno ancora accesso all’acqua potabile presso il loro domicilio.

Con l’aumento delle preoccupazioni per il riscaldamento globale, lo “oro blu” è una questione cruciale. Per questo motivo l’ONU desidera sensibilizzare la popolazione mondiale, attraverso la «Giornata Mondiale dell’Acqua», che è fissata per il giorno 22 marzo d’ogni anno, e il «Decennio di Azione per l’Acqua» (2018-2028).  Come ho scritto sopra, oggi 2,2 miliardi di persone non hanno acqua potabile in casa e quasi l’80% Delle Acque reflue viene scaricata senza trattamento. L’ONU stima che ogni anno circa 845.000 persone muoiano a causa della mancanza d’acqua. Questo perché l’accesso all’acqua, visto come “diritto umano essenziale”, si scontra invece con gli interessi del settore privato (rapporto mondiale ONU 2021 sullo sviluppo delle risorse idriche: www.unesco.org/reports/wwdr/2021/it). Un settore privato al quale in Italia aderiscono, purtroppo, anche le aziende di gestione e conduzione di acqua potabile delle municipalizzate essendo divenute delle «partecipate» e quindi non più aziende no-profit ma profit con distribuzione dei dividendi (profitto) con i privati partecipanti.

È l’economista e sociologo francese Sylvain Leder a ricordarci che è proprio nel 1992, durante la conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua tenutasi a Dublino, la prima volta questa risorsa venne ufficialmente riconosciuta a livello internazionale come ‘’bene economico’’. Mentre per l’economista e politologo italiano Riccardo Petrella (attualmente presidente dell’Istituto Europeo di Ricerca sulla Politica dell’Acqua – IERPE- a Bruxelles, da lui fondato nel 2007) si è instaurata una “oligarchia globale dell’acqua” e Sylvain Leder s’inserisce spiegandoci che al suo vertice si trova la Banca Mondiale, che fu anche all’origine della creazione , nel 1996, del «Consiglio Mondiale dell’Acqua», all’epoca diretto da alti quadri dirigenziali delle multinazionali come Suez e Vivendi (diventata Veolia) e la cui sede si trova a Marsiglia (F) . Questo Consiglio ha per missione quello di definire una visione mondiale di questa risorsa in un contesto «liberale» e non statale. La dimensione operativa è assicurata attraverso il «Partenariato Mondiale per l’Acqua» (al quale aderiscono anche molte municipalizzate italiane) creato lo stesso anno, il 1996, per favorire i partenariati pubblico-privato.

Le guerre dell’acqua

Il pianeta è anche preda di tensioni politiche e geopolitiche legate al ‘’controllo dell’acqua’’ che hanno generato conflitti quasi permanenti, come Israele e Siria, e che potrebbero portare a conflitti e a queste tensioni le multinazionali dell’acqua non sono assenti. Per esempio, prendendone uno, l’Egitto sta valutando l’uso della forza militare, in particolare dell’aviazione, contro la grande diga «Grand Ethiopian Renaissance Dam» (Grande diga del rinascimento etiope), costruita dalla società italiana Salini Costruttori, lunga 1,8 chilometri ed è alta 145 metri e che si trova a circa 30 chilometri dal confine tra Etiopia e Sudan: il Nilo Azzurro, su cui è stata costruita, si unisce al Nilo Bianco a Khartum, la capitale del Sudan, formando il Nilo, il quale poi sfocia nel Mar Mediterraneo tra le città egiziane di Alessandria d’Egitto e Porto Said. La diga ha una grande importanza politica per l’Etiopia, dove l’energia generata potrebbe illuminare milioni di case e garantire diversi miliardi di euro dalla vendita di elettricità ai paesi vicini; potrebbe diventare inoltre un simbolo dell’ascesa dell’Etiopia come uno dei paesi più importanti dell’intera Africa. Egitto e Sudan ritengono però che la diga rischi di ridurre drasticamente la quantità di acqua che dal Nilo arriva alle rispettive città e zone agricole che si trovano lungo il fiume. Soprattutto per l’Egitto l’acqua del Nilo determina l’esistenza stessa del paese, che è molto desertico ed è per lo più abitato proprio sulle sponde del fiume. Inoltre, per il presidente dell’Egitto è importante anche dal punto di vista politico interno mostrarsi intransigente su una questione di sicurezza nazionale.

Tra il 2010 e il 2018 si è arrivati a 263 conflitti, secondo il rapporto dell’Unesco, mentre un rapporto della Banca Mondiale parlava di ben 507 conflitti nel mondo legati al “controllo delle risorse idriche”. La drammatica denuncia dell’Unicef. E nel futuro la “guerra dell’acqua” potrebbe essere combattuta da due potenze nucleari: India e Pakistan. 16 i Paesi con conflitti prolungati: Afghanistan, Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Iraq, Libia, Mali, Myanmar, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Siria e Yemen. 

Il Medio Oriente e il Nord Africa sono le aree più a rischio, aree in cui, oltre all’instabilità politica e di sicurezza, c’è una seria penuria di acqua. Basti pensare all’Iraq meridionale, che sta affrontando da alcuni anni continue siccità legate alla costruzione di grandi dighe in Turchia che limitano il regime d’acqua del Tigri e dell’Eufrate. Il «Southeastern Anatolia Project», previsto dal governo di Ankara, comprende, infatti, la costruzione di un sistema di 22 dighe lungo i due fiumi con l’obiettivo di migliorare l’economia locale in una delle zone più povere del Paese. A metà luglio dello scorso anno il ministro per le risorse idriche iracheno ha denunciato la forte carenza di acqua nel Nord del Paese, mettendo in guardia sui pericoli che questa situazione potrebbe comportare per la stabilità stessa dell’Iraq. Sempre secondo i dati del ministero, il flusso d’acqua proveniente dalla Turchia si è ridotto del 50% rispetto al 2019 e la stessa diminuzione è stata registrata in relazione alle scarse precipitazioni annuali. Inoltre, alcuni studiosi addebitano la guerra civile in Siria anche ai molti anni di siccità. Tra il 2006 e il 2010, infatti, la Siria ha vissuto la peggiore siccità mai registrata. La penuria d’acqua ha causato la migrazione di quasi 2 milioni di agricoltori verso i centri di Aleppo e Damasco, preparando, forse, il terreno per i disordini politici e sociali degli anni a venire. Ma gli esempi potrebbero continuare.

La recente conferenza sull’acqua tenuta delle Nazioni Unite del 24 marzo 2023, che riunì rappresentanti di 150 stati e ONG. Una data importante, perché a differenza degli oceani, che sono oggetto di un accordo di protezione globale, adottato anch’esso nel marzo 2023, l’acqua dolce non beneficia di alcun testo importante che ne disciplini l’uso, la condivisione e la conservazione. L’acqua dolce, che costituisce un mercato del valore economico di oltre 600 miliardi di euro, è al centro delle sfide economiche del 21° secolo. Esiste una tensione permanente tra gli imperativi umanisti del “diritto all’acqua” e la logica del profitto e della mercificazione delle risorse naturali, di cui oggi percepiamo in modo più acuto il suo valore ma anche la sua fragilità e alla quale i politici dovrebbero porre rimedio e non invece sottomettersi a discapito dell’essere umano: se hai soldi, compri e bevi e utilizzi acqua potabile, altrimenti…

La popolazione mondiale supera oggi gli 8 miliardi di persone. Di queste, più di 1 miliardo di persone fa affidamento su fonti di acqua potabile a rischio e oltre 2 miliardi e mezzo non hanno accesso a servizi igienici adeguati. Ogni anno, il mancato accesso all’acqua potabile provoca 4 miliardi di casi di diarrea e 1,7 milioni di decessi.

Nonostante la popolazione mondiale sia quasi equamente divisa tra abitanti di zone urbane e di zone rurali, la stragrande maggioranza delle persone senza accesso ad acqua e servizi igienico-sanitari vive in aree rurali. Su coloro che abitano in zone rurali sette persone su dieci sono prive di servizi igienici di base e più di otto su dieci sono senza accesso ad acqua potabile e fonti di acqua.

Acqua contaminata e servizi igienico-sanitari inadeguati causano la morte di circa 1,5 milioni bambini sotto i cinque anni ogni anno, influiscono sulla salute, la sicurezza, la sopravvivenza e la qualità della vita di bambini, donne e ragazze.

Lo sviluppo economico richiede inevitabilmente risorse idriche. Tuttavia, è tassativo che progettisti e governi siano rispettosi delle esigenze dei diversi utenti, incluse comunità, agricoltura, industria, miniere ed ambiente. Tutte le modifiche per lo sviluppo e l’utilizzazione del suolo hanno delle conseguenze. Ad esempio, il disboscamento altera la portata dei fiumi, aumentando il rischio di inondazioni. Allo stesso modo, la deforestazione ridurrà l’evapotraspirazione e le relative precipitazioni necessarie all’agricoltura sottovento.

Siccome la richiesta d’acqua per l’agricoltura e l’industria è in aumento, risulta fondamentale sviluppare accordi per la condivisione dell’acqua, al fine di garantire un accesso equo a tutti gli utenti e fra questi ‘’utenti’’ vi è l’ambiente. Tali accordi richiedono negoziazioni che superano i confini locali, regionali e nazionali e dovrebbero includere partecipanti che rappresentino tutte le parti interessate, come le comunità, i leader delle industrie, e gli scienziati. E se queste discussioni possano risultare complicate, non sono pero’ impossibili se volute e potrebbero certamente contribuire a garantire a tutti un adeguato accesso all’acqua.

Si deve anche essere coscienti del rapporto tra ecosistema, benessere e salute umana. Buona parte delle acque dolci del pianeta è già stata impoverita a causa di prelievi indiscriminati, prodotti contaminanti, cambiamenti climatici, inquinamento da concimi (eutrofizzazione), o altre attività umane. Il risultato dell’abuso umano e della cattiva gestione delle acque dolci ha diminuito la qualità e quantità delle acque utili per il consumo. È fondamentale proteggere e valorizzare l’integrità ecologica dei nostri laghi di acqua dolce, dei fiumi, delle zone umide e delle acque sotterranee, per garantire che gli agenti inquinanti e patogeni non vadano a contaminare gli approvvigionamenti idrici potabili. Il funzionamento degli ecosistemi d’acqua dolce presenta diversi meccanismi integrati che, in modo naturale, permettono di rendere potabile l’acqua di cui necessitiamo (ad esempio, riserve ripariali che raccolgono il deflusso delle acque piovane). Lo sviluppo delle infrastrutture sanitarie è fondamentale per proteggere le acque dolci dalla eutrofizzazione, che rimane una delle più grandi sfide per il funzionamento degli ecosistemi di acqua dolce. La chiave per garantire la futura sostenibilità delle nostre risorse idriche è bilanciare la conservazione del capitale naturale e l’erogazione di servizi basati su ecosistemi, con lo sviluppo e l’aumento della produttività.

Le soluzioni per fornire acqua potabile e servizi igienico-sanitari variano in base alle risorse disponibili, alla superficie dei paesi e alla scala dell’incremento desiderato. Vengono richieste strategie sia “dall’alto” sia “dal basso”. I miglioramenti “dall’alto verso il basso” della qualità dell’acqua e la distribuzione delle risorse idriche potrebbero sembrare come un obbligo, ma spesso vengono abbinate a maggiori risorse e forniscono il quadro legislativo necessario per lo sviluppo sostenibile. Dal momento in cui i villaggi e le comunità si assumono la responsabilità per la gestione delle risorse idriche e terreni di cui sono custodi, è auspicabile anche un miglioramento “dal basso verso l’alto”.

L’istruzione è il presupposto comune per il miglioramento della qualità dell’acqua. Il primo passo fondamentale per sensibilizzare e attuare il cambiamento nei paesi in via di sviluppo è l’educazione di donne e bambini di ogni famiglia, sui vantaggi derivanti dall’igiene e dai servizi igienico-sanitari. Per migliorare la qualità dell’acqua nei villaggi, paesi e città è necessaria l’ingegneria, ma anche la conoscenza degli stretti legami tra la qualità e la quantità dell’acqua, e la gestione del territorio. Nei paesi sviluppati dove sono presenti infrastrutture più moderne per il trattamento delle acque, il focus educativo dovrebbe essere proteso al miglioramento della sostenibilità dell’acqua e allo sviluppo di politiche necessarie per la riforma dell’acqua.

Nel mondo, l’utilizzo dell’acqua da parte dell’uomo è in relazione da una parte con i sistemi sociali dell’economia globalizzata, del commercio e dei capitali e dall’altra parte con i sistemi naturali del ciclo globale dell’acqua e nei sistemi climatici. Pertanto, l’uso dell’acqua a livello locale e regionale non può essere gestito in modo isolato. La responsabilità dei paesi sviluppati non è solo quella di fornire un aiuto finanziario, ma è anche quello di aiutare i paesi in via di sviluppo nella creazione di capitale umano, con le competenze necessarie per migliorare la qualità dell’acqua e servizi igienico-sanitari. I paesi sviluppati possono aiutare la ricerca e promuovere lo sviluppo di nuove tecnologie per il trattamento delle acque, fornendo soluzioni durature per la gestione delle acque. Occorre investire urgentemente tempo e risorse per lo sviluppo di punti d’uso a basso costo, sicuri e affidabili.

La situazione in Italia

Il quadro normativo nazionale e le politiche messe in atto in Italia della Costituzione ai nostri giorni sono riconducibili a quattro fasi storiche che possono essere così sintetizzate:

l’accesso all’acqua come diritto sociale

l’accesso all’acqua come servizio pubblico

l’accesso all’acqua come servizio industriale attraverso il mercato

l’accesso al servizio idrico e della risorsa acqua attraverso la finanziarizzazione

Il diritto all’acqua rispetto ai soggetti istituzionali.

La Costituzione italiana, come la maggior parte delle Costituzioni dei Paesi europei, non contiene alcun riferimento diretto al diritto all’acqua o indiretto attraverso un suo richiamo tra i diritti sociali.

Il diritto all’acqua non compare fra i diritti inviolabili sanciti e riconosciuti dall’art. 2 e dall’art. 3 della Costituzione né fra quelli espressamente richiamati nei successivi articoli: diritto al lavoro (art.4) ; diritto alla salute (art. 32), etc.

Ora, la non esplicitazione a livello costituzionale del diritto all’acqua consentirebbe di sostenere la tesi che i padri costituzionalisti abbiano ritenuto fosse possibile desumerlo agevolmente dalla tutela del diritto alla vita, come prima e fondamentale garanzia della persona, sancito dall’art. 2 e dal diritto alla salute che è “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” secondo l’art. 32.

La mancata inclusione dell’acqua fra i diritti umani, sociali non è imputabile ad un difetto di percezione dei padri costituenti quanto piuttosto è da collegare, in quella fase storica, al contesto culturale internazionale prevalente nei paesi occidentali rispetto alle risorse idriche.

Sotto il profilo della disponibilità (bilancio idrico e risorse disponibili) l’Italia apparteneva, ed appartiene ancora, al novero dei Paesi dotati di buone disponibilità di acqua anche se in presenza di disuguaglianze croniche nell’accesso alla risorsa tra le Regioni del Nord e quelle del Sud dell’Italia, imputabili in prevalenza all’assenza di opere infrastrutturali.

Preso atto che nella Costituzione Italiana non vi è un esplicito riconoscimento del diritto all’acqua, ricostruire l’evoluzione dell’atteggiamento da parte dello Stato e del legislatore su come è stato garantito l’accesso all’acqua agli italiani costituisce il solo parametro di osservazione attraverso cui è possibile analizzare il comportamento del legislatore sia a livello nazionale che a livello territoriale da parte delle Regioni.

Secondo le statistiche Istat relative agli anni 2015 – 2018 (ultimi dati in possesso, quindi questo è dimostrazione dell’interesse portato), l’Italia è al primo posto in Ue per i prelievi di acqua a uso potabile: 428 litri per abitante al giorno. Tuttavia, poco meno della metà del volume di acqua prelevata alla fonte (47,9%) non raggiunge gli utenti finali a causa delle dispersioni idriche dalle reti di adduzione e distribuzione sempre più vetuste. Senza parlare poi delle tubature non a norma igieniche e che quindi fanno erogare dai rubinetti delle abitazioni acqua potabile che durante il tragitto si guasta (per ruggine ferrosa e residui minerari).

L’erogazione giornaliera per uso potabile, sempre riportandosi ai dati statistici Istat riferiti sopra, è quantificabile in 220 litri per abitante, 21 litri in meno rispetto al 2012. Le famiglie allacciate alla rete idrica comunale che si ritengono molto soddisfatte del servizio offerto sono il 21,3%, quelle abbastanza soddisfatte il 63,3%. Il livello di soddisfazione complessivo varia sensibilmente sul territorio. Le famiglie molto o abbastanza soddisfatte sono nove su dieci al Nord, otto nel Centro e nel Sud e scendono a sette nelle Isole (senza pero’ parlare di capoluoghi di provincia come Palermo o Cagliari dove per giornate intere vi è carenza di acqua potabile dai rubinetti e la distribuzione nei quartieri avviene tramite cisterne).

Le famiglie che non si fidano a bere l’acqua di rubinetto rappresentano ancora una quota considerevole, nonostante il grado di fiducia mostri un miglioramento progressivo: si passa dal 40,1% del 2002 al 29,0% del 2018, per un numero complessivo di famiglie pari a 7 milioni 500 mila.

La situazione in Europa

A livello europeo, nonostante la maggioranza dei cittadini europei abbia garantito l’accesso all’acqua potabile per uso alimentare e igienico, permane una quota significativa di persone senza accesso ai servizi igienico-sanitari in casa. Questa percentuale nel 2018 si attestava intorno all’1,9% della popolazione. Persistono differenze a livello locale specie nei paesi dell’Est: in Romania, il 25,6% della popolazione non ha il bagno in casa. Il trattamento secondario delle acque reflue viene realizzato solo in 15 Stati membri su 27 e copre solo l’80% della loro popolazione. Un’ulteriore criticità a livello europeo è il sovrasfruttamento (eccessivi prelievi) delle risorse idriche, fenomeno che caratterizza l’Europa meridionale in particolare durante i mesi estivi e nelle aree densamente popolate come il Sud dell’Italia.

L’acqua sostiene la vita, ma l’acqua pulita e potabile definisce la civiltà. Gli antichi romani lo avevano compreso e noi, invece, lo abbiamo disatteso e dimenticato.

Il raggiungimento assicura un notevole miglioramento della qualità della vita e della longevità in alcuni dei paesi più poveri del mondo. Se si ammette che l’accesso all’acqua pulita e potabile è un diritto umano fondamentale, è responsabilità di tutti noi fornire l’istruzione necessaria, le infrastrutture e il sostegno al fine di garantire il successo

Senza acqua non c’è vita, né umana, né vegetale, né animale: la mancanza di acqua fa la differenza tra la vita e la morte. La sua gestione implica una responsabilità politica e morale verso i troppi che non hanno accesso all’acqua potabile: se l’acqua è un diritto, non va trattata come una merce e come cittadini dobbiamo custodire questo bene prezioso che appartiene all’intera comunità umana, un bene comune da condividere e non da privatizzare per «profitto», come invece sta avvenendo.

Ogni essere umano deve poter aver gratuitamente accesso all’acqua potabile perché è la vita.

Marco Affatigato

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